La pianta marina più estesa del mondo

Cresce al largo dell'Australia Occidentale e una ricerca stima che abbia continuato ad autoclonarsi per almeno 4.500 anni

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In diversi punti della Shark Bay, una vasta area oceanica che si trova nella parte più a ovest dell’Australia Occidentale, si possono osservare ampie distese di piante marine che fluttuano dal fondale oceanico con le proprie foglie e i propri fiori gialli. Come ha evidenziato uno studio pubblicato di recente, però, sarebbe più opportuno parlare di pianta, al singolare: quella che si vede sul fondale della Shark Bay infatti sembra essere un unico esemplare che si è autoclonato ed esteso nel giro di alcune migliaia di anni, e che secondo il gruppo di ricerca oggi può essere considerato l’organismo vivente più grande del mondo.

Lo studio è stato pubblicato mercoledì sulla rivista Proceedings of the Royal Society B ed è stato condotto da un gruppo di ricerca guidato da Jane Edgeloe, dottoranda presso l’Università dell’Australia Occidentale.

Insieme ai suoi colleghi, stava conducendo ricerche sulla Posidonia australis, un tipo di pianta marina che cresce lungo le coste meridionali e occidentali dell’Australia a una profondità fino a 15 metri. Dopo aver raccolto e analizzato il materiale genetico prelevato da dieci diverse piante in altrettanti punti della baia, il gruppo di ricerca si è reso conto che la gran parte delle piante osservate aveva caratteristiche genetiche praticamente identiche: tenendo in considerazione le particolari caratteristiche di riproduzione della Posidonia, ha quindi concluso che in realtà si trattasse di una singola pianta marina, che si è clonata ed è riuscita a sopravvivere nel giro di un periodo stimato attorno ai 4.500 anni.

La diffusione della pianta nella Shark Bay (1, Sandy Point, Dirk Hartog Island; 2, Middle Bluff; 3, Fowlers Camp; 4, Nanga Bay; 5, White Island 6, Herald Bight; 7, Guischenault Point; 8, Monkey Mia; 9, Dubaut Point; 10, Faure Sill). Immagine tratta dal sito della rivista Proceedings of The Royal Society B, su cui è stato pubblicato lo studio.

Alcune piante marine si riproducono in maniera sessuata, mentre altre attraverso un meccanismo che permette loro di generare un esemplare identico al precedente (è un processo comune anche nelle alghe, che a differenza delle piante marine non hanno radici, fusto, foglie, fiori o frutti). Questo è appunto il caso della Posidonia, che si clona attraverso la produzione di nuovi germogli geneticamente identici che nascono dalle radici.

Finora gli organismi viventi più grandi conosciuti al mondo erano il Pando, cioè una foresta di 40mila pioppi tremuli americani (Populus tremuloides) che si autoclonano da più di 80mila anni nello Utah, e un fungo chiamato “Humongous fungus” (“il fungo gigantesco”), che cresce nella foresta nazionale di Malheur, in Oregon, sempre negli Stati Uniti. Il Pando si estende per più di 400mila metri quadrati, mentre il fungo, che appartiene al genere Armillaria, occupa una superficie di 9 chilometri quadrati. Per fare un confronto, la pianta di Posidonia scoperta nella Shark Bay occupa una superficie di almeno 180 chilometri quadrati.

Il gruppo di ricercatori ha osservato che la pianta è inoltre un ibrido di due specie e ha due set cromosomici completi, vale a dire che ha un numero di cromosomi maggiore del normale. È una condizione che in biologia si chiama poliploidia e solitamente è pericolosa per gli embrioni animali, ma non nelle piante: nel caso della Posidonia potrebbe anzi essere stata fondamentale per favorire l’autoclonazione e permetterle di sopravvivere ai vari cambiamenti climatici che si sono verificati nel corso del tempo.

Elizabeth Sinclair, una delle autrici dello studio, ha spiegato al New York Times che il fatto di aver avuto più cromosomi può essere servito alla pianta ad affrontare «un’ampia serie di situazioni, che è una risorsa ottima con i cambiamenti climatici». Sinclair ha aggiunto che la pianta era stata danneggiata dall’ondata di grande caldo che aveva interessato l’Australia tra il 2010 e il 2011, ma in seguito aveva ripreso a crescere, mostrando germogli e foglie più resistenti.

Adesso sarà difficile dire se con i grossi cambiamenti climatici in corso in questi anni la pianta sarà in grado di resistere e continuare a moltiplicarsi senza subire grossi danni. Marlene Jahnke, biologa dell’università di Göteborg (Svezia), che non ha partecipato allo studio, ha detto al New York Times che le piante marine sono particolarmente importanti da proteggere perché anche loro contribuiscono a trattenere l’anidride carbonica immessa nell’ambiente – il principale gas serra a cui si deve il riscaldamento globale – e attorno a loro si sviluppano moltissime altre specie. Osservare il modo in cui la pianta reagirà ai cambiamenti climatici in futuro potrà aiutare a capire meglio se la poliploidia potrà essere utile alle piante per superarli.

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