Colobraro, il paese della magia

Negli ultimi anni il "paese innominabile" ha trasformato il marchio di iettatore in un'occasione di sviluppo economico, culturale, turistico

di Claudio Caprara

Colobraro è un comune di poco più di mille abitanti in provincia di Matera: il sindaco, Andrea Bernardo, ci accoglie nell’ex Convento dei francescani, poco fuori il centro del paese. Il palazzo sorse attorno al 1600. Oggi è stato restaurato ed è diventato un museo DEA, il museo demo-etno-antropologico del magico e del fantastico.

Bernardo ci tiene a sottolineare che Colobraro è il paese della magia, ma per tanti anni, in alcuni ambienti anche oggi, il suo nome non si poteva dire, anzi spesso era identificato solo come quel paese.

«I miei genitori erano insegnanti e io sono arrivato qui quando furono trasferiti. Avevo appena due anni. Da allora ho sempre abitato qui.»

«Chi dall’alto del colle di Colobraro ha visto la tragica valle del Sinni ampia, sconvolta, lunare, o percorrendo la strada da Ferrandina a Pisticci ha rivolto lo sguardo all’arida creta del paesaggio, si rende conto di quel che significa un mondo precario, che si disfà lentamente e che retrocede verso il caos. Contemplando questo aspetto del materano il tema della nascita sventurata così diffuso nella letteratura popolare dell’Italia meridionale acquista per noi il suo esatto significato.»

Andrea Bernardo ha 58 anni, è avvocato ed è stato eletto sindaco di Colobraro per la terza volta nel giugno del 2017. La lista civica “Il Rilancio” che lo ha candidato ha ottenuto il 91,26% dei voti. Dal luglio scorso è anche il presidente dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia) della Basilicata. (Claudio Caprara/Il Post)

Così lo descriveva Ernesto De Martino nell’introduzione del documentario radiofonico “Spedizione in Lucania“, realizzato per la Rai, tra il 1953 e il 1954.

Per molti versi il panorama che si ammira dalle terrazze del paese, in cima al monte su cui è adagiato, è ancora lo stesso. Più affascinante che deprimente.

Quel paese

Bernardo, come tanti, da piccolo non sospettava di abitare nel paese innominabile.

Spiega così come lo ha scoperto: «Io e molti miei coetanei lo abbiamo capito casualmente, quando abbiamo cominciato ad uscire da Colobraro, dopo le scuole medie. Io ho fatto il liceo a Senise e quando dissi da dove venivo, qualcuno mi ha guardato spaventato, altri più o meno scherzando mi hanno detto: “ah! Sei di quel paese…” Ovviamente abbiamo tutti chiesto spiegazioni agli adulti e ci hanno detto che Colobraro era diventato quel paese, perché nominandolo avrebbe portato iella».

Bernardo, come tutti, non gradiva questa situazione.

«Io giocavo a calcio, quando arrivavamo alle partite contro di noi c’erano atteggiamenti ostili. La cosa ci dava fastidio, ovvio. Poi ci siamo chiesti come reagire con intelligenza. Qualche anno dopo, con gli amici, abbiamo creato insieme alla Pro Loco un’associazione culturale di persone iscritte all’università e abbiamo messo in piedi alcuni progetti di studio, di approfondimento, per cercare di capire e dare una risposta di tipo culturale a questa condizione che a noi appariva paradossale. I nostri studi si basavano sui libri di Ernesto De Martino, sui documenti audio e video che erano stati prodotti in occasione dei suoi due viaggi in Basilicata nel 1952 e nel 1959, e sul lavoro dei fotografi che lo accompagnarono, in particolare di Franco Pinna e di Luigi Di Gianni».

Il magismo studiato da De Martino aveva radici profonde e si sviluppò tra le popolazioni più povere e umili: là dove il reddito era frutto del lavoro salariato, per lo più avventizio, retribuito con denaro o in natura secondo le convenienze dei proprietari terrieri.

Era un popolo che non vedeva alcuna alternativa tra «magia» e «razionalità». Esisteva solo la buona o la cattiva sorte.

«Il nostro problema – ricorda il sindaco – era che studiavamo, facevamo dei convegni, era tutto molto interessante, ma le conoscenze rimanevano confinate ad una ristretta cerchia di esperti e questa cultura non diventava patrimonio di massa».

L’origine della cattiva reputazione

L’origine della nomea di Colobraro è relativamente recente ed è legata a un aneddoto.

«Tutto deriverebbe – spiega Bernardo – dalla caduta di un lampadario».

Alla fine degli anni ’40 del Novecento, un notaio di Colobraro si trovava in un palazzo nobiliare di Matera, in uno di quei salotti tipici del meridione e tra una chiacchiera e l’altra venne fuori una sorta di scommessa: «se non dico la verità, che quel lampadario possa cadere!».

Pare che effettivamente il lampadario sia crollato, pesante com’era. Forse perché era stato sistemato poco tempo prima, magari in un lavoro non fatto a regola d’arte.

«Io questo aneddoto l’ho sentito per la prima volta nel 1977. Ammesso e non concesso che questa cosa sia realmente accaduta non si capisce il motivo per cui la nomea sia “caduta addosso” a tutto il paese e non – come era successo nella Patente di Luigi Pirandello – alla persona protagonista di quell’episodio. Noi tendiamo a credere – sostiene Bernardo – che ci fossero invidie da parte dei paesi vicini, perché siamo convinti che il nostro sia uno dei più bei comuni della regione».

Abbiamo concesso lo spot al sindaco, ma certamente dal momento del crollo del lampadario, qualunque cosa succedesse, Colobraro è stato guardato e raccontato da un solo punto di vista: quello della sfortuna. Se si conosce un lucano e si fa quel nome immediatamente si nota una diversa espressione e spesso è chiaro che preferisce cambiare argomento di conversazione.

Un luogo che è diventato capro espiatorio.

Ernesto De Martino

A contribuire alla fama sinistra del paese non si è sottratto neppure Ernesto De Martino, il più importante etnologo italiano.

Anzi.

In un resoconto del suo viaggio pubblicato sulla rivista Nuovi argomenti nel 1953, scrive: «Colobraro è, per quel che se ne dice in Lucania, un paese di iettatori. A Matera ci hanno detto che quando un colobrarese viene in città per sbrigare qualche pratica negli uffici, è consigliabile essere gentile con lui, e secondarlo per quanto è possibile. Altrimenti, non si sa mai. A Pisticci ci hanno pregato di evitare quel nome, e di usare una perifrasi, per esempio: “il paese che non si dice”. A Ferrandina hanno predetto alla nostra spedizione gomme forate e altri malanni sulla salita di Colobraro, e ancor peggio in paese, se avessimo deciso di sostarvi. E tanto ci hanno tormentato con storie sinistre, con ricordi di antiche sciagure e con annunzi di nuove, che quando siamo giunti a Valsinni, ai piedi del colle di Colobraro, siamo stati presi da una leggera inquietudine, che par fatta a posta a tirarci i guai addosso».

A sentire il ricordo di amici e collaboratori, i racconti di De Martino erano esilaranti.

L’auto su cui viaggiavano faticò molto a salire le rampe che portano al paese. La troupe dovette portare il veicolo da un meccanico e per sistemarlo spesero una cifra enorme nel 1952: 23.000 lire.

Il motivo dell’arrampicata a Colobraro era un incontro per registrare i canti tradizionali di uno zampognaro. Solo in serata, qualche ora dopo il loro arrivo, scoprirono che l’uomo aveva avuto un incidente ed era morto. Era caduto dall’autocarro che lo portava a casa dopo il lavoro, ma a favorire la tragedia aveva contribuito il suo stato di ebbrezza.

«Aveva bevuto – raccontarono i suoi compagni di viaggio – per festeggiare il ritorno al lavoro dopo che era stato fermo per mesi».

De Martino avrebbe voluto registrare le litanie della veglia funebre organizzata nella casa del defunto.

Racconta: «guardo nella bara: la zampogna è accanto al cadavere. Qualcuno mi sussurra all’orecchio che il prete si è rifiutato di benedire la salma, perché si tratta di uno che è morto in stato di ubriachezza. Mi si informa anche di un corvo che, mentre il cadavere era sulla via, ne ha sfigurato il volto a colpi di becco. Mi rendo conto che, almeno per il momento, dobbiamo rinunziare ai nostri propositi di registrare il lamento».

Sogno di una notte a quel paese

Con buona parte del gruppo di amici con i quali Bernardo si era appassionato agli studi antropologici ed etnografici, si è presentato alle elezioni ed è diventato sindaco.

«Questo è il quindicesimo anno che sono sindaco».

Fin dal primo momento questo gruppo di giovani amministratori  ha pensato di realizzare una produzione teatrale di “pubblica utilità”, che allo stesso tempo tenesse insieme la valorizzazione della storia del territorio, facesse conoscere quei fatti che avevano a che fare con le credenze magiche di cui si parlava con circospezione, pudore e timore, e potesse rappresentare un’attrazione per i turisti che non conoscevano Colobraro.

«Volevamo mettere in scena uno spettacolo itinerante nel nostro centro storico, per mostrare il castello (che abbiamo recuperato), la chiesa matrice e la cappella gentilizia, i panorami che si godono dal centro del paese. L’abbiamo chiamato Sogno di una notte a quel paese, per affascinare i turisti già dal titolo».

I protagonisti sono diventati i ragazzi delle scuole e i cittadini. Dall’inizio è stato coinvolto un centinaio di persone e per promuovere questo spettacolo tanti colobraresi sono andati nelle spiagge del litorale ionico invitando uno ad uno i turisti, che fin dal primo anno sono accorsi in un numero molto superiore alle aspettative degli organizzatori.

È stato il modo per rovesciare il punto di vista: quelli che erano elementi di discriminazione e di isolamento sono diventati occasione di accoglienza, stimolo e crescita culturale.

«Essere di Colobraro, per me e per chi ha seguito il nostro percorso di impegno culturale, non è mai stata una sofferenza e non ci siamo mai sentiti discriminati. Non nego che per una parte dei nostri concittadini i pregiudizi contro di noi siano stati un problema. In diversi contesti sono stati tanti quelli che hanno preferito evitare di dire il proprio luogo di origine per non incorrere in situazioni sgradevoli».

Quando poi i giornali nazionali, a partire dal Corriere della Sera, hanno cominciato ad occuparsi del “paese innominabile” e delle fattucchiere, le notizie (e i pregiudizi) si sono divulgati molto più velocemente.

«Quello non è stato un bel periodo e – nonostante il nostro naturale senso di accoglienza e di apertura – quando arrivava qualcuno da fuori il sentimento dominante era la ritrosia. Le persone non si volevano far fotografare, non volevano farsi intervistare… Non sono mancate reazioni un po’ scomposte. Oggi le cose sono radicalmente cambiate e prevale un senso di orgoglio nell’essere riusciti a rovesciare l’immagine del nostro paese.»

Non è vero, ma ci credo

Secondo il sindaco Bernardo «Colobraro non è un paese particolare, le persone non sono credulone. Abbiamo tradizioni profonde e una cultura che ha radici nel lavoro dei campi, nella pastorizia, nella vita difficile di queste zone. Conosciamo i riti in che si sono diffusi da noi e anche qui si è diffuso quel modo di pensare ambiguo e ironico, che ha caratterizzato i salotti illuministici del Mezzogiorno, e in particolare quelli napoletani: “Non è vero, ma ci credo”. I riti e i gesti scaramantici sono sopravvissuti e vengono utilizzati in tutte le categorie sociali. Cresce continuamente il numero di italiani che si rivolgono a maghi o fattucchiere».

In una ricerca della società SWG del luglio dello scorso anno, su un campione rappresentativo della popolazione italiana è stato rilevato che «aumenta la superstizione, con il 40% degli intervistati che dichiarano di essere, almeno in parte, superstiziosi. Il quadro generale conferma quindi da un lato una tensione e una ricerca verso modelli di spiegazione della realtà e di gestione della propria esperienza di vita che superano la dimensione della razionalità scientifica, dall’altro l’estrema fatica dei sistemi religiosi tradizionali a intercettare e soddisfare questa domanda».

Vale la pena andare a leggere su questo la tesi esposta da Ernesto De Martino in Sud e magia come «la ideologia della iettatura, che non è la cupa fascinazione medievale o dell’epoca dei processi contro le streghe, né la fascinazione della magia naturale, ma una formazione di compromesso di origine colta, e che si attiene ad una disposizione psicologica fra seria e faceta, scrupolosa e scettica. Nella ideologia della iettatura, così come fu elaborata da alcuni illuministi napoletani, alla ragione umana consapevolmente riformatrice e pianificatrice della vita sociale viene contrapposta con discreta ironia la figura dello iettatore come individuo che inconsapevolmente e sistematicamente introduce il disordine nella sfera morale, sociale e naturale della realtà, e che nel mondo sta come colui che, per cieco destino, fa andare sempre le cose di traverso».

A volte, in certi atteggiamenti, il senso dell’ironia non è così evidente.

Segreto

Bernardo è convinto che né a Colobraro, né nei paesi vicini, esistano delle associazioni segrete.

«Ci conosciamo tutti, se tre persone si mettessero insieme per fare progetti lo saprebbero tutti immediatamente. Non c’è dubbio però che il segreto sia un elemento importante. Era un segreto da mantenere la formula e il rito che le fattucchiere e le maciare facevano. Anche se con l’andare del tempo si è trasformato in un segreto di Pulcinella visto che era uguale per tutte le fattucchiere e le maciare e anche coloro che venivano sottoposti a questi riti poi lo svelavano».

La descrizione che in “Sud e magia” fa Ernesto De Martino del “trattamento della fascinatura” (o affascino, o attaccamento, o malocchio, o invidia, o fattura) negli anni ’50 del secolo scorso, è minuzioso.

La maciara cominciava col tracciare col pollice un piccolo segno di croce sulla fronte della “paziente”, e poi recitava la seguente formula:

Padre, Figliolo e Spirito Santo
Fascinazione vai via di là
Non affascinare N. N.
che è carne battezzata.
Padre, Figliolo e Spirito Santo,
Fascinazione non andare più avanti.
La fattucchiera entrava in uno stato di coscienza al limite tra del delirio per immedesimarsi «nello stato di fascinazione del cliente».

«Molte nostre nonne – conferma il sindaco – hanno trasferito alle figlie, oralmente, ma sempre in forma confidenziale e riservata, le ricette che avevano appreso dalle loro madri. Qualsiasi cosa sia preparata, sia essa un piatto o una pozione, è tutta un po’ casuale e approssimativo. Gli ingredienti sono misurati a pizzichi, a pugni a mezzi pugni…»

«Il malocchio o la presa d’occhio – ci spiega Bernardo – per chi ci crede, può essere prodotto da chiunque perchè è generato da uno sguardo invidioso o anche da semplici apparenti complimenti espressi in momenti particolari della vita: la nascita di un figlio, la fase dell’allattamento».

La definizione scientifica di De Martino è questa: «la fascinazione comporta un agente fascinatore e una vittima, e quando l’agente è configurato in forma umana, la fascinazione si determina come malocchio, cioè come influenza maligna che procede dallo sguardo invidioso, con varie sfumature che vanno dalla influenza più o meno involontaria alla fattura deliberatamente ordita con un cerimoniale definito, e che può essere fattura a morte».

Anche Luigi Di Gianni è un autore e regista di documentari che ha raccontato queste storie. Nel 1958 si aggregò al secondo viaggio di De Martino in Lucania e da quell’esperienza nacque Magia lucana, probabilmente il migliore dei documentari etnografici di quel periodo.

Prospettive

Contro Andrea Bernardo, eletto con oltre il 90% dei voti, a Colobraro non esiste opposizione. Il sindaco, dal luglio scorso, è anche il presidente dell’Anci della Basilicata, e si può affrontare con lui il tema di che cosa diventeranno i piccoli comuni del sud nel prossimo futuro.

«Gli investimenti che ci sono stati in Basilicata che sono stati resi possibili sia per l’arrivo di risorse provenienti dai fondi europei, sia da quelli nazionali e anche per i ricavi provenienti dall’estrazione del  petrolio hanno permesso di migliorare la qualità della vita dei lucani. Solo nel nostro comune abbiamo recuperato e valorizzato degli spazi di interesse storico e culturale e siamo diventati attraenti per un turismo di qualità. La stessa cosa è avvenuta in tutta la regione. A questo ha molto contribuito l’esperienza di Matera 2019, capitale europea della cultura».

Le manifestazioni che hanno messo al centro dell’attenzione il capoluogo lucano hanno contribuito a promuovere l’intera regione.

«All’inizio è servita a rilanciare l’immagine del nostro territorio e ad attrarre molti visitatori. Ora il problema non è solo mantenere questa attenzione, ma soprattutto trattenere un turismo di qualità nei nostri paesi».

È innegabile che lo svuotamento dei piccoli centri del sud sia il problema più importante che hanno di fronte gli amministratori.

«Lo spopolamento non è solo un nostro problema. Non ci sono – come è ovvio – grandi movimenti migratori come dopo le due guerre mondiali. Il problema di fondo è che i giovani che vanno a studiare lontano, non rientrano. Ottengono titoli di studio così elevati e difficilmente potrebbero svolgere le attività per cui si sono laureati qui. L’altro fenomeno generale è il calo demografico. Se si guardano le foto di Franco Pinna degli anni ’50 si notano nugoli di bambini. Oggi i dati sono noti: il numero delle morti è molto superiore a quello delle nascite. Il saldo negativo, per fortuna, veniva compensato dall’arrivo degli extracomunitari, ma purtroppo le tendenze della politica non sembrano favorire un’immigrazione razionale, vale a dire l’arrivo di forza lavoro utile alla crescita di territori come i nostri. Se non si favorisce una mobilità globale il primo risultato sarà che tra cinque anni, o anche meno, i piccoli comuni – ad esempio – non avranno più una scuola. In prospettiva si svuoteranno le scuole medie e poi le superiori. Senza questi contenitori culturali, che oggi abbiamo sistemato e resi sicuri ed efficienti, quali prospettive abbiamo?»

Il senso di comunità

Le risorse su cui possono contare i piccoli comuni sono limitate, ma per tenere aperti i musei, per l’allestimento delle sale, per la gestione degli spazi culturali a Colobraro c’è un nutrito gruppo di volontari che fanno capo all’associazione “Sognando il magico paese”.

«Da noi – dice Bernardo – grazie alle iniziative e alla collaborazione si è creato un senso di comunità che ci rende orgogliosi della nostra appartenenza».

Con l’incrementarsi degli eventi sono tante le persone che hanno partecipato sia alle rappresentazioni della notte delle streghe, il 23 giugno, prima del giorno di San Giovanni, sia alle recite che si fanno nei mesi estivi.

Ci sono state più di 400 repliche delle rappresentazioni dei riti delle maciare e delle fattucchiere alle quali hanno partecipato almeno 120mila spettatori in 11 anni.

«Noi lucani non siamo troppo bravi a vendere noi stessi. Facciamo volontariato, lavoriamo, ma se fossimo in grado di presentare meglio il nostro prodotto, forse riusciremmo ad ottenere risultati migliori e ad avere più imprenditori privati sia nell’accoglienza e nella ristorazione, ma anche nell’artigianato. A me piacerebbe che potessimo diventare come una piccola Salem». La città del Massachusetts considerata negli Stati Uniti “la città delle streghe”.

La fattucchiera di Pinna

Ma a Colobraro sono più grati o arrabbiati per gli studi che ha condotto De Martino?

«Fondamentalmente noi siamo grati a Ernesto De Martino. I suoi testi sono stati molto importanti per la nostra formazione. Poi, approfondendo la sua conoscenza abbiamo capito che tra gli antropologi c’era un enorme dibattito sulle sue tesi. Noi ci siamo convinti che il suo studio è stato parziale. Io, quando accompagno le persone ai nostri musei, o spiego ai nostri ospiti i monumenti del nostro comune faccio una battuta: De Martino è stato un po’ come il Gabibbo. Cioè ha cercato una notizia particolare, settoriale che potesse impressionare i suoi lettori. Ora, ci sono dibattiti infiniti su questo: su perché l’illuminismo non è arrivato in Basilicata, su come la scelta di svolgere uno studio su una sola parte della popolazione, quella più umile e arretrata, ha sviluppato una visione parziale della realtà lucana. Lui venne in Basilicata nel 1952 e nel 1959 e qui si fermò per poco tempo».

C’è da considerare che nel 1952 la spedizione di De Martino fu una vera e propria avventura pionieristica e per la prima volta in Italia venivano utilizzati strumenti della tecnologia per studiare l’etnologia.

Franco Pinna, uno dei più importanti fotografi del neorealismo italiano – come spiega la Treccani – «venne coinvolto in qualità anche di cineoperatore, insieme a Diego Carpitella (musicologo), Marcello Venturoli (critico d’arte) e Vittoria De Palma (antropologa)» nel viaggio di De Martino.

A confermare l’osservazione di Bernardo c’è una ricerca per la rivista Nuovo Meridionalismo Studio del professor Eugenio Imbriani che analizza la celebre fotografia di Franco Pinna che rappresenta la fattucchiera di Colobraro (che peraltro è diventata anche il simbolo del museo e delle attività culturali del comune) partendo dagli appunti del fotografo stesso.

 

«Maddalena La Rocca, vecchia fattucchiera del paese – annotava Pinna a proposito degli scatti – caduta ora in disgrazia. Ha avuto quattro figli, tutti morti; anche il marito è morto in un incidente sul lavoro, in una cava di pietra. Non ha mai visto il treno e neanche il mare, non ricorda quando è nata e vorrebbe vedere il Papa. Gli abitanti della regione sono molto superstiziosi e considerano Colobraro come un paese che porta sfortuna».

In realtà «la signora immortalata non si chiama Maddalena La Rocca – sostiene Imbriani avendo verificato che, all’epoca, a quel nome non apparteneva a nessuna abitante di Colobraro – non è una fattucchiera, tantomeno caduta in disgrazia, i figli non erano tutti morti e sapeva bene quando era nata».

Sulla base delle ricerche si è scoperto che si trattava di Maria Francesca Fiorenza (nata a Colobraro, il 29 febbraio 1872 e morta il 26 gennaio 1954), una semplice contadina, filatrice e tessitrice «come la maggior parte delle donne del paese all’epoca. Le spille appuntate sul vestito sono rivelatrici, probabilmente, di un impegno domestico temporaneamente sospeso per venire incontro alle richieste degli ospiti forestieri».

Questa tesi è confermata da Angela Robertazzo, che abbiamo incontrato nell’erbario del paese.

Anche secondo lei De Martino ha forzato la sua tesi e la foto è stata preparata.

L’erbario di Colobraro

Il lavoro di ricerca che si è avviato a in questo comune ha l’obiettivo di “spiegare bene” il complesso di attività che si svolgevano storicamente in questa zona e, a proposito dell’uso delle erbe del territorio, c’è stato un lavoro di ricostruzione delle ricette e dell’uso delle erbe che si rifà alle conoscenze orali delle persone più anziane della zona.

Le erbe dell’erbario sono quelle che si trovano nei prati e nelle colline della zona in primavera e in autunno. Ogni specie è collegata ad una specifica ricetta di decotti ed ognuna di esse viene collegata ad un malessere fisico od esistenziale.

Tra questi malesseri ci sono anche i “mali d’amore”.

«La possibilità magica di fascinare e di essere fascinato trova un terreno elettivo nella vita erotica – spiega De Martino in “Sud e Magia” – solo che mentre gli scongiuri contro il malocchio e l’invidia tentano di istituire una difesa dalla energia maligna che insidia le persone e i loro beni, gli incantesimi d’amore sono generalmente impiegati per stringere chi si ama con un legame invisibile e irresistibile».

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