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  • Scienza
  • Giovedì 4 marzo 2021

Non conviene fare gli schizzinosi, coi vaccini

Contro il coronavirus ce ne sono di diversi tipi, ma più dell'efficacia conta riceverlo il prima possibile

di Emanuele Menietti – @emenietti

Nonostante i vaccini contro il coronavirus finora autorizzati in Europa e negli Stati Uniti si siano rivelati tutti sicuri ed efficaci nel prevenire la COVID-19, c’è chi mostra una certa diffidenza nei confronti di alcune soluzioni rispetto ad altre. I dubbi nell’ultimo periodo hanno riguardato soprattutto il vaccino di AstraZeneca, a causa di qualche imprevisto organizzativo nella gestione dei test clinici lo scorso anno e per i dati sulla sua efficacia, che a prima vista può apparire inferiore rispetto a quella di altri vaccini come quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna.

Gli esperti invitano a non mettere a diretto confronto vaccini che sono stati sperimentati in condizioni molto diverse tra loro, proprio perché nel farlo si rischia di farsi un’idea sbagliata. Inoltre, a prescindere dall’efficacia rilevata, in questa fase è essenziale che il maggior numero possibile di persone si vaccini e in fretta, in modo da tutelare l’intera comunità sia per quanto riguarda la riduzione del carico dei sistemi sanitari sia per prevenire la circolazione del coronavirus (non è ancora chiaro se e quanto i vaccini riducano il rischio di contagio, ma i primi dati sono incoraggianti).

Efficacia
Per valutare l’efficacia di un vaccino sperimentale, i ricercatori di solito dividono i partecipanti alla sperimentazione in due gruppi: il primo riceve il vaccino, mentre il secondo riceve una sostanza che non fa nulla (placebo). I volontari conducono normalmente la loro vita, come qualsiasi altro individuo, e realisticamente alcuni di loro entrano in contatto con l’agente che causa la malattia contro la quale si sta sperimentando il vaccino. Dopo un po’ di tempo i ricercatori raccolgono i dati su quanti volontari si siano ammalati tra i vaccinati e quanti tra quelli con il placebo.

I ricercatori calcolano poi il rapporto tra malati e sani in ciascun gruppo. Se il vaccino funziona, la percentuale di malati nel gruppo dei vaccinati è di solito inferiore rispetto a quella nel gruppo dei non vaccinati. L’efficacia indica quindi in percentuale la differenza relativa tra le due percentuali nei rispettivi gruppi (lo avevamo spiegato più estesamente qui). Se non c’è differenza tra i due gruppi, il vaccino ha un’efficacia dello 0 per cento, se nessuno dei volontari vaccinati si ammala, l’efficacia è del 100 per cento.

Efficacia nella comunità
I volontari che partecipano alle sperimentazioni sono di solito persone giovani e in salute e i test clinici sono svolti in condizioni controllate, cercando di ridurre il più possibile le variabili che potrebbero incidere sulla qualità dei risultati. Questo fa sì che l’efficacia rilevata sia spesso diversa da quella che viene poi riscontrata nella comunità, cioè nel mondo reale, una volta che il vaccino viene autorizzato e somministrato a milioni di persone.

Differenze
Le procedure seguite per organizzare i test clinici sono più o meno sempre le stesse, ma questo non significa che si possano mettere a confronto diretto test clinici diversi e per specifici vaccini: ogni sperimentazione è per molti aspetti un mondo a sé. Gli individui che partecipano al test clinico per il vaccino A sono diversi da quelli che partecipano alla sperimentazione per il vaccino B, le quantità stesse dei volontari possono cambiare, così come la loro distribuzione geografica, l’ambiente e le condizioni in cui vivono.

I vaccini di Pfizer-BioNTech e Moderna, per esempio, sono stati sperimentati per lo più negli Stati Uniti lo scorso anno, in un periodo in cui non erano ancora emerse le varianti del coronavirus di cui si è parlato molto negli ultimi mesi, e che possono rendere più contagioso il virus. Il vaccino di Johnson & Johnson è stato sperimentato più di recente negli Stati Uniti, in Sudamerica e in Sudafrica, quindi in contesti molto diversi e soprattutto in una fase in cui avevano iniziato a diffondersi alcune varianti. Per questo il vaccino ha fatto riscontrare un’efficacia del 57 per cento in Sudafrica dove stava circolando una variante, mentre negli Stati Uniti ha fatto rilevare un’efficacia del 72 per cento.

Il vaccino di AstraZeneca è stato sperimentato lo scorso anno in diversi paesi come il Regno Unito, il Brasile e il Sudafrica, anche in questo caso in condizioni diverse tra loro. I ricercatori hanno inoltre ritenuto utile provare vari scenari, per valutare tempi e dosaggi per ottenere migliori risultati dal punto di vista dell’efficacia. Questa strategia ha comportato qualche imprevisto, legato per esempio a un iniziale errore nei dosaggi per i volontari, e non ha permesso di avere dati affidabili sull’efficacia del vaccino negli individui con più di 65 anni. I dati raccolti nella comunità sono comunque incoraggianti e indicano una marcata protezione anche per i più anziani, secondo alcune analisi preliminari.

Oltre a essere stati sperimentati in modo diverso, i vaccini finora autorizzati utilizzano principi diversi di funzionamento. Quelli di Pfizer-BioNTech e di Moderna sono a base di RNA messaggero, un sistema relativamente nuovo e che fino alla pandemia non era stato sperimentato su così larga scala, mentre quello di AstraZeneca utilizza un virus sostanzialmente innocuo (adenovirus) che viene modificato per insegnare al sistema immunitario a riconoscere il coronavirus, in modo da bloccarlo nel caso in cui si venisse contagiati.

Percentuali
I vaccini di Pfizer-BioNTech e di Moderna hanno fatto rilevare un’efficacia intorno al 95 per cento nei test clinici nel prevenire la COVID-19, mentre il vaccino di AstraZeneca ha raggiunto il 62 per cento.

Leggendo i due dati si può pensare che i due vaccini oltre il 90 per cento siano migliori rispetto a quello di AstraZeneca, ma non è necessariamente così. Tra gli scopi principali di un vaccino contro la COVID-19 c’è quello di evitare che si sviluppino sintomi gravi, che potrebbero rendere necessario un ricovero in ospedale o causare la morte. Insomma, non è tanto importante che il vaccino impedisca in assoluto di ammalarsi di COVID-19, ma che impedisca di avere una forma grave e altamente rischiosa della malattia.

Su questo ultimo punto, non c’è praticamente differenza tra i vaccini di Moderna, Pfizer-BioNTech, Johnson & Johnson, e AstraZeneca: proteggono tutti quasi al 100 per cento dalle forme gravi di COVID-19. Dai dati finora disponibili, il vaccino di AstraZeneca sembra essere inoltre in grado di farlo meglio di altri a tre settimane dalla somministrazione della prima dose (le differenze non sono comunque marcate, parliamo di pochi punti percentuali).

(JAMA)

Non quale, ma quando
Immunologi ed epidemiologi segnalano inoltre come in questa fase non sia importante quale vaccino ricevere, naturalmente tra quelli verificati e autorizzati, ma riceverne uno il prima possibile. Vaccinare il maggior numero di persone è ciò che può fare la differenza in questa fase, non una percentuale sull’efficacia diversa da un’altra.

Negli Stati Uniti, un gruppo di ricercatori ha sviluppato un sistema per simulare che cosa accadrebbe con vaccini dalla diversa efficacia, somministrata a velocità e tempi diversi. Nella maggior parte delle simulazioni, l’impiego di un vaccino “meno efficace” da subito disponibile consente di ridurre molti più casi di COVID-19, ricoveri e morti rispetto all’utilizzo di un vaccino con un’efficacia più alta, ma che rende necessari tempi di attesa più lunghi.

Bruce Y. Lee, uno degli autori della ricerca, lo ha spiegato chiaramente pochi giorni fa in un articolo sul New York Times:

Ipotizziamo che gli Stati Uniti siano in grado di vaccinare un milione di persone al giorno, con un vaccino efficace al 90 per cento (un po’ quello che è successo finora) e che continuino fino al raggiungimento del 60 per cento di popolazione vaccinata. A questo ritmo, occorrerebbero circa sei mesi e mezzo.
Ora consideriamo uno scenario dove le persone sono vaccinate a un ritmo più alto pari a 1,5 milioni di vaccinazioni al giorno con un vaccino meno efficace, intorno al 70 per cento, e fino al raggiungimento del 60 per cento della popolazione vaccinata. A questo ritmo più veloce, ci vorrebbero circa quattro mesi.
Abbiamo notato che quest’ultimo scenario potrebbe prevenire in media 1,38 milioni di nuovi casi positivi, oltre 51mila ricoveri e più di 6.000 morti rispetto allo scenario con una vaccinazione più lenta, ma con un vaccino più efficace.

Il vaccino di Johnson & Johnson potrebbe dare un contributo determinante nell’accelerare le vaccinazioni, perché richiede una sola somministrazione rispetto agli altri vaccini contro il coronavirus. La soluzione di Johnson & Johnson è stata autorizzata negli Stati Uniti lo scorso fine settimana e dovrebbe ricevere un’autorizzazione di emergenza nell’Unione Europea entro la metà di marzo.

Quindi?
Finora in tutto il mondo sono stati somministrati circa 250 milioni di dosi di vaccini, per lo più di Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca, i vaccini autorizzati anche nell’Unione Europea e impiegati in Italia, che si stanno rivelando sicuri ed efficaci nel prevenire forme gravi e potenzialmente letali di COVID-19. La loro disponibilità è ancora limitata e per questo le autorità sanitarie invitano a non sprecare nemmeno una dose; i governi si sono dovuti impegnare, singolarmente o collettivamente come nell’Unione Europea, a gestire gli acquisti e le somministrazioni a seconda delle fasce di età e dei rischi che corrono.

In questa fase, considerare un ripiego l’utilizzo di un vaccino rispetto a un altro sarebbe un errore, che pagherebbe non solo chi rifiuta di vaccinarsi esponendosi a inutili rischi, ma anche le comunità che ormai da un anno fanno i conti con dolorosi lutti, sacrifici, forti limitazioni e difficoltà economiche.