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  • Giovedì 3 marzo 2022

Come si sta preparando Kiev a un eventuale assedio

C'è chi vive da giorni nella metropolitana, fra mille difficoltà, chi tenta in ogni modo di lasciare la città e chi si prepara a combattere

Un uomo saluta la moglie e il figlio in partenza per Leopoli dalla stazione centrale di Kiev, in Ucraina (AP Photo/Emilio Morenatti)
Un uomo saluta la moglie e il figlio in partenza per Leopoli dalla stazione centrale di Kiev, in Ucraina (AP Photo/Emilio Morenatti)

L’invasione russa dell’Ucraina è arrivata all’ottavo giorno. Nonostante decine di attacchi e violenze nelle principali città del paese, nella capitale Kiev si combatte soprattutto in periferia. Il centro della città e i suoi palazzi principali sono ancora sotto il controllo ucraino. Si teme comunque che da un momento all’altro possa iniziare un assedio delle forze russe, dato come probabile da diversi analisti. In quanto capitale dell’Ucraina sarà verosimilmente «il luogo che decide chi vincerà la guerra», come ha scritto Daniele Raineri sul Foglio.

La vita della città è stata completamente stravolta. Da giorni migliaia di persone vivono nelle stazioni della metropolitana, che si sono trasformate in rifugi di emergenza, oppure nei sotterranei di vari edifici. Reperire cibo e acqua potabile sta diventando sempre più difficile. Le stazioni ferroviarie sono piene di persone che tentano di lasciare la città, a volte senza sapere dove vanno i treni su cui salgono; infine c’è chi si prepara, e prepara le strade della città, per i combattimenti.

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Prevedere come evolverà la situazione – se, come e quando i russi potrebbero prendere il controllo di Kiev – è al momento molto difficile. Ma tra le persone che ci abitano, il timore che la città cada presto sotto il controllo dei russi è reale e tangibile: chi sta a Kiev, in sostanza, si sta preparando in vari modi al loro arrivo e all’intensificarsi delle violenze.

Chi ha deciso di farlo restando in città vive ormai quotidianamente con la paura dei bombardamenti, anche perché dal primo giorno di invasione, a Kiev, suonano le sirene antiaeree, diventate una specie di tappeto sonoro della vita della città. Molte persone hanno deciso di restare nelle proprie abitazioni, dormendo in cantina oppure per terra, in mezzo ai corridoi, per ripararsi vicino ai muri più stabili o nei punti della casa ritenuti più sicuri nell’eventualità di un bombardamento.

Migliaia di persone, però, hanno lasciato le proprie abitazioni per rifugiarsi in spazi sotterranei. Soprattutto nella metropolitana, dove secondo il sindaco di Kiev hanno trovato rifugio circa 15mila persone, soprattutto donne e bambini.

Le banchine della metropolitana di Kiev sono piene di materassi di gommapiuma, su cui dormono anche tre o quattro persone alla volta. Laggiù infatti si dorme per terra: le poche panchine disponibili sono occupate da chi è arrivato per primo e ci ha messo le proprie coperte. Altre persone hanno portato con sé alcune tende da campeggio per cercare di ritagliarsi uno spazio il più possibile privato in mezzo alle altre persone. Molti hanno portato con sé gli animali domestici. I punti in cui ci sono prese elettriche, ha scritto il New York Times, sono stati frettolosamente trasformati in «stazioni di ricarica per cellulari», usate a turno dalle persone che vivono ormai da giorni nella metropolitana e si informano sugli sviluppi della situazione anche grazie agli smartphone. In metropolitana ci sono, per ora, bagni funzionanti.

Molte famiglie sono divise: una donna che in questo momento vive nella metropolitana di Kiev, per esempio, ha portato con sé la figlia di sei anni, ma l’altro figlio è rimasto dalla nonna, che abita fuori Kiev, e il marito è invece impegnato nei combattimenti con l’esercito ucraino.

Sulle banchine della metropolitana non ci sono soltanto materassi ma anche valigie, borsoni e sacchi di plastica pieni di cibo e provviste. Provviste che, stando alle testimonianze che arrivano da Kiev da vari giornalisti, sembrano sempre più difficili da reperire.

Andrew Kramer, inviato a Kiev per il New York Times, scrive che a portare cibo e beni di prima necessità nella metropolitana sono soprattutto volontari, che entrano e escono dagli ingressi delle stazioni, spesso presidiati da soldati. Man mano che i bombardamenti procedono, però, gli scaffali dei supermercati di Kiev sono sempre più vuoti, mancano soprattutto beni meno costosi e di immediato consumo.

Appena finito il coprifuoco che era stato imposto nel fine settimana (ma che resta comunque in vigore di notte), si sono infatti formate lunghissime code di persone fuori dai supermercati, che hanno comprato quel che potevano: soprattutto beni di prima necessità e acqua potabile, che comincia a mancare nelle case a causa dei danni causati alle tubature e agli acquedotti dai bombardamenti.

In un supermercato del centro di Kiev, ha scritto Al Jazeera, sono rimasti solo i cibi più costosi come la cioccolata svizzera, i formaggi francesi o il prosciutto spagnolo, mentre sono finiti cibi come il pane o la verdura. E ci sono problemi logistici per i rifornimenti: il cassiere di un supermercato ha detto che dato che la città è di fatto circondata dai russi, non è sicuro del fatto che arrivino i carichi di rifornimento previsti per la giornata. Esiste un problema simile con le medicine.

Oltre alla metropolitana gli abitanti di Kiev si stanno rifugiando anche in altre aree sotterranee: le cantine dei condomini, ma anche i sotterranei degli ospedali, allestiti come possibile per continuare a fornire assistenza a chi ne ha bisogno. Una clinica ostetrica di Kiev, per esempio, sta tentando di continuare a funzionare nei sotterranei: il suo direttore, Dmytro Govseyev, ha detto al New York Times che dall’inizio della guerra, in quei sotterranei, sono già nati cinque bambini.

Una donna che ha appena partorito nei sotterranei di un ospedale di Kiev, in Ucraina (AP Photo/Efrem Lukatsky)

Nel timore che i russi prendano presto il controllo della città, comunque, tantissime persone stanno tentando invece di lasciare Kiev e andare altrove: il Kyiv Independent ha scritto che le persone se ne stanno andando «in treno, in macchina e a piedi», portando con sé quello che possono. Sul Foglio, Raineri ha paragonato i flussi di persone a una «evacuazione di massa».

Il mezzo principale per riuscire a lasciare la città sembra essere ancora il treno, che El País ha definito il «principale cordone ombelicale» con le altre aree del paese, soprattutto a ovest (la parte dell’Ucraina più vicina ai paesi europei e più lontana dalla Russia). Anche perché i bombardamenti non hanno ancora colpito le rotaie, che sono quindi ancora intatte. Le stazioni, raccontano gli inviati sul campo, sono affollate e piene di persone che tentano di informarsi sulle direzioni dei treni in partenza, magari per raggiungere città in cui hanno amici e parenti, o che semplicemente salgono sui primi treni che trovano.

A volte succede che debbano saltarci sopra in corsa, come ha scritto BuzzFeed raccontando di una donna che dopo aver passato la propria figlia piccola a un poliziotto a bordo, ha visto partire il treno e ci è salita all’ultimo secondo, mentre cominciava ad accelerare. I treni sono affollatissimi, in generale, e davanti alla stazione centrale di Kiev sono rimaste svariate macchine di persone che, con molta probabilità, non torneranno a prenderle. Anche per questo le autorità cittadine le stanno portando via.

In città, poi, in molti si preparano a combattere: oltre ai soldati, anche diversi civili. «Quasi in ogni strada», ha scritto Andrew Kramer sul New York Times, sono state messe in piedi barriere fisiche per bloccare le strade, tra cui pneumatici messi a terra, pronti per essere incendiati e creare così schermi di fumo: una tecnica adottata in vari contesti di guerriglia urbana. A partire da mercoledì inoltre molte strade di Kiev sono state chiuse alle auto civili e sono comparsi numerosi cartelli di avvertimento sulla presenza di mine anticarro.

L’esercito ucraino ha anche fatto esplodere alcune infrastrutture che avrebbero potuto essere usate dall’esercito russo per raggiungere la città, come i ponti. Hanno iniziato a farlo già al secondo o terzo giorno di invasione, coordinandosi con alcuni volontari che controllavano il passaggio e aiutavano chi voleva lasciare la città ad attraversarlo. Ora molti ponti non sono più utilizzabili.

Una donna e la sua famiglia tra i relitti di un ponte fatto esplodere a Kiev, in Ucraina, dall’esercito ucraino, per bloccare l’accesso alla città ai russi (AP Photo/Emilio Morenatti)

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