• Mondo
  • Mercoledì 22 giugno 2022

L’antica città riemersa a causa della siccità, in Iraq

Si trova nel bacino idrico di Mosul e secondo alcuni archeologi risale a un regno orientale di cui sappiamo ancora molto poco

Una parte dei resti della città antica scoperta nei pressi di Kemune (foto dei ricercatori dell'Università di Friburgo, dell'Università di Tubinga e dell'Organizzazione di archeologia del Kurdistan)
Una parte dei resti della città antica scoperta nei pressi di Kemune (foto dei ricercatori dell'Università di Friburgo, dell'Università di Tubinga e dell'Organizzazione di archeologia del Kurdistan)

Lo scorso inverno la grande siccità che ha colpito varie parti dell’Iraq ha fatto riaffiorare i resti di un’antichissima città sommersa nel bacino idrico di Mosul, nei pressi della cittadina di Kemune, nel nord del paese. Al momento non si conosce per certo l’origine della città, la cui presenza era nota già dagli anni Ottanta, quando fu costruita la diga di Mosul sul fiume Tigri. Un gruppo di archeologi che ha analizzato le rovine però ipotizza che possa trattarsi della città di Zakhiku, che fu un importante centro per il commercio durante l’impero dei Mitanni, una popolazione della Mesopotamia settentrionale che ebbe la sua massima espansione attorno al 1.500 avanti Cristo.

Negli ultimi mesi in Iraq, come in altri paesi della regione, c’è stato un periodo di siccità estrema, che ha creato notevoli difficoltà all’agricoltura. Per questa ragione dallo scorso dicembre le autorità locali hanno autorizzato il prelevamento di grandi quantità di acqua dal bacino di Mosul, la riserva idrica più importante del paese. I livelli di acqua più bassi del solito hanno permesso di studiare più attentamente la città sommersa, che era stata già osservata nel 2018 sempre durante un altro periodo di siccità.

Quattro anni fa gli archeologi avevano notato mura alte più di 6 metri e spesse quasi 2, oltre a una serie di dipinti dai colori rosso e blu, ma non avevano avuto tempo né modo di scavare il terreno o di esaminare adeguatamente i manufatti che erano stati recuperati. Quest’anno invece è riuscito a farlo un gruppo di ricerca guidato dagli archeologi tedeschi Ivana Puljiz e Peter Pfälzner, rispettivamente delle università tedesche di Friburgo in Brisgovia e di Tubinga, con la collaborazione del presidente dell’associazione di archeologia del Kurdistan, Hasan Ahmed Qasim.

Tra gennaio e febbraio il gruppo di archeologi ha mappato la città, le sue fortificazioni e le sue torri, osservando in particolare alcuni edifici piuttosto vasti, tra cui un grosso complesso industriale e un magazzino su più piani, probabilmente usato per conservare prodotti da commerciare. Secondo i ricercatori, i resti potrebbero essere quelli di Zakhiku, che si ritiene fu distrutta nel 1350 a.C. da un terremoto.


In un comunicato stampa con cui hanno presentato le proprie attività di ricerca, gli archeologi hanno raccontato che le mura erano preservate particolarmente bene, soprattutto considerando che erano state costruite con mattoni di fango essiccati al sole rimasti sott’acqua per oltre 40 anni.

Tra le altre cose, gli archeologi hanno trovato cinque vasi in ceramica che contenevano più di cento tavolette cuneiformi di argilla che risalgono al periodo medio-assiro, appena successivo alla distruzione della città (1350–1100 a.C.). Ora si augurano che alcune di queste tavolette contengano lettere o iscrizioni che possano offrire informazioni utili per ricostruire la storia della città.

I Mitanni controllarono buona parte della Mesopotamia settentrionale tra il 1550 e il 1350 a.C., con un impero che si estendeva dalla catena dei monti Zagros, che attraversa gli attuali Iran e Iraq, al mar Mediterraneo. Nei primi anni dell’impero si scontrarono con l’Egitto per il controllo del territorio dell’attuale Siria, risolvendo le tensioni con una tregua stipulata durante il regno del faraone Tutmosi IV, attorno al 1420 a.C.; alcuni decenni dopo caddero prima sotto il controllo degli Ittiti, e poi sotto quello degli Assiri.

Sul loro conto però si sa relativamente poco, soprattutto rispetto ad altre popolazioni vicine nello spazio e nel tempo. Parlavano la lingua hurrita, che apparteneva a un ramo di una famiglia linguistica oggi scomparsa che proveniva dall’odierna Armenia, ma adoravano alcune divinità di origine indo-europea, così come erano indo-europei alcuni dei nomi di re mitanni che sono arrivati fino a noi.

Come ha spiegato Qasim alla rivista Art Newspaper, l’area abitata dai Mitanni non è mai stata esplorata a fondo non solo per la mancanza di risorse accademiche ed economiche, ma anche perché le autorità irachene hanno sempre trascurato i siti dell’area – una regione autonoma abitata in prevalenza da curdi e interessata da numerosi conflitti – per motivi politici. Secondo Qasim nella zona a est del fiume Tigri ci sarebbero più di cento siti archeologici ancora semi-sconosciuti.

Adesso che la diga è stata riaperta, l’antica città è di nuovo sommersa. Per evitare grossi danni e facilitarne la conservazione in vista di eventuali indagini future, alcune porzioni delle rovine sono state coperte con teli di plastica su cui sono state posate file di sassi.

– Leggi anche: Cosa c’entra una statuetta dell’Età del Bronzo col conflitto fra Israele e Palestina