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  • Lunedì 6 settembre 2021

I talebani si sono presi l’Afghanistan anche grazie ai social

Ai tempi del primo regime avevano vietato internet, ora lo sfruttano per costruirsi il consenso e romanzare la riconquista

(AP Photo/Rahmat Gul)
(AP Photo/Rahmat Gul)

Ai tempi del primo regime autoritario e repressivo con cui governarono l’Afghanistan dal 1996 al 2001, i talebani vietarono internet. Oggi invece è diventato uno degli strumenti più efficaci della loro propaganda, come in questi giorni hanno osservato diversi analisti.

Negli ultimi anni infatti i talebani hanno messo in piedi una strategia di comunicazione online molto efficace, che hanno sfruttato anche durante la recente campagna di riconquista dell’Afghanistan. Usano soprattutto Twitter, spesso in inglese, per comunicare coi giornalisti stranieri; ma soprattutto impiegano una serie di tecniche rivolte alle élite urbane afghane per convincerle che i propri dirigenti e miliziani siano un gruppo di moderati che ha portato pace e stabilità nel paese, col consenso generale della popolazione.

Un uomo vende bandiere talebane a Kabul, agosto 2021 (AP Photo/Khwaja Tawfiq Sediqi)

I talebani non sono il primo gruppo fondamentalista ad aver imparato come usare a proprio vantaggio i social network: anche se con obiettivi e messaggi diversi, lo aveva fatto per esempio anche l’ISIS, o Stato Islamico. Una recente analisi del centro studi americano Atlantic Council, però, ha descritto come i talebani abbiano progressivamente imparato a usare i social network e internet in generale in modo particolarmente consapevole.

Non è un lavoro recente: è iniziato nel 2002, con l’istituzione di una commissione dedicata alla comunicazione, ed è proseguito con la rimozione del divieto sulla diffusione di video e fotografie online. I talebani hanno quindi cominciato a diffondere immagini di afghani morti – uccisi, dicevano, dai soldati americani che occupavano il territorio – e, imitando al Qaida, a riprendere e divulgare le proprie esecuzioni. Nel 2005 hanno poi creato un sito ufficiale chiamato Al Emarah (L’Emirato), disponibile in cinque lingue. Nel 2008 l’uomo noto come Zabihullah Mujahid, quello che ha condotto la prima conferenza stampa dopo la presa di Kabul, è diventato la voce ufficiale del gruppo. I talebani si sono poi scritti a YouTube, a Facebook e a Twitter, raccogliendo intorno a sé una comunità di blogger che li sosteneva.

La prima occasione in cui è emerso in modo chiaro che i talebani avevano imparato a usare internet e i social media era arrivata con gli attacchi alla città di Kunduz, tra il 2015 e il 2016 (anno in cui i talebani avevano anche creato una app): molti combattenti talebani portarono con sé gli smartphone, dando moltissima visibilità sui social agli attacchi, che raccontarono come un’impresa eroica facendosi delle foto mentre piantavano la loro bandiera in diversi punti della città.

Col passare degli anni, i talebani hanno iniziato a usare i social network anche per comunicare in modo istituzionale, spesso in inglese, con toni moderati e presentandosi come una forza politica credibile agli occhi della comunità internazionale. In occasione dell’attentato alla moschea neozelandese di Al Noor a Christchurch, per esempio, i talebani diffusero una dichiarazione in inglese in cui condannavano l’attacco chiedendo al governo neozelandese di prendere provvedimenti, usando toni completamente diversi da quelli vendicativi e sanguinari usati dallo Stato Islamico nella stessa occasione.

– Leggi anche: La conferenza stampa dei talebani, spiegata

I talebani comunicano soprattutto su Twitter, con migliaia di account che usano con grandissima frequenza: secondo uno studio pubblicato l’anno scorso, nel 2018 i talebani twittavano più frequentemente del ministero della Difesa afghano, e con quasi il doppio del seguito. Quest’estate, Twitter è tornato particolarmente utile durante la rapida e sostanzialmente incontrastata riconquista del paese.

Per ogni città conquistata, i profili social dei talebani diffondevano centinaia di tweet, a loro volta pubblicati attraverso account fasulli e automatizzati, spesso annunciando prematuramente la propria vittoria. In quei giorni il solo account ufficiale del gruppo twittava una trentina di volte al giorno, documentando ogni singola mossa dei talebani, e raccontando il loro arrivo con toni epici e trionfali, creando un senso di inevitabile vittoria intorno alla loro avanzata. «La purificazione della città continua veloce. I mujaheddin sono impegnati a fortificare la città, e l’avanzata procede», scrivevano per esempio il 15 agosto mentre si avvicinavano a Kabul, in un tweet da centinaia di interazioni.

«I talebani hanno capito che la guerra si vince anche attraverso le narrazioni e le storie», ha spiegato al New York Times Thomas Johnson, esperto di Afghanistan e autore del libro Taliban Narratives: The Use and Power of Stories in the Afghanistan Conflict. Ora che l’Afghanistan è stato riconquistato e che gli eserciti occidentali hanno lasciato il paese, i talebani stanno usando le stesse tecniche per consolidare il proprio potere.

In queste prime settimane dopo la conquista del paese, i talebani stanno proponendo sui loro profili una narrazione di pace, armonia e stabilità, in totale contrasto con le drammatiche immagini dei tentativi di fuga delle persone verso l’aeroporto, e della violenza verso civili e oppositori politici. In un video pubblicato sull’account Twitter ufficiale dei talebani il giorno della conquista di Kabul, per esempio, uno di loro intervista membri della popolazione locale, mostrandoli sorridenti e contenti dell’accaduto. Un altro esempio è un recente Tweet del funzionario talebano Ahmadullah Wasiq, che si è fatto fotografare con in braccio un bambino di Kabul, scrivendo «nel cuore di Kabul, mi sono innamorato di un glorioso bambino».

I contenuti dei talebani sono poi ampiamente diffusi sui social anche da account come questo:

Muhammad Jalal si descrive come un «afghano ordinario e un attivista per la pace», ma il suo account, con cui comunica soprattutto in inglese e che è seguito da molti giornalisti occidentali, è in realtà un importante diffusore non solo dei messaggi degli stessi talebani, ma anche di qualsiasi altro contenuto che contribuisca a presentarli come portatori di pace, salvatori del popolo afghano e, come in questo caso, abili politici impegnati in importanti relazioni diplomatiche:

Se da un lato i talebani usano internet e i social network come massiccio strumento di propaganda, non è ancora chiaro come intendano gestirne l’accesso libero per il popolo afghano. Tradizionalmente, infatti, internet è un luogo in cui resistenze e opposizioni possono organizzarsi e coordinarsi. L’hashtag #DonotChangeNationalFlag, che invita a non riconoscere il governo talebano, sta avendo per esempio una buona diffusione, così come alcuni video di proteste, diffusi anche dai giornalisti occidentali.

Per il momento però rimangono fenomeni abbastanza isolati: nei giorni scorsi moltissime persone che si oppongono ai talebani hanno chiuso i propri account sui social per timore di censure, violenze e ritorsioni.

I talebani potrebbero decidere di gestire l’uso di internet in modo simile ad altri paesi autoritari, per esempio oscurando alcuni contenuti, o riducendo l’accesso a internet per determinati gruppi o regioni, oppure potrebbero fare in modo di selezionare le compagnie che possono operare sul territorio.

Per ora, si sa che i loro miliziani hanno incontrato la dirigenza di ATRA (Afghanistan Telecommunications Regolatory Authority), la più alta autorità governativa in materia di comunicazioni, e distrutto diversi ripetitori in giro per il paese. Si teme che a causa dell’attuale instabilità diverse compagnie possano decidere di lasciare il paese: l’operatore MTM, diffusissimo in Afghanistan, ha detto per esempio che sta valutando questa possibilità.