Mohammed bin Salman non è il mandante dell’omicidio di Jamal Khashoggi, dice Renzi

Il leader di Italia Viva ha detto che nemmeno gli Stati Uniti hanno condannato il leader saudita, sostenendo una mezza bugia

(ANSA/FABIO FRUSTACI)
(ANSA/FABIO FRUSTACI)

Mercoledì il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, è tornato a parlare del suo rapporto con il potente principe ereditario dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, dopo le polemiche dello scorso gennaio per aver partecipato insieme a lui a una conferenza organizzata da un think tank controllato dalla monarchia saudita.

Oltre che leader di fatto dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman è noto per governare con metodi estremamente autoritari ed è considerato da alcune agenzie di intelligence e da diverse inchieste il mandante dell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi, ucciso il 3 ottobre del 2018 nel consolato saudita a Istanbul, in Turchia.

Intervistato da alcuni giornalisti fuori dal Senato, Renzi ha innanzitutto difeso la scelta di partecipare alla conferenza di gennaio organizzata dal think tank FII Institute, presieduto da Yasir al Rumayyan, il capo del fondo sovrano saudita. Ha poi parlato del suo rapporto con Mohammed bin Salman, dicendo di chiamarlo “my friend” (“mio amico”):

Io chiamo “my friend” una persona che conosco da anni e che è un mio amico.


Parlando dell’uccisione di Khashoggi, Renzi ha sostenuto che non ci sarebbero prove che bin Salman sia stato il mandante dell’omicidio, e che nemmeno l’amministrazione statunitense di Joe Biden lo crederebbe, perché altrimenti avrebbe imposto sanzioni sull’Arabia Saudita. La situazione è però un po’ più complessa di così, e non è vero che gli Stati Uniti non hanno riconosciuto in nessun modo bin Salman come mandante dell’omicidio di Khashoggi.

A fine febbraio il governo americano ha reso pubblica la versione integrale di un rapporto del 2018 dei servizi segreti sulla morte di Khashoggi. Il rapporto, redatto dalla CIA, l’agenzia di spionaggio per l’estero degli Stati Uniti, accusava Mohammed bin Salman di essere stato il mandante dell’omicidio.

Alcuni stralci del rapporto erano stati resi pubblici per la prima volta nel novembre del 2018, ma l’allora presidente Donald Trump, che aveva fatto dell’Arabia Saudita un alleato fondamentale per gli Stati Uniti, ne aveva smentito la veridicità e ne aveva vietato la pubblicazione integrale. La scelta di Trump era stata molto criticata, anche perché è estremamente inusuale che un presidente smentisca pubblicamente le sue agenzie di intelligence per dare ragione a un leader straniero.

Dopo la diffusione del rapporto, a febbraio, il governo Biden ha comunque approvato restrizioni sui visti di diversi funzionari sauditi, anche se non su quello di bin Salman, mostrando così di voler mantenere il rapporto di amicizia con il paese. Fin dalle sue prime settimane di presidenza, però, è stato chiaro che l’approccio di Biden nei confronti dell’Arabia Saudita sarebbe stato diverso da quello adottato da Trump: per esempio Biden ha già annunciato la sua intenzione di interrompere la vendita di alcune armi ai sauditi e di non appoggiare più l’alleato nella sua guerra contro i ribelli houthi in Yemen.

Il rapporto della CIA non è l’unico documento ad accusare bin Salman di essere il mandante dell’omicidio. Dopo la morte di Khashoggi, l’ONU ha condotto un’inchiesta che si è conclusa nel giugno del 2019: secondo la relatrice speciale per le esecuzioni extragiudiziali dell’ONU, Agnes Callamard, esistono «prove credibili» delle responsabilità individuali di alti funzionari sauditi, e anche del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

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