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  • Venerdì 21 maggio 2021

Un criminale turco sta mettendo in imbarazzo Erdoğan con dei video su YouTube

Sedat Peker sta facendo accuse gravissime e non provate contro diversi alleati del presidente, ed è visto da milioni di persone

Lo screenshot di un video di Sedat Peker (YouTube)
Lo screenshot di un video di Sedat Peker (YouTube)
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Nelle ultime settimane Sedat Peker, un membro del crimine organizzato turco, latitante e con noti collegamenti politici, ha pubblicato online alcuni video in cui accusa di gravi reati esponenti del governo turco, tutti alleati del presidente Recep Tayyip Erdoğan, e descrive le lotte di potere e le rivalità interne alla classe dirigente turca.

Le accuse sono gravissime (vanno dall’omicidio alla corruzione al riciclaggio di denaro), sono praticamente impossibili da provare e sono state smentite dai diretti interessati, ma i video di Peker sono ugualmente al centro del dibattito politico della Turchia per un paio di ragioni. Anzitutto, pur essendo un criminale piuttosto noto, Peker è una presenza importante nella vita politica turca: prima della sua fuga dal paese nel 2020 era una presenza frequente agli eventi mondani ed era considerato un sostenitore dell’AKP, il partito di Erdoğan. Peker si è fatto fotografare negli anni con moltissimi membri della classe dirigente turca, compreso il presidente.

In secondo luogo, i video di accuse di Peker (che finora sono sei, tutti pubblicati sul suo canale YouTube) hanno avuto in Turchia un successo eccezionale: sono stati visti milioni di volte ciascuno e hanno provocato un grande dibattito sui social media, che ha contribuito ad amplificare il suo messaggio.

La politica turca degli ultimi decenni è stata molto turbolenta, ci sono stati tentativi di colpi di stato, società segrete che hanno interferito con il funzionamento dello stato, e noti membri del crimine organizzato, come Peker, che sono diventati parte attiva del dibattito politico. Per questo per moltissimi cittadini turchi le accuse di Peker, per quanto gravi e non provate, risultano se non credibili quanto meno famigliari.

I video di Peker sono lunghissimi (durano tutti circa un’ora l’uno) e molto retorici. Sono inoltre pieni di velate minacce e allusioni: sono a inquadratura fissa, con Peker seduto a una scrivania, ma gli oggetti sulla scrivania cambiano ogni volta, cosa che ha portato gli utenti turchi a chiedersi se possa trattarsi di un messaggio in codice, o piuttosto di una burla.

Nel primo video, per esempio, Peker ha sulla scrivania in bella vista il libro Omertà di Mario Puzo, l’autore tra le altre cose de Il Padrino. Nell’ultimo video uscito, il sesto, la sua scrivania è piena di oggetti (due bicchieri d’acqua, un libro sulla storia turca, cinque buste di carta, un rosario islamico, vari altri documenti): evidentemente Peker ci ha preso gusto.


Le accuse di Peker si concentrano su ex membri del governo o sui loro familiari. Nei primi video fa accuse molto gravi contro Mehmet Ağar, ex ministro della Giustizia e dell’Interno negli anni Novanta e figura ancora influente nella politica turca, e suo figlio Tolga, attualmente parlamentare dell’AKP. Secondo Peker, Tolga avrebbe stuprato e ucciso nel 2019 una giovane giornalista del Kazakistan, Yeldana Kaharman, e con l’aiuto di suo padre e delle forze di polizia avrebbe fatto passare il crimine per un suicidio. Peker inoltre accusa Mehmet Ağar di essere uno dei leader di un’organizzazione segreta coinvolta in numerosi crimini politici degli anni Novanta, oltre che di traffico di droga e altri reati.

Uno dei temi più ricorrenti dei video di Peker è tuttavia il fatto che la dirigenza dell’AKP lo avrebbe tradito, facendo partire delle indagini contro di lui e contro i suoi affari che lo hanno costretto a lasciare la Turchia.

In questo contesto, l’obiettivo principale di Peker è Suleyman Soylu, l’attuale ministro dell’Interno, uno dei politici più potenti della Turchia, considerato come un possibile successore di Erdoğan. Peker sostiene che lui e Soylu avrebbero collaborato nella gestione di numerosi casi sporchi, che il ministero dell’Interno gli avrebbe fornito una scorta personale, e che per il tramite di Soylu e di altri avrebbe gestito con mezzi illegali numerose situazioni complicate e spiacevoli per l’AKP. Per esempio, sostiene di aver fatto picchiare a sangue un membro del Parlamento che aveva insultato la famiglia di Erdoğan, e di averlo fatto all’interno di una stazione della polizia.

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Le accuse sono numerosissime, e a un certo punto Peker cita anche Berat Albayrak, genero di Erdoğan ed ex ministro delle Finanze, sostenendo che tra loro ci fosse un buon rapporto che sarebbe stato rovinato dalle trame di Soylu. Una cosa che Peker non fa mai, tuttavia, è accusare direttamente Erdoğan, o implicarlo in qualcuna delle sua accuse.

Peker sostiene di avere la documentazione per provare gran parte delle sue accuse, e i giornali turchi di opposizione hanno contribuito a confermare alcune parti marginali del suo racconto, come i suoi collegamenti con la classe politica. In generale comunque non può essere considerato come un testimone affidabile né tantomeno imparziale, e gran parte delle accuse, specie le più gravi come quelle di stupro e omicidio, non sono provate e non hanno provocato l’apertura di nuove indagini, e dunque per ora rientrano più che altro nell’ambito della calunnia.

Molti dei racconti di Peker tuttavia ricalcano pettegolezzi e teorie del complotto che circolano da tempo in Turchia, e per questo hanno avuto grande risonanza.

Come ha scritto la rivista di cose mediorientali Al-Monitor, inoltre, è stata sorprendente anche la reazione degli accusati e della classe dirigente turca, che non ha fatto chiudere il canale YouTube di Peker ed è stata molto cauta nel commentare le sue accuse. Il ministro Soylu ha querelato il criminale oltre due settimane dopo la pubblicazione del primo video, e se l’è presa piuttosto con il giornale Cumhurriyet, che ha scritto articoli su alcune delle accuse.

L’opposizione ha approfittato dei video di Peker per cercare di danneggiare il governo: più o meno tutti i leader dei partiti rivali dell’AKP hanno condannato Soylu e gli altri dirigenti governativi coinvolti, e in alcuni casi hanno contribuito alle accuse: un membro del CHP, il principale partito dell’opposizione, ha accusato il ministero dell’Interno di aver fornito a Peker equipaggiamento speciale per evitare le intercettazioni telefoniche.

Secondo il New York Times, anche se lo scandalo generato dai video di Peker ha poche possibilità di portare a conseguenze politiche reali, si tratta comunque di un colpo in più alla reputazione di Erdoğan, già danneggiata dalla cattiva gestione dell’economia e della pandemia da coronavirus.

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A rendere avvincente questa storia per molti cittadini turchi c’è anche la figura di Peker, che da circa trent’anni è un personaggio noto alle cronache sia per le sue attività criminali sia per i suoi collegamenti con il mondo politico. È un leader della criminalità organizzata piuttosto noto, e nel corso della sua vita è stato accusato di moltissimi crimini, dall’estorsione all’omicidio. Fuggì per la prima volta dal paese negli anni Novanta, per poi tornare all’inizio dei Duemila e affrontare diversi processi, tra cui il celebre processo Ergenekon, in cui diversi membri dell’esercito e di altre importanti istituzioni furono accusati di complottare contro lo stato.

Peker è anche un ultranazionalista, che nel corso degli anni ha sostenuto ideologie politiche di estrema destra ed è stato un sostenitore del presidente conservatore Erdoğan. Uno degli episodi per cui è più noto risale al 2016, quando in un messaggio pubblico minacciò di morte un gruppo di intellettuali che aveva criticato Erdoğan e chiesto la fine delle operazioni dell’esercito turco contro le minoranze curde: «Faremo scorrere il vostro sangue a fiumi e ci faremo la doccia con il vostro sangue», scrisse allora.

Peker fu indagato per quelle minacce, ma dopo pochi mesi le accuse furono fatte cadere. In seguito Peker ha continuato le sue attività e ha anche ricevuto un premio dal giornale Milliyet come uomo d’affari particolarmente attivo nella beneficenza.

Peker è fuggito dalla Turchia nel 2020: secondo quanto sostiene nei video, lo avrebbe fatto su consiglio del ministro Soylu, che lo avrebbe avvertito che erano in corso indagini contro di lui. Ha trascorso qualche mese nei Balcani, poi si sarebbe trasferito a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, e si ritiene che lì sarebbero stati registrati i video. Nell’aprile del 2021 la polizia turca ha fatto irruzione nelle sue proprietà a Istanbul, facendo confische e arrestando decine di suoi collaboratori. Il primo maggio è cominciata la pubblicazione dei video.