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  • Lunedì 3 maggio 2021

La “città del futuro” saudita va a rilento

Mancano gli investimenti e diversi consulenti assunti dal regime si sono dimessi: il megaprogetto per la costruzione di "Neom" sembra davvero troppo mega

Rappresentazione schematica di "the Line", la serie di comunità che nell'ambito del megaprogetto Neom dovrebbero svilupparsi su una linea immaginaria lunga 170 chilometri. (Cover Images via Zuma Press/ ANSA)
Rappresentazione schematica di "the Line", la serie di comunità che nell'ambito del megaprogetto Neom dovrebbero svilupparsi su una linea immaginaria lunga 170 chilometri. (Cover Images via Zuma Press/ ANSA)

Negli ultimi mesi la realizzazione di Neom, la “città del futuro” dell’Arabia Saudita, è andata molto a rilento, sia per motivi economici sia a causa di forti dubbi sulla sua realizzazione. Nell’idea del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, che nel 2017 aveva annunciato di voler realizzare la più grande “smart city” del mondo, il progetto avrebbe dovuto attirare moltissimi investitori, oltre a milioni di abitanti e visitatori stranieri, contribuendo a ridurre la dipendenza dell’economia saudita dal petrolio. Il Wall Street Journal ha raccontato però che per ora le cose stanno andando diversamente, e molti esperti e consulenti assunti dal regime saudita si sono dimessi o sono stati licenziati per avere espresso dubbi sulla praticabilità del progetto.

La futuristica “città” di Neom (una fusione del prefisso neo, che in greco significa “nuovo”, con la parola araba mustaqbal, “futuro”) dovrebbe sorgere nella provincia di Tabuk, nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, vicino al confine con la Giordania e dall’altra parte del golfo di Aqaba rispetto all’Egitto.

Secondo i progetti, occuperebbe la superficie di circa 26.500 chilometri quadrati – più o meno come la Sicilia – e ospiterebbe tra le altre cose residenze di lusso, spiagge con sabbia che si illumina di notte e una luna artificiale, oltre, naturalmente, a esclusivi palazzi per la famiglia reale. Per realizzarla sarebbero necessari investimenti per circa 500 miliardi di dollari (più o meno 415 miliardi di euro) e l’impiego massiccio della tecnologia in ogni settore, dalla mobilità alla produzione di energia.

L’ultimo progetto relativo a Neom è stato annunciato a gennaio e si chiama “the Line”, una serie di comunità sviluppate lungo una linea immaginaria lunga 170 chilometri attorno alla quale sorgerebbero quattro centri urbani e industriali più grossi, uno per ciascun tipo di territorio che attraversa: l’area marittima del golfo, quella desertica, la zona delle montagne e quella delle vallate.

Nella presentazione del progetto si dice che questi centri saranno sviluppati «attorno alle persone» e non attorno alle automobili: nelle parole di bin Salman, idealmente the Line sarà una città «con zero auto, zero strade e zero emissioni di anidride carbonica», per eliminare traffico e smog. Secondo quanto ha scritto il Wall Street Journal, il principe aveva pensato di inaugurare il lancio del progetto facendo installare luci potentissime lungo tutto il percorso della “linea” con l’obiettivo di farsi notare dalla Stazione Spaziale Internazionale, ma poi aveva cambiato idea.


Nel 2019 i responsabili del progetto avevano detto che la nuova grandiosa città sarebbe diventata «il miglior ambiente per vivere sul pianeta». Bin Salman aveva respinto progetti per ridurre l’inquinamento e le emissioni nocive che riteneva troppo semplici, dicendo a ingegneri e architetti di osare e pensare più in grande.

Nonostante le grandi ambizioni del principe, comunque, la realizzazione della città è più o meno ferma: per la difficoltà sia di attirare gli investitori stranieri che di concludere i progetti.

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Per quanto riguarda il primo punto, il Wall Street Journal ha spiegato che nel 2020 gli investimenti stranieri in Arabia Saudita sono ammontati a circa 5,4 miliardi di dollari, più o meno 4,5 miliardi di euro, due terzi in meno rispetto a quelli di dieci anni fa. Finora per la progettazione delle prime infrastrutture e dei piani iniziali di Neom sono stati investiti più di 1 miliardo di dollari (circa 850 milioni di euro) provenienti dal fondo sovrano saudita e dal ministero delle Finanze, ma a causa degli scarsi investimenti esteri sono stati ritardati anche altri piani ambiziosi, come la realizzazione del nuovo distretto finanziario nella capitale saudita Riyad, che era stato voluto dal re Abdullah bin Abdulaziz, morto nel 2015.

Per quanto riguarda il secondo punto, invece, agli ingegneri è stato chiesto di progettare cose estremamente complicate: per esempio un edificio di 30 piani da trasformare in hotel e appartamenti ricavandolo da uno scavo nel fianco di una montagna lungo centinaia di metri. Un altro progetto visto dal Wall Street Journal prevederebbe la realizzazione di un gigantesco grattacielo che potrebbe essere alto quasi 490 metri ed estendersi per circa 88 chilometri: misurerebbe cento metri in più rispetto all’Empire State Building di New York e sarebbe quattro volte più lungo dell’estensione della penisola di Manhattan, che è lunga 21,6 chilometri.

Alcuni esperti che lavorano o hanno lavorato per la realizzazione di Neom hanno detto di dubitare che gli investitori stranieri possano realmente essere interessati ad alcuni di questi progetti; altri hanno spiegato che per attirare abitanti occidentali, sempre a patto che le opere si riescano a realizzare, bisognerebbe eliminare molti divieti che sono in vigore nel resto dell’Arabia Saudita, per esempio quello sul consumo di alcol. Altri ancora hanno abbandonato i progetti anche per il modo in cui sono portati avanti.

Aimee Bothwell, una consulente incaricata di sviluppare l’industria alimentare all’interno di Neom, ha detto al Wall Street Journal che gli esperti coinvolti erano incoraggiati a credere nel progetto, come se fosse «una sorta di culto», ma pochissimi rischiavano di esporsi e di mettere in discussione la sua fattibilità o il modo di lavorare dei suoi vertici. Il manager statunitense Andrew Wirth, che avrebbe dovuto gestire una struttura turistica in montagna, ha criticato in particolare la gestione del responsabile del progetto, Nadhmi al Nasr, che per 30 anni era stato un funzionario di successo della compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco. Nella sua lettera di dimissioni, vista dal Wall Street Journal, Wirth ha detto che spesso al Nasr si lasciava andare in «denigrazioni e sfuriate altezzose del tutto inappropriate».

Diversi consulenti ed esperti assunti dal governo avevano già lasciato il progetto in precedenza, a causa delle accuse di repressione sistematica di dissidenti e oppositori rivolte al regime saudita.

Nel 2018 il famoso architetto Norman Foster, che avrebbe dovuto far parte di un comitato di consulenti per la realizzazione di Neom, lasciò il progetto in seguito all’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, che indagini e ricostruzioni giornalistiche hanno dimostrato fosse stato ordinato proprio da bin Salman. Oltre a Bothwell, Wirth e Foster, si sono dimessi anche il funzionario incaricato di seguire lo sviluppo del progetto nell’area del golfo di Aqaba, alcuni consulenti del team legale e di quello di marketing e comunicazione, due funzionari del dipartimento informatico e alcuni membri del settore del turismo.

Un portavoce di Neom ha detto che per provare a incoraggiare gli investitori stranieri l’organizzazione sta lavorando a una serie di «accordi legali competitivi» rivolti alle aziende che «desiderano […] cogliere l’unicità di ciò che stiamo cercando di ottenere». Una delle aziende che finora hanno investito nel progetto è la società chimica statunitense Air Product & Chemicals, che ha pianificato di spendere 5 miliardi di dollari per costruire quello che diventerebbe l’impianto di produzione di idrogeno da fonti rinnovabili più grande del mondo.

In alcune occasioni bin Salman ha detto agli investitori stranieri che sarà soddisfatto di riuscire a ottenere anche solo la metà di quello che ha in mente. Il portavoce di Neom ha sostenuto che i molti licenziamenti di funzionari e consulenti sarebbero parte del ricambio naturale del personale che è coinvolto in progetti anche più piccoli di questo, e si è rifiutato di commentare i licenziamenti e le eventuali carenze organizzative.

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