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  • Mercoledì 27 aprile 2022

Veneto e Trentino-Alto Adige litigano per l’acqua

La richiesta veneta di aprire i bacini per irrigare i campi si è scontrata con le esigenze delle centrali idroelettriche di Trento e Bolzano

Il lago del Corlo, in provincia di Belluno, a inizio marzo (Arpav Veneto)
Il lago del Corlo, in provincia di Belluno, a inizio marzo (Arpav Veneto)
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Giovedì 21 aprile il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Mario Draghi e al capo della Protezione civile Fabrizio Curcio per chiedere al governo di valutare il riconoscimento dello “stato di emergenza idrico” e in questo modo ottenere un aiuto economico per occuparsi della siccità che dura da mesi.

Zaia ha chiesto al governo di «definire le modalità di gestione sovraregionale della crisi idrica», una formula tecnica e poco chiara che nasconde una vivace discussione tra la Regione Veneto e le province autonome di Trento e Bolzano sulla gestione dell’acqua: il Veneto ne richiede moltissima alle province vicine per garantire l’inizio delle irrigazioni nei campi, ma Trento e Bolzano non vorrebbero cederla perché serve alle loro centrali idroelettriche.

Nella lettera inviata a Draghi, Zaia ha elencato una serie di dati per giustificare la definizione di “emergenza”. Da ottobre a marzo, in Veneto, sono caduti 269 millimetri di pioggia, il 58 per cento in meno rispetto alla media del periodo negli anni scorsi. Nella prima metà di aprile le cose non sono migliorate: sono caduti 23 millimetri di pioggia contro i 94 della media del periodo tra il 1994 e il 2021. Secondo il report diffuso dalla Regione Veneto, per riequilibrare la mancanza di pioggia servirebbero 300 millimetri di precipitazioni in un mese.

Negli ultimi tre giorni la pioggia è tornata, soprattutto al Centro e al Nord, ma per compensare alla siccità le precipitazioni dovrebbero essere più costanti e non a carattere temporalesco: solo in questo modo il terreno può assorbire l’acqua. Per colmare il cosiddetto deficit idrico, inoltre, servirebbero altre precipitazioni nei prossimi giorni. Andrea Crestani, direttore dell’ANBI, l’associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, l’ente che riunisce i consorzi di bonifica del Veneto, spiega che i 25 millimetri caduti in Veneto negli ultimi due giorni non risolveranno il problema. «È un piccolo sollievo», dice. «Siamo molto preoccupati in vista dell’estate, quando la situazione sarà ancora più complicata se non pioverà nelle prossime settimane».

Gli effetti della siccità sui fiumi sono evidenti: i dati al 15 aprile dicono che la portata media è stata largamente inferiore rispetto ai valori medi, del 76% sul fiume Bacchiglione a Montegalda, in provincia di Vicenza, del 74% sul Brenta a Barziza, sempre a Vicenza, del 65% sul Po a Pontelagoscuro, a Ferrara, e del 53% sull’Adige a Boara Pisani, in provincia di Padova.

Tra le altre cose, la scarsa portata dei fiumi causa il fenomeno del “cuneo salino”, che consiste nell’intrusione dell’acqua del mare sotto l’acqua dolce, meno densa, in corrispondenza delle foci dei fiumi. Semplificando molto, meno acqua dolce arriva al mare, meno è la pressione del fiume in uscita dalla costa e più l’acqua salata del mare riesce ad avanzare verso le campagne.

(Jooja/Wikimedia)

Le conseguenze del cuneo salino per l’agricoltura sono significative: l’acqua salata si diffonde progressivamente nelle falde causando un inquinamento dei pozzi. «Per coltivare i nostri prodotti come il radicchio di Chioggia IGP dobbiamo avere i fossi pieni e la falda deve essere alta», dice Giuseppe Boscolo Palo, amministratore dell’ortomercato di Chioggia. «La risalita dell’acqua salata mette in discussione tutta la produzione. Già a fine gennaio il consorzio del delta del Po ha interrotto il servizio di irriguo perché l’acqua aveva punte saline elevate e lo stesso è successo una decina di giorni fa».

Nella lettera inviata a Draghi, la Regione Veneto ha scritto che la situazione più grave è stata segnalata per il Po e per l’Adige, «le cui portate stanno scendendo notevolmente verso i minimi storici risultando inferiori a quelle previste per il corretto funzionamento della barriera anti intrusione salina posta in prossimità della foce». La maggior parte delle derivazioni irrigue dell’Adige, cioè i prelievi dell’acqua per irrigare i campi, è ferma a causa della presenza del sale. Soltanto alcune piccole derivazioni sono state aperte per sei ore al giorno in corrispondenza della bassa marea.

Il problema della scarsa portata dei fiumi si potrebbe risolvere almeno parzialmente con un rilascio più generoso da parte dei bacini alpini gestiti dalle province autonome di Trento e Bolzano: la Regione Veneto lo ha chiesto ufficialmente il 13 aprile durante una riunione dell’Autorità di bacino delle Alpi orientali, l’ente ministeriale che ha il compito di tutelare le riserve idriche in Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Il Veneto ha chiesto a Trento e a Bolzano di consentire un afflusso di 20 metri cubi al secondo di acqua dai bacini montani.

Ma anche le province autonome di Trento e Bolzano hanno carenza d’acqua. Nei mesi invernali ha nevicato pochissimo e i bacini di montagna sono quasi vuoti: gli invasi sono pieni soltanto al 20 per cento sul volume totale di 255 milioni di metri cubi.

L’assessore provinciale all’Ambiente della provincia di Trento, Mario Tonina, ha detto al Dolomiti che a causa delle scarse nevicate non si vedono gli effetti del disgelo. «Quest’anno non c’è nulla da disgelare e i bacini non si riempiono», ha spiegato. «Avremo davanti anche un’estate non semplice. Dobbiamo trovare i giusti equilibri tra una produzione di energia elettrica che dovrebbe essere garantita, e che in parte è già compromessa, e le necessarie risposte all’agricoltura».

La produzione di energia idroelettrica è il motivo per cui Trento e Bolzano hanno deciso di prendere tempo per valutare la richiesta del Veneto, una posizione che in Veneto è stata interpretata come un rifiuto alla richiesta di aprire i bacini. Dolomiti Energia e Alperia, le principali aziende che gestiscono la produzione di energia idroelettrica nelle province di Trento e Bolzano, hanno bisogno dell’acqua perché sono vincolate a contratti con Terna, società che distribuisce l’energia nella rete italiana. I contratti prevedono penali in caso non si riesca a garantire un livello minimo di produzione di energia. «Se noi dovessimo assecondare la richiesta che ci è arrivata dal Veneto, che possiamo anche considerare legittima vista la siccità, con molta probabilità non riusciremmo a garantire questo equilibrio che chiede Terna», ha detto Tonina. «Sarà alla fine una decisione politica a fissare un punto».

La crisi energetica seguita all’invasione russa in Ucraina giustifica entrambe le pretese: l’agricoltura è in difficoltà a causa della sospensione di molti approvvigionamenti dall’estero e allo stesso tempo la crisi energetica impone all’Italia di sfruttare il più possibile le fonti rinnovabili come l’idroelettrico per dipendere sempre meno dall’importazione di gas dalla Russia. Il vicepresidente e assessore all’Energia della provincia autonoma di Bolzano, Giuliano Vettorato, la definisce una “tempesta perfetta”, «in cui manca l’acqua e il caro energia richiede una maggiore produzione di idroelettrico».

I consorzi di bonifica veneti hanno già più volte limitato la possibilità di prelevare l’acqua: è una misura che non risolve in modo definitivo un problema che a causa dei cambiamenti climatici non è più considerato un’anomalia. Negli ultimi anni, infatti, il fenomeno della siccità è stato più ricorrente. Le portate dei fiumi avevano raggiunto livelli simili nel 2012, nel 2014 e nel 2017.

Campi coltivati nel delta del Po (Paolo Comai/Unsplash)

Crestani, direttore dell’ANBI, dice che non si può più programmare gli investimenti come molti anni fa. Oltre agli evidenti cambiamenti climatici, che hanno causato un aumento generale della siccità, è cambiato il modo di coltivare i campi: le concessioni irrigue venivano solitamente concesse dal 15 aprile al 15 settembre, oggi le colture necessitano di acqua da febbraio fino a novembre. «Serve un cambiamento di infrastrutture per risparmiare acqua», spiega. «In agricoltura bisogna passare dall’irrigazione a scorrimento a quella attraverso tubi, sotterranea, di precisione».

In Veneto, come in altre regioni, l’acqua non è mai mancata e per questo non si è mai pensato di aumentare i bacini sul territorio per conservarla per i momenti di siccità. Da tempo l’ANBI è al lavoro a un progetto regionale per la costruzione di nuovi bacini che serviranno a raccogliere l’acqua in eccesso, altrimenti destinata a finire in mare come accade oggi nei periodi in cui c’è abbondanza di precipitazioni.

Il progetto prevede di costruire nuovi bacini nelle aree pedemontane sfruttando vecchie cave dismesse. Un’altra possibilità è la realizzazione di invasi in pianura, sia gestiti dai consorzi che privati, realizzati da gruppi di aziende. «In Veneto l’agricoltura produce un valore di 6 miliardi di euro all’anno», dice Crestani. «Non possiamo rischiare di compromettere questo settore perché non abbiamo costruito invasi».