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  • Mercoledì 20 ottobre 2021

Steve Bannon potrebbe essere incriminato per oltraggio al Congresso

Lo ha chiesto la commissione che indaga sull'attacco al Campidoglio, a causa del rifiuto dell'ex stratega di Trump di testimoniare

 (AP Photo/Thibault Camus, file)
(AP Photo/Thibault Camus, file)

Steve Bannon, ex consigliere e stratega del presidente statunitense Donald Trump e noto attivista di estrema destra, è stato accusato di oltraggio al Congresso a causa del suo rifiuto di testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta della Camera che sta indagando sull’assalto al Campidoglio (la sede del Congresso, a Washington DC) del 6 gennaio scorso.

La testimonianza di Bannon era stata richiesta dalla commissione insieme a quella di altre persone vicine a Trump, tra cui l’ex capo dello staff alla Casa Bianca Mark Meadows, l’ex vice capo dello staff Daniel Scavino e l’ex capo dello staff del ministero della Difesa Kash Patel.

L’obiettivo delle audizioni della commissione è valutare se Trump avesse in qualche modo favorito il gruppo di suoi sostenitori che il 6 gennaio aveva assaltato il Campidoglio con l’obiettivo di fermare il voto di certificazione della vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali.

La commissione, composta da sette Democratici e due Repubblicani, ha votato all’unanimità per raccomandare alla Camera di incriminare Bannon: la Camera voterà giovedì sulla raccomandazione: se verrà approvata, la segnalerà a sua volta al dipartimento di Giustizia che dovrà decidere se incriminare ufficialmente o meno Bannon. In caso di processo, se condannato, Bannon rischierebbe fino a dodici mesi di carcere.

Bannon era stato lo stratega di Trump durante la campagna elettorale del 2016. Nel 2017, dopo vari screzi con il presidente e con alcuni membri della sua amministrazione, era stato allontanato. Negli ultimi mesi di presidenza di Trump, però, Bannon si era riavvicinato a lui, e secondo la commissione d’inchiesta della Camera lo aveva sostenuto nei suoi tentativi di ribaltare il risultato delle elezioni.

Nel suo ultimo giorno da presidente Trump aveva inoltre dato la grazia a Bannon. Alcuni mesi prima, infatti, Bannon era stato arrestato con l’accusa di essersi appropriato delle donazioni raccolte per la costruzione di un muro in un tratto del confine tra Messico e Stati Uniti, allo scopo di fermare i migranti.

Bannon ha giustificato il suo rifiuto a testimoniare sostenendo che le comunicazioni che coinvolgono il presidente degli Stati Uniti siano protette dal “privilegio esecutivo” (“executive privilege”), il diritto presidenziale a non rivelare determinati argomenti al Congresso.

Anche Trump ha contestato la commissione: le ha fatto causa per aver presentato una presunta richiesta illegale per ottenere documenti riservati riguardanti la sua presidenza. La richiesta era stata presentata a sua volta dopo che l’attuale presidente Joe Biden aveva autorizzato la condivisione di una serie di documenti riservati della Casa Bianca sull’attacco del 6 gennaio. 

Nella causa civile, presentata presso il tribunale distrettuale di Washington D.C., Trump sostiene che le richieste della commissione siano «senza precedenti per ampiezza», e rivendica che quei documenti siano protetti dal “privilegio esecutivo”. Come dice il New York Times, sia l’accusa nei confronti di Bannon che la causa di Trump saranno fattori importanti per capire fino a che punto il “privilegio esecutivo” potrà proteggere l’ex presidente e i suoi alleati, e quanto in profondità riuscirà ad andare la commissione della Camera nella sua indagine.