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  • Martedì 13 settembre 2022

Ci sono stati nuovi scontri tra Armenia e Azerbaijan

I due paesi, in conflitto per il territorio del Nagorno-Karabakh, si sono accusati a vicenda delle violenze

Una foresta brucia nel Nagorno-Karabakh dopo alcuni bombardamenti, durante gli scontri del 2020 (AP Photo/File)
Una foresta brucia nel Nagorno-Karabakh dopo alcuni bombardamenti, durante gli scontri del 2020 (AP Photo/File)
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Nella notte tra lunedì e martedì ci sono stati nuovi scontri armati al confine tra Armenia e Azerbaijan, due stati da decenni in conflitto tra loro per il controllo sul Nagorno-Karabakh, un territorio nel sud del Caucaso conteso da decenni. È la prima ripresa delle ostilità dal novembre del 2020, quando i due paesi concordarono una tregua con la mediazione della Russia, dopo una guerra di sei settimane vinta dall’Azerbaijan e al termine della quale l’Armenia fu costretta a fare pesanti concessioni territoriali.

Gli scontri sono avvenuti lungo il confine tra Armenia e Azerbaijan, anche se non propriamente nel territorio del Nagorno-Karabakh. I due paesi si accusano a vicenda: il ministero della Difesa azero ha diffuso un comunicato in cui dice che l’esercito armeno ha bombardato diverse posizioni e rifugi lungo il confine, ammettendo di aver subìto delle perdite e che alcune sue infrastrutture militari sono state fortemente danneggiate.

Il ministro della Difesa armeno, Suren Papikyan, ha invece sostenuto che l’Armenia abbia subìto gravi bombardamenti condotti dall’esercito azero all’interno del suo territorio, verso Goris, Sotk e Jermuk, tre città armene lungo il confine con l’Azerbaijan e vicine al Nagorno-Karabakh, dove sono posizionati gli avamposti militari armeni. Secondo le autorità armene nell’attacco sono stati uccisi 49 soldati.

Martedì mattina Papikyan ha detto di aver parlato con il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, e di aver concordato con lui di «prendere le misure necessarie per stabilizzare la situazione». La Russia è un alleato storico dell’Armenia, che fa parte dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, un’alleanza militare di sei stati guidata dalla Russia. Mantiene tuttavia anche rapporti buoni con l’Azerbaijan, che è un importante fornitore di materie prime.

Dall’inizio delle ostilità la Russia è stata una mediatrice fondamentale tra le due parti, e anche dopo la tregua del 2020 aveva inviato nel Nagorno-Karabakh migliaia di soldati per evitare una ripresa del conflitto.

Il presidente russo Vladimir Putin, a sinistra, con il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, in alto a destra, e il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev durante un incontro dell’anno scorso a Sochi, in Russia, in occasione dell’anniversario della tregua stipulata nel 2020 (Mikhail Klimentyev, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)

Il Nagorno-Karabakh è un territorio interno separatista dell’Azerbaijan, che è sostenuto dall’Armenia in quanto abitato in grande maggioranza da armeni e cristiani (il cristianesimo è la religione prevalente in Armenia, mentre l’Azerbaijan è a maggioranza musulmana). Si autoproclamò indipendente nel 1991, nel periodo in cui si dissolse l’Unione Sovietica: fino a quel momento era nell’orbita della musulmana Repubblica Socialista Sovietica Azera, che come l’Armenia faceva parte dell’Unione Sovietica.

La proclamazione dell’indipendenza (che tuttora non è riconosciuta a livello internazionale) provocò gravi scontri, che presto sfociarono in un primo conflitto armato tra Armenia e Azerbaijan, tra il 1992 e il 1994. Nei decenni successivi la situazione è rimasta precaria e ci sono stati scontri continui, fino alla ripresa della guerra di due anni fa.

[Una precedente versione di questo articolo situava gli scontri nel territorio del Nagorno-Karabakh, e non al confine tra Armenia e Azerbaijan].