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  • Sabato 16 luglio 2022

Il Regno Unito lascerà la Corte europea dei diritti dell’uomo?

Sarebbe una decisione importante e controversa, di cui discutono diversi politici che vorrebbero prendere il posto di Boris Johnson

(AP Photo/Jean-Francois Badias)
(AP Photo/Jean-Francois Badias)
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Nel Regno Unito le primarie del Partito Conservatore per scegliere il nuovo segretario, e quindi il nuovo primo ministro del paese dopo le annunciate dimissioni di Boris Johnson, stanno ruotando intorno a una serie di proposte dei principali candidati. La scorsa settimana una delle candidate che erano favorite, l’attuale procuratrice generale Suella Braverman, poi eliminata nel secondo giro di votazioni interne al partito, aveva annunciato che se fosse diventata prima ministra avrebbe fatto uscire il Regno Unito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. La Convenzione tutela una serie di diritti fondamentali e nel 1950 istituì la Corte europea dei diritti dell’uomo, un tribunale internazionale che si occupa di far rispettare la Convenzione (e che non ha a che fare con l’Unione Europea): di fatto è il principale tribunale che si occupa di diritti umani in Europa.

Finora due soli altri paesi avevano deciso di lasciare la Convenzione, entrambi con governi autoritari: la Russia, che uscirà a settembre, e la Grecia, che ne uscì temporaneamente nel 1967 durante la cosiddetta “dittatura dei colonnelli”.

Braverman aveva motivato la proposta criticando la recente decisione della Corte di bloccare il trasferimento forzato in Ruanda di alcuni richiedenti asilo, come invece avrebbe voluto fare il Regno Unito in seguito a un controverso accordo concluso con il governo ruandese. Braverman non è più in corsa per la vittoria delle primarie, ma la sua proposta non era esattamente nuova. L’ala destra dei Conservatori auspica da tempo di uscire dalla Corte, per ragioni anche molto diverse fra loro, e negli anni ne aveva parlato apertamente anche l’ex prima ministra Theresa May.

Stavolta però questa eventualità sembra assai concreta. Il dibattito interno ai Conservatori si è spostato molto a destra dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, e nelle sue ultime settimane anche il governo uscente stava lavorando a una legge che prevedeva di ignorare sentenze o indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo in alcuni ambiti circoscritti.

Uscire dalla Convenzione avrebbe comunque delle ramificazioni molto complesse che vanno al di là del caso dei richiedenti asilo in Ruanda: ramificazioni che fra l’altro potrebbero scoraggiare il prossimo governo britannico a portare avanti il piano.

La Corte europea dei diritti dell’uomo è un tribunale che ha sede a Strasburgo, in Francia, ed è riconosciuta dai 47 stati membri del Consiglio d’Europa, un’organizzazione internazionale nata nel 1949 per occuparsi soprattutto di diritti umani, stato di diritto e promozione della democrazia. Ad oggi la Corte è considerato il tribunale di ultima istanza, nei paesi in cui ha giurisdizione, per casi giudiziari che riguardano presunte violazioni dei diritti umani individuali, spesso compiute dallo stato.

Di recente la Corte ha fatto fallire il primo trasferimento di migranti dal Regno Unito al Ruanda, bloccato a metà giugno proprio in seguito a un’ingiunzione della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Secondo la Corte uno dei passeggeri, un 54enne iracheno che aveva attraversato in barca il canale della Manica per arrivare nel Regno Unito, aveva diritto a rimanere nel paese perché non aveva ancora esaurito tutte le vie legali per chiedere asilo nel Regno Unito ed evitare la sua espulsione. Se fosse stato portato in Ruanda, l’uomo avrebbe rischiato di non poter più tornare nel Regno Unito anche se la sua richiesta fosse andata a buon fine.

La decisione della Corte ha attirato critiche molto dure da parte dei Conservatori. Su tutti quelle di Braverman, che aveva definito «inaccettabile» il fatto che «un tribunale straniero» avesse interferito con una decisione presa dal governo britannico. Ma non è la prima volta che un governo Conservatore critica duramente una decisione o una serie di sentenze della Corte.

Fra il 2010 e il 2012 la Corte bloccò diverse volte l’estradizione verso gli Stati Uniti del predicatore islamista Abu Hamza, arrestato a Londra nel 2004 dalla polizia britannica per incitamento al terrorismo, perché temeva che nei tribunali statunitensi non avrebbe ottenuto un processo equo. Gli Stati Uniti avevano chiesto già nel 2006 di poter processare Abu Hamza nel proprio territorio accusandolo di avere appoggiato un piano per aprire un centro di reclutamento per terroristi in Oregon. Il caso si sbloccò soltanto dopo sei anni di ricorsi e controricorsi: la Corte approvò l’estradizione di Abu Hamza solo nel 2012.

Theresa May polemizzò più volte con la Corte accusandola di lungaggini per il caso Abu Hamza, che avvenne durante il suo mandato da ministra dell’Interno.

Negli stessi anni i Conservatori criticarono molto la Corte per via di alcuni processi avviati contro soldati britannici che avevano partecipato a operazioni di guerra in cui erano stati potenzialmente violati dei diritti umani in Iraq e Afghanistan.

Secondo l’ala più radicale dei Conservatori, il Regno Unito dovrebbe uscire dalla Convenzione e limitarsi a un impegno formale a rispettare le norme che contiene, che a loro dire sono già previste dalla legislazione britannica. «La Corte europea dei diritti dell’uomo non ha posto nella legislazione britannica, e il governo dovrebbe liberarsene del tutto!», ha scritto in un recente post su Facebook il deputato Conservatore Jonathan Gullis.

Il Regno Unito potrebbe uscire dalla giurisdizione della Corte con una richiesta da parte del governo. L’articolo 58 della Convenzione prevede semplicemente di notificare l’uscita dalla Convenzione con un preavviso di sei mesi.

Dal momento dell’uscita, il Regno Unito non sarebbe più tenuto a rispettare la Convenzione, che prevede una serie di tutele oggi considerate la norma in molti stati occidentali ma che negli anni Cinquanta non erano molto estese: il diritto a non essere discriminati per la propria etnia o religione, quello di ottenere un processo equo, e il divieto di ogni forma di tortura e di lavoro forzato. Il Regno Unito sarebbe comunque obbligato a rispettare le sentenze della Corte per fatti avvenuti nel periodo in cui faceva ancora parte della Convenzione: è possibile, insomma, che anche dopo una eventuale uscita dalla Convenzione il Regno Unito dovrà avere a che fare con la Corte ancora per molti anni.

Ci sono poi una serie di ramificazioni che vanno al di là della Corte europea dei diritti dell’uomo che rendono complesso uscire dalla Convenzione.

Il rispetto della Convenzione è previsto per esempio dall’articolo 692 dell’accordo commerciale firmato da Unione Europea e Regno Unito dopo Brexit. Nel testo c’è scritto chiaramente che nel caso il Regno Unito esca dalla Convenzione, alcune parti dell’accordo relative alla cooperazione giudiziaria e tra forze di polizia non si applicherebbero più. In altre parole, significa che Regno Unito e Unione Europea dovrebbero negoziare un nuovo accordo: sarebbe complicatissimo farlo oggi, in un momento in cui i rapporti fra le due parti sono pessimi per via di alcune decisioni del governo Johnson su Brexit.

Come ha fatto notare anche la rivista britannica The New Statesman, l’uscita del Regno Unito dalla Convenzione violerebbe anche i cosiddetti “accordi del Good Friday” che dal 1998 regolano la convivenza pacifica fra Irlanda e Irlanda del Nord. Il testo definitivo degli accordi (PDF) prevede infatti che il Regno Unito si assicuri che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia giurisdizione anche in Irlanda del Nord: cosa che non potrebbe più garantire in caso di uscita, dato che l’Irlanda del Nord fa parte del suo territorio.

Nonostante stesse lavorando a una legge per ignorare la giurisdizione della Corte in alcuni ambiti, fra cui quello militare, il governo dimissionario di Boris Johnson aveva smentito che fosse interessato a lasciare la Convenzione e la Corte. Il prossimo governo Conservatore però potrebbe avere un’idea diversa a riguardo.