È stata approvata la riforma del CSM

Modifica l'elezione dei componenti, introduce nuove regole per i magistrati che entrano in politica e separa quasi del tutto la carriera di giudici e pubblici ministeri

 Una riunione plenaria del Consiglio Superiore della Magistratura (ANSA/PAOLO GIANDOTTI UFFICIO STAMPA QUIRINALE)
Una riunione plenaria del Consiglio Superiore della Magistratura (ANSA/PAOLO GIANDOTTI UFFICIO STAMPA QUIRINALE)

Giovedì mattina il Senato ha approvato in via definitiva il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di autogoverno della magistratura: la riforma è stata approvata con 173 voti favorevoli, 37 contrari e 16 astenuti, dopo che ad aprile era già stato approvata dalla Camera. La riforma era stata presentata a febbraio dal governo dopo mesi di discussioni con l’obiettivo di ridurre il peso delle correnti politiche all’interno del CSM, soprattutto in seguito ai grossi scandali che hanno coinvolto la magistratura italiana negli ultimi anni, regolare l’ingresso dei magistrati in politica e limitare il passaggio di funzioni tra giudici e pubblici ministeri.

La norma approvata è uno dei punti principali di una più ampia riforma della giustizia, che ha portato già a modifiche del processo penale e civile, e che l’Italia si è impegnata ad approvare per poter ottenere dall’Unione Europea i finanziamenti del Recovery Fund. I punti più importanti della riforma sono due: il modo in cui avviene l’elezione dei membri del CSM scelti dalla magistratura, e cosa succede ai magistrati che vogliono candidarsi in politica. La legge è stata molto contestata dalla magistratura che a maggio era anche scesa in sciopero, senza comunque ottenere modifiche al testo.

La riforma è stata approvata anche con il voto favorevole della Lega, che negli ultimi giorni aveva proposto una serie di emendamenti che però alla fine sono stati tutti respinti. Se fossero passati, avrebbero costretto il parlamento a sottoporre il disegno di legge a una terza lettura alla Camera, rimandando quindi l’approvazione definitiva della legge e impedendo che l’elezione dei nuovi membri del CSM, prevista per settembre, potesse svolgersi con le nuove regole previste dalla riforma.

Nei giorni scorsi il Partito Democratico aveva duramente criticato la presentazione degli emendamenti, sostenendo che la Lega volesse fare ostruzionismo contro una legge proposta dalla maggioranza di governo di cui fa parte. Per questo motivo il segretario del Partito Democratico Enrico Letta aveva anche ipotizzato che sulla legge potesse essere posta la fiducia, per evitare una terza lettura, cosa che alla fine non è successa.

In particolare la Lega aveva presentato un emendamento che proponeva di introdurre nella riforma una modifica che non aveva nulla a che fare con il CSM: aveva infatti riproposto integralmente quanto era previsto dal secondo quesito del referendum sulla giustizia, bocciato nel voto di domenica scorsa dopo il mancato raggiungimento del quorum. Il quesito prevedeva di ridurre i casi per cui è consentito il ricorso alle misure cautelari in carcere per i reati meno gravi. Mercoledì, nel corso dell’esame degli emendamenti in Senato, la Lega aveva chiesto e ottenuto di votare con scrutinio segreto, ma alla fine l’emendamento era stato bocciato con 136 voti contrari, 70 favorevoli e 9 astenuti.

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Come cambierà l’elezione dei membri del CSM
Innanzitutto il numero dei membri elettivi del CSM verrà aumentato da 24 a 30, come erano prima di una riforma approvata nel 2002. Venti saranno scelti dagli stessi magistrati – due saranno giudici di Cassazione, 13 giudici di merito e 5 pubblici ministeri – e dieci dal parlamento, selezionati tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati (i cosiddetti membri “laici”). A questi si aggiungono le tre persone che vi fanno parte per diritto: il presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.

Dei 20 componenti scelti dai magistrati, 14 saranno eletti con un sistema maggioritario che prevederà dei collegi nei quali saranno eletti i due magistrati più votati, su un minimo di sei candidati (se non ci sono, i candidati verranno sorteggiati). Un quindicesimo seggio sarà assegnato a un pubblico ministero sulla base di un calcolo ponderato che individuerà uno tra i terzi più votati. Gli ultimi cinque seggi saranno assegnati invece con un sistema proporzionale nazionale. Non ci saranno liste nazionali, ma ci si potrà candidare individualmente.

Questo sistema misto servirà a evitare che le elezioni possano essere di fatto una formalità, come succede attualmente: al momento, infatti, i magistrati che si candidano sono pochi e praticamente certi di essere eletti. Un altro punto della riforma prevede che le nomine d’ora in poi vengano gestite in ordine cronologico, occupandosi cioè prima di quelle vacanti da più tempo. Serve a evitare che il CSM le decida sulla base di accordi a “pacchetto”, spartendo gli incarichi liberi tra le correnti.

Cosa succederà ai magistrati che si candidano in politica
Per quanto riguarda i magistrati che entrano in politica, la riforma prevede che questi non potranno candidarsi nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione nei tre anni precedenti. Inoltre la riforma vieta ai magistrati di esercitare contemporaneamente funzioni giurisdizionali e avere incarichi elettivi e di governo o amministrativi. Nel momento della candidatura, i magistrati andranno in aspettativa senza percepire il compenso.

In merito all’eventuale ritorno in magistratura dopo la candidatura in politica, saranno previste varie casistiche a seconda dell’incarico che aveva in precedenza il magistrato e a seconda che sia stato eletto o meno. Chi viene eletto non potrà più svolgere alcuna funzione giurisdizionale, quella cioè che riguarda l’applicazione delle norme e delle leggi, ma sarà messo fuori ruolo in incarichi amministrativi. Chi non viene eletto o viene chiamato a ricoprire incarichi apicali nei ministeri dovrà aspettare invece tre anni prima di poter di nuovo esercitare funzioni giurisdizionali.

Il passaggio dalla funzione requirente alla funzione giudicante
La funzione requirente è quella del pubblico ministero, che in un processo è il magistrato che rappresenta l’accusa. La funzione giudicante è quella del giudice, che è invece chiamato a giudicare ed è dunque super partes. Finora i magistrati, nel corso della loro vita professionale, potevano passare da una funzione all’altra con delle limitazioni e non più di quattro volte. Ora il passaggio di funzioni da giudice a pubblico ministero e viceversa sarà consentito una sola volta, e solo nei primi dieci anni di carriera. Uno dei quesiti del referendum del 12 giugno – che non hanno raggiunto il quorum – proponeva di impedire qualunque passaggio.

La legge approvata contiene poi alcune modifiche relative all’incompatibilità di sede per ragioni di parentela, alle funzioni della Scuola superiore della magistratura, agli illeciti disciplinari dei magistrati, ai criteri di priorità per selezionare le notizie di reato e in generale per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e velocizzare la definizione dei processi.

Infine, delega il governo ad adottare entro 12 mesi provvedimenti specifici per quanto riguarda la revisione, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, dei criteri di assegnazione degli incarichi; la riforma delle procedure di valutazione di professionalità dei magistrati; la disciplina dell’accesso in magistratura, semplificando l’attuale modello per ridurre i tempi di immissione in ruolo; il riordino della disciplina del “fuori ruolo” dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili.

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