Costruire navi in cemento armato non fu una grande idea
Vi si fece ricorso per supplire alle carenze di acciaio durante le Guerre mondiali, ma si capì in fretta che era un bel rischio
Poco distante dalla costa di Powell River, una città canadese che affaccia sullo Stretto di Malaspina, nella regione della Columbia Britannica, dieci navi di grandi dimensioni costruite negli anni Venti e negli anni Quaranta e in seguito abbandonate formano oggi una barriera di fatiscenti frangiflutti, per lungo tempo utilizzata a protezione del porto e di un piccolo bacino di stoccaggio dei tronchi d’albero utilizzati da una vicina cartiera, un tempo tra le più grandi al mondo. La particolarità di queste enormi imbarcazioni allineate è il materiale di cui sono fatte: cemento armato.
Per un certo periodo di tempo, alla fine dell’Ottocento e più intensamente durante le Guerre mondiali, il cemento fu un materiale impiegato nei cantieri navali di diversi paesi del mondo, compresa l’Italia, per la realizzazione di grandi e piccole unità da trasporto marittimo. Fu una scelta principalmente motivata dalle temporanee carenze di materie prime – il legno ma soprattutto l’acciaio, prevalentemente destinato all’industria bellica – e presentava una serie di vantaggi.
L’utilizzo del cemento, più economico dell’acciaio e più facilmente reperibile durante le Guerre, permetteva di accelerare i tempi di produzione delle unità navali e, in alcuni casi, di ridurne complessivamente i costi, facendo peraltro venir meno la necessità di pitture e vernici da utilizzare come rivestimento per evitare la corrosione del metallo. Questa tecnica di costruzione prevedeva generalmente l’utilizzo di intelaiature di reti di acciaio sovrapposte, saldate e poi inglobate nel cemento per realizzare le pareti e lo scafo delle navi.
Il principale punto debole delle navi in cemento armato era la nota fragilità dello scafo in caso di collisione, ragione che in diversi casi determinava un relativo aumento dei costi operativi. Per ridurre il rischio di subire danni, gli scafi delle grandi navi da trasporto dovevano infatti essere più spessi del normale, e questo portava o a una riduzione dello spazio per il carico rispetto alle imbarcazioni costruite con materiali tradizionali, o a un aumento significativo dell’area occupata dalla sezione trasversale della nave. E questo portava a sua volta a un aumento del peso complessivo e alla necessità di più energia per muovere la nave.
Chiatte fluviali in cemento armato esistevano in Europa già alla fine dell’Ottocento. Ma la fase di più intensa produzione di unità mobili navali in cemento armato fu durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, soprattutto negli Stati Uniti, dove l’esercito ordinò la costruzione di piccole flotte di navi oceaniche. La più grande tra queste fu la SS Selma, un’unità da 6.826 tonnellate di stazza lorda, lunga 125 metri e larga 16, varata nel 1919 – lo stesso giorno della firma del patto di Versailles, il trattato di pace che pose ufficialmente fine alla Prima guerra mondiale – e poi brevemente utilizzata come petroliera.
Meno di un anno dopo il varo, una collisione con un molo a Tampico, in Messico, provocò l’apertura di una falla lunga 18 metri nello scafo della nave. Dopo una riparazione provvisoria e numerosi tentativi inutili di ripararla completamente e poi rivenderla, la SS Selma fu infine abbandonata nella baia di Galveston, in Texas, dove si trova ancora oggi, parzialmente sommersa.
La più antica imbarcazione in cemento armato conosciuta risale al 1848 e fu costruita da un inventore francese chiamato Joseph-Louis Lambot. Era uno scafo di piccole dimensioni, presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 1855. Un ingegnere italiano, Carlo Gabellini, cominciò poi alla fine dell’Ottocento a costruire imbarcazioni di piccole dimensioni in ferrocemento, una sorta di cemento armato con tondini di minor diametro e lastre più sottili e più facili da sagomare.
La prima imbarcazione in ferrocemento destinata ai viaggi oceanici fu costruita nel 1917 dal norvegese Nicolay Fougner: era una nave da 400 tonnellate, lunga 26 metri, chiamata Namsenfjord. Fu proprio il relativo successo della Namsenfjord a indurre il governo degli Stati Uniti ad affidare allo stesso Fougner uno studio di fattibilità per la costruzione di navi di grandi dimensioni. Il 12 aprile 1918, il presidente americano Woodrow Wilson approvò un programma che prevedeva la costruzione di 24 navi da guerra in cemento armato: ne furono realizzate soltanto 12, quelle che erano già in fase di costruzione al momento della fine della Prima guerra mondiale.
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Le 12 navi del programma americano furono completate ma poi rivendute a compagnie private che le utilizzarono per lo stoccaggio di materie prime e per il trasporto mercantile. Una di queste, la petroliera SS Palo Alto, completata nel 1919, rimase inutilizzata fino al 1929 e fu poi fatta incagliare intenzionalmente al largo di una spiaggia della California settentrionale, dove negli anni successivi diventò un luogo di intrattenimento raggiungibile attraverso un molo (furono costruite a bordo una pista da ballo e una piscina) e un’attrazione turistica, infine chiusa al pubblico nel 1950.
Un’altra nave dei primi anni Venti, la SS San Pasqual, costruita in un cantiere a San Diego e poi utilizzata brevemente come petroliera, fu danneggiata in seguito a una tempesta nel 1921 e rimase inutilizzata fino al 1924. La acquistò quindi una società cubana di melassa, per utilizzarla come deposito, ma nel 1933 si incagliò al largo della costa di Cayo Las Brujas, dove si trova ancora oggi. Nei decenni successivi fu prima utilizzata come stazione di avvistamento di sottomarini tedeschi, dopo essere stata armata; poi come prigione per i soldati arrestati durante la rivoluzione cubana negli anni Cinquanta; infine, più di recente, come albergo con dieci stanze.
La fragilità degli scafi delle navi in cemento armato fu tragicamente chiara da subito, il 30 ottobre 1920, quando un grande piroscafo da carico chiamato SS Cape Fear e costruito in un cantiere navale di Wilmington, nel North Carolina, affondò in tre minuti al largo delle coste del Rhode Island in seguito a uno scontro con un’altra nave, provocando la morte di 19 membri dell’equipaggio.
Subito dopo la Prima guerra mondiale furono preferiti al cemento altri materiali e tecniche di costruzione più convenzionali, in grado di garantire la produzione di navi più facili da gestire. Ma all’inizio degli anni Quaranta e con l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale, il cemento armato fu di nuovo utilizzato in molti cantieri navali per supplire alle carenze di acciaio degli appaltatori. Oltre alla costruzione di due dozzine di navi, il governo americano commissionò anche la costruzione di grandi chiatte in cemento armato, da trainare tramite rimorchiatori, che furono utilizzate in molte importanti operazioni militari, incluso lo sbarco in Normandia.
Dopo la Seconda guerra mondiale la tecnica della costruzione di navi in cemento armato non fu ulteriormente sviluppata. Molte di quelle esistenti furono demolite, altre abbandonate e altre ancora utilizzate come frangiflutti.