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  • Mercoledì 4 maggio 2022

Perché non si riesce a fare la pace in Ucraina?

I negoziati vanno avanti dall'inizio della guerra ma da tempo sembrano di fatto bloccati, e buona parte della responsabilità è della Russia

Le delegazioni ucraina (a sinistra) e russa (a destra) durante le prime fasi del negoziato il 7 marzo in Bielorussia (Maxim Guchek/BelTA Pool Photo via AP)
Le delegazioni ucraina (a sinistra) e russa (a destra) durante le prime fasi del negoziato il 7 marzo in Bielorussia (Maxim Guchek/BelTA Pool Photo via AP)

Nel corso di questi mesi di guerra in Ucraina, un argomento spesso citato da analisti e commentatori è che non sarebbero stati fatti abbastanza sforzi diplomatici per porre fine alle ostilità. Quest’argomento ha varie sfumature, ma l’idea generale è che se solo le parti in conflitto fossero più serie e coinvolte nel negoziato di pace, se ci si sforzasse di più a trovare accordi e posizioni in comune, allora sarebbe possibile raggiungere un cessate il fuoco e avviare un percorso di trattative, fermando la guerra e risparmiando così migliaia di vite.

È una tesi molto presente anche in Italia, ben rappresentata sui giornali, nei talk show e da alcuni esponenti politici. È anche una tesi trasversale: con alcune differenze la esprimono sia il leader della Lega Matteo Salvini sia buona parte dei partiti e movimenti a sinistra del Partito Democratico, oltre a grossi pezzi del Movimento 5 Stelle, compreso il leader Giuseppe Conte.

Quasi sempre questa tesi si configura come una critica più o meno implicita all’Occidente, e in particolare agli Stati Uniti: il fatto che l’Occidente continui ad armare e sostenere la resistenza ucraina sarebbe una delle ragioni per cui la guerra è ancora in corso. In alcuni casi estremi si dice – o si lascia intendere – che l’Occidente e gli Stati Uniti avrebbero qualche interesse a un’escalation militare con la Russia, e starebbero dunque aizzando la resistenza ucraina, prolungando di fatto la guerra. Questa tesi, peraltro, corrisponde quasi perfettamente alla versione dei fatti promossa dal regime russo: ancora questa settimana il presidente russo Vladimir Putin ha detto parlando al telefono con il presidente francese Emmanuel Macron che per fermare la guerra l’Occidente deve smettere di fornire armi e sostegno all’Ucraina.

In realtà, a giudicare dagli sforzi diplomatici fatti finora dalle parti del conflitto, dalle dichiarazioni dei leader e dalla situazione sul campo in Ucraina, risulta piuttosto evidente che il principale ostacolo a una soluzione diplomatica del conflitto sia stata finora la Russia, e in particolare la volontà di Putin e del regime russo di ignorare ogni tentativo serio di negoziato.

I negoziati e il loro fallimento
I negoziati tra le delegazioni russa e ucraina per ottenere un cessate il fuoco sono cominciati fin dalle prime fasi di conflitto e, almeno formalmente, non si sono mai conclusi. Inizialmente, le due delegazioni si sono incontrate prima in una località in Bielorussia, vicino al confine ucraino, e poi hanno avuto molte sessioni in videochiamata. L’incontro di più alto profilo è stato a marzo ad Antalya, in Turchia: è stato patrocinato dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e vi hanno partecipato i ministri degli Esteri russo e ucraino.

Nonostante i numerosi incontri, tuttavia, finora i negoziati sono stati un fallimento e hanno avuto un ruolo irrilevante nell’influenzare l’andamento delle operazioni militari. La guerra non si è fermata e non sembra che i negoziati potranno fare molto a riguardo, almeno nel futuro immediato.

Questo non significa necessariamente che i negoziati siano inutili. Mantenere aperto un canale di contatto tra le parti è importantissimo, e in ogni caso il lavoro della diplomazia è spesso lungo e farraginoso: piccoli avanzamenti che sul momento sembrano avere poca importanza possono trasformarsi col tempo in grossi risultati.

I negoziati inoltre stanno avendo qualche successo sul piano umanitario: per esempio, se in questi giorni è stato possibile far evacuare parte dei civili ucraini intrappolati nell’acciaieria Azovstal, a Mariupol, è merito di un negoziato tra le parti, favorito dall’ONU.

Ma il risultato più importante, cioè un cessate il fuoco, sembra lontanissimo e ciascuna delle due parti in causa – Russia e Ucraina – accusa l’altra dell’insuccesso. Poiché gli incontri tra le delegazioni si svolgono a porte chiuse (senza contare che una buona parte del lavoro diplomatico è probabilmente fatta in segreto, lontano dagli eventi resi noti al pubblico), è impossibile sapere davvero se le accuse reciproche siano fondate, ma ci sono alcuni elementi che lasciano pensare a una differenza di approccio.

Negoziati a Istanbul il 29 marzo (Turkish Presidency via AP)

Il più notevole riguarda la composizione delle delegazioni: se si esclude l’incontro di Antalya, in cui si sono visti i ministri degli Esteri russo e ucraino, in tutti gli altri eventi il peso e l’importanza delle due delegazioni era molto differente: quella ucraina comprendeva ministri e personalità importanti, come il ministro della Difesa Oleksii Reznikov e Mykhailo Podolyak, il principale consigliere di Zelensky, molto presente sui media. Quella russa, invece, era formata esclusivamente da personalità di secondo o terzo livello: il capo delegazione era un ex ministro della Cultura, Vladimir Medinsky, a cui si aggiungeva tutta una serie di viceministri e figure minori.

Come hanno notato molti analisti, nessuno dei membri della delegazione russa avrebbe avuto accesso diretto al presidente Vladimir Putin.

In ambito diplomatico, se una delegazione ha poco peso di solito significa che il paese che la invia non sta prendendo molto sul serio il negoziato, semplicemente perché non c’è nessuno che abbia l’autorità sufficiente per prendere decisioni importanti, imporre condizioni o fare concessioni.

C’è anche una differenza negli obiettivi e nelle richieste pubbliche. Quelli dell’Ucraina sono piuttosto chiari: l’obiettivo minimo è respingere l’invasione russa, quello massimo (e improbabile) è riprendersi i territori occupati dalla Russia nel 2014, cioè l’oriente ucraino ed eventualmente anche la penisola della Crimea. Più difficile è capire cosa voglia la Russia da questa guerra: le autorità continuano a parlare di “denazificazione” dell’Ucraina, un termine vago che di fatto non pone nessun obiettivo concreto. Ancora oggi, a vari mesi dall’inizio dell’invasione, non è del tutto chiaro quali siano gli obiettivi politici e militari della Russia in Ucraina, e ovviamente è difficile negoziare con qualcuno se le sue richieste non sono esplicite.

Tra le due parti, almeno a parole, quella ucraina si è mostrata più disponibile al compromesso e al negoziato. Fin dall’inizio del conflitto, e a volte in maniera creativa, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha chiesto di poter incontrare direttamente Putin, per parlare e negoziare con lui, ma le sue richieste sono state sistematicamente ignorate. Ovviamente, chiedere un negoziato non significa automaticamente essere seri nel portarlo a termine, ma anche in questo caso c’è una differenza di approccio tra la parte russa e quella ucraina: almeno formalmente, Zelensky ha offerto a Putin una finestra di dialogo, mentre Putin non ha fatto altrettanto.

L’elemento più evidente del fatto che la Russia sia il principale ostacolo al negoziato, probabilmente, è il gran numero di leader mondiali che hanno contattato Putin – o hanno tentato di contattarlo – per cercare di convincerlo a un cessate il fuoco o anche semplicemente per capire quali sono le sue condizioni e richieste. Tutti sono stati ignorati e nessuno ha ottenuto risultati di qualche rilievo.

Il caso più notevole è il presidente francese Macron, che nei mesi di guerra (e con una breve pausa nelle settimane successive al massacro di Bucha, compiuto dai soldati russi) ha telefonato regolarmente a Putin, ottenendo dal presidente russo soltanto dichiarazioni di circostanza sul fatto che se la guerra non si chiude la colpa è degli ucraini e dell’Occidente. Come ha scritto di recente Le Monde, sentendo persone vicine al presidente francese, «le comunicazioni tra Macron e Putin sono state più un dialogo tra sordi che una vera discussione. […] Macron ha provato l’intero spettro dei possibili approcci: pazienza, persuasione, indignazione. Tutte le volte ha sbattuto contro lo stesso muro».

Lo stesso è successo al cancelliere tedesco Olaf Scholz, anche se le comunicazioni sono state molto meno frequenti, e ai pochi altri leader occidentali che hanno parlato con Putin in questi mesi.

Una possibile falla di questo approccio è che la Russia non consideri i leader occidentali interlocutori affidabili, perché troppo schierati a favore dell’Ucraina: è difficile trattare se chi si presenta come mediatore è chiaramente di parte. Il fatto è che vari paesi decisamente più neutrali hanno provato a fare lo stesso e hanno fallito.

A marzo la Turchia era riuscita a organizzare l’incontro di più alto livello tra i rappresentanti dei due paesi, riunendo i ministri degli Esteri, e poi ne aveva organizzati altri a Istanbul, ma senza ottenere grossi risultati: a un certo punto, le autorità turche avevano dato per probabile un incontro tra Putin e Zelensky, ma sono state smentite.

Durante le prime fasi del conflitto anche Israele, paese che ha mantenuto buoni rapporti con la Russia, aveva cercato di proporsi come mediatore: il primo ministro Naftali Bennett aveva visto Putin a Mosca ed era sembrato, almeno nei primi tempi, che Israele avrebbe potuto essere un perfetto paese neutrale per facilitare i negoziati. Zelensky aveva mostrato una certa disponibilità, dicendosi pronto a un incontro con Putin a Gerusalemme. Anche in quel caso, però, la Russia aveva ignorato l’offerta, e dopo qualche settimana il tentativo di mediazione israeliano era fallito: già all’inizio di aprile Israele era passato dall’essere il «principale mediatore internazionale» ad aver interrotto i contatti con la Russia.

La conferenza stampa del ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov dopo un incontro con il ministro degli esteri ucraino ad Antalya, Turchia, il 10 marzo (AP Photo)

È fallito di recente e in maniera piuttosto plateale anche un tentativo di diplomazia da parte del segretario generale dell’ONU António Guterres, che la settimana scorsa ha visitato sia Mosca sia Kiev. Le forze russe si sono ritirate dalla capitale ucraina ormai da diverse settimane, e la città è considerata relativamente sicura. Ma proprio mentre Guterres stava visitando il centro di Kiev, la Russia ha ripreso a bombardare il centro (comunque abbastanza lontano dalla delegazione ONU). Le autorità russe hanno detto che si è trattato di una casualità, ma in molti ci hanno visto un messaggio contro Guterres.

Il regime russo avrebbe ignorato anche i tentativi diplomatici di Papa Francesco, che al Corriere della Sera ha detto di aver cercato più volte di organizzare un incontro con Putin a Mosca, senza successo.

È comunque vero che quando si parla di diplomazia – e di diplomazia di così alto livello, in cui sono coinvolte alcune delle principali potenze mondiali nel tentativo di fermare una guerra – è piuttosto difficile capire le reali intenzioni delle parti semplicemente dalle dichiarazioni e dagli eventi pubblici: c’è tutto un pezzo di diplomazia segreta di cui spesso si parla soltanto a cose fatte, o perfino mai. Non è da escludere, dunque, che nei fatti le posizioni di Russia e Ucraina siano differenti da come appaiono se si considerano esclusivamente le informazioni pubbliche. Non è da escludere nemmeno che un accordo sia più vicino di quel che sembri, e che l’impegno a favore della diplomazia sia più intenso di quel che appare.

Tutte le informazioni a disposizione finora, però, suggeriscono il contrario: che il negoziato sia di fatto fermo, e che le maggiori responsabilità di questo blocco siano da attribuire alla Russia.