L’Ucraina vuole puntare sulle criptovalute

Per attirare soldi stranieri e darsi una nuova immagine, ma la storia e il presente del paese suggeriscono che le cose potrebbero sfuggire di mano

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)

A settembre il parlamento ucraino ha approvato una legge che regola e consente ufficialmente l’uso nel paese dei bitcoin, la più grande e rappresentativa tra le monete digitali generate a computer e utilizzabili senza bisogno di un’autorità centrale. La legge è la prima di una serie con cui il governo ucraino vorrebbe far crescere il già piuttosto attivo settore locale delle criptovalute, attirando investitori stranieri e provando a rilanciare il paese.

L’Ucraina, ha scritto il New York Times, «vuole diventare la capitale mondiale delle criptovalute». Potrebbe riuscirci, ma ci sono alcuni motivi per cui non è detto che le convenga.

La persona che più si sta adoperando affinché ciò avvenga è Alexander Bornyakov, il 38enne viceministro della Trasformazione digitale, un ministero creato due anni fa. Bornyakov – che ha fondato e guidato un paio di aziende tecnologiche e che il Kyiv Post ha definito “un secchione” – ha detto: «l’idea è diventare una delle più grandi giurisdizioni al mondo per le aziende di criptovalute, crediamo che questo settore sia il futuro e che possa dare una spinta alla nostra economia».

Il motivo per cui, così come molti altri paesi tra cui El Salvador, anche l’Ucraina guarda con interesse alle criptovalute è piuttosto semplice: secondo dati della società di analisi CB Insights nel corso del 2021 tutte le attività in qualche modo legate alla blockchain (un registro condiviso mantenuto da migliaia di terminali informatici, da cui dipendono le criptovalute e tra le altre cose anche gli NFT) hanno avuto finanziamenti per oltre sette miliardi di dollari, segno di un settore in grande crescita.

Per certi versi, in Ucraina gli investitori stranieri interessati in criptovalute potrebbero in effetti trovare terreno fertile. Come ha scritto il New York Times, già ora «gli ucraini sono tra i più assidui utilizzatori di criptovalute al mondo», al quarto posto del Global Crypto Adoption Index realizzato da Chainalysis, e nel paese «il volume delle transazioni quotidiane in criptovalute, che è pari a circa 150 milioni di dollari, supera quello delle transazioni quotidiane in valuta legale».

Nel migliore scenario possibile – quello che tra l’altro presuppone che il settore delle criptovalute continui a crescere – grazie alle criptovalute l’Ucraina potrebbe creare nuovi posti di lavoro, accelerare la sua già piuttosto avanzata digitalizzazione e guadagnare tassando le aziende che opererebbero nel suo paese. Potrebbe inoltre sfruttare l’occasione per superare i suoi tanti scandali finanziari e politici. «La speranza» ha scritto il New York Times «è di fare un gigantesco reset e riscrivere una storia di caos e disonestà che ha messo in ombra il paese sin dalla sua indipendenza nel 1991». Su YouTube, ai possibili investitori tecnologici stranieri l’Ucraina si è rivolta con un video accompagnato da musica dubstep, in cui presenta un paese in cui «chiunque può diventare presidente» e in cui illustra le varie innovazioni digitali in programma.

Bornyakov, che quest’estate è andato per lavoro nella Silicon Valley, sta promuovendo l’Ucraina all’estero come la destinazione ideale per chi cerca poche tasse, poca burocrazia e tanti ingegneri qualificati.

La questione è però più complicata di così. In Ucraina il successo avuto fin qui dalle criptovalute è infatti almeno in parte dovuto a una generale inefficienza e lentezza delle banche e a una preoccupante sfiducia nei confronti della grivnia, la valuta locale. «L’Ucraina quasi non ha un mercato azionario e quelli stranieri sono essenzialmente fuori portata» ha scritto il New York Times «e per chi vuole fare investimenti restano solo i beni immobili e le criptovalute». E tra i due, molti preferiscono queste ultime.

Ci sono tuttavia svariate cose che potrebbero andare male. Anche senza considerare l’alta volatilità delle criptovalute, c’è il problema che – insieme a tante altre attività utili e legali – tendono ad attrarre attività criminali, per esempio quelle legate ai ricatti informatici o al riciclaggio di denaro. C’è quindi chi teme che un paese instabile, che solo in questo secolo è stato sede di due diverse rivoluzioni, e con un grave problema di corruzione, mal si concilierebbe con certe criticità che presenterebbe un’espansione dell’utilizzo di criptovalute.

– Leggi anche: L’Ucraina rischia di nuovo di essere invasa

Non è nemmeno detto che all’Ucraina basterebbe riuscire – non è ben chiaro come – a rendere legale e trasparenti la maggior parte delle attività legate alle criptovalute. «Il problema è che molti imprenditori [già in Ucraina] dicono di apprezzare il sistema così com’è, con tutti i suoi difetti», ha scritto il New York Times in riferimento a quello che definisce «il paradosso al centro del problema». E cioè che «l’Ucraina fin qui ha attirato investitori stranieri non perché questi ultimi tengano molto alle leggi». Già nel 2018 Politico parlò dell’Ucraina come del “Wild East” (il selvaggio Est) delle criptovalute.

Il New York Times ha raccontato la storia di Michael Chobanian, 37enne fondatore di Kuna Exchange, un servizio per lo scambio di blockchain, con transazioni giornaliere di circa tre milioni di dollari. Chobanian ha detto: «non ci sono regole; o meglio, ci sono ma si possono infrangere: è il perfetto equilibrio tra assoluta anarchia e opportunità».

La risposta offerta da Bornyakov a critiche di questo tipo è stata piuttosto vaga: «Puoi andare in Egitto, che ha molti problemi, ma se sei un turista nessuno ti toccherà perché a livello di DNA le persone sanno che sei un turista e che porti loro soldi. Vogliamo creare una situazione simile anche qui».

In un suo articolo pubblicato alcune settimane fa da Fortune, Bornyakov offriva però argomenti diversi. Dopo aver messo in evidenza alcuni risultati tecnologici dell’Ucraina («siamo il primo paese al mondo in cui i passaporti digitali su smartphone hanno piena legalità») spiegava che «la digitalizzazione si è dimostrata uno strumento efficace contro la corruzione» perché «in sostanza, i computer non accettano mazzette».