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  • Venerdì 26 febbraio 2021

Il rapporto degli Stati Uniti sull’uccisione di Jamal Khashoggi

È stato reso pubblico oggi e accusa il principe ereditario dell'Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, di essere stato il mandante

Alcune foto di Jamal Khashoggi esposte durante una cerimonia commemorativa tenuta a Istanbul, in Turchia, nel novembre 2018 (Chris McGrath/Getty Images)
Alcune foto di Jamal Khashoggi esposte durante una cerimonia commemorativa tenuta a Istanbul, in Turchia, nel novembre 2018 (Chris McGrath/Getty Images)

Gli Stati Uniti hanno pubblicato la versione integrale di un rapporto del 2018 dei servizi segreti sulla morte del dissidente e giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso il 3 ottobre del 2018 nel consolato saudita a Istanbul, in Turchia. Il rapporto, redatto dalla CIA (Central Intelligence Agency), l’agenzia di spionaggio internazionale del governo federale degli Stati Uniti, accusa il principe ereditario e leader di fatto dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, di essere stato il mandante dell’omicidio.

Nel rapporto si legge che «Il principe ereditario Mohammed bin Salman approvò un’operazione a Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista Jamal Khashoggi».

Del rapporto si parlò moltissimo quando nel novembre del 2018 molti giornali statunitensi ne riportarono diversi stralci, ma l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump ne smentì la veridicità e vietò che venisse pubblicato interamente per mantenere buoni rapporti con i sauditi.

In diversi momenti della sua presidenza, infatti, Trump fu accusato di farsi andare bene tutto – anche l’uccisione di Khashoggi – pur di mantenere rapporti di stretta amicizia con l’Arabia Saudita e con il suo leader. Tra le altre cose, Trump aumentò in maniera significativa l’appoggio ai sauditi nella guerra in Yemen e diede una specie di tacito via libera alla decisione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti di isolare il Qatar, in quella che poi sarebbe diventata una delle più grandi crisi degli ultimi anni nel Golfo Persico.

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La decisione del nuovo presidente statunitense Joe Biden di rendere pubblico il rapporto segna quindi anche un deciso cambiamento nei rapporti degli Stati Uniti con l’Arabia Saudita, come già si era intuito nei suoi primi giorni alla Casa Bianca: Biden aveva già annunciato che gli Stati Uniti interromperanno la vendita di alcune armi all’Arabia Saudita e smetteranno di appoggiarla nella sua guerra contro i ribelli houthi in Yemen.

La morte di Khashoggi
Il 3 ottobre del 2018 Khashoggi, dissidente e opinionista del Washington Post, entrò nel consolato saudita di Istanbul per ottenere dei documenti di divorzio e non ne uscì più: indagini e inchieste successive mostrarono che era stato ucciso da un commando di undici uomini sauditi mandati quasi certamente da Mohammed bin Salman. Le foto e i dati degli undici uomini furono svelati dai giornali turchi, che citarono fonti interne alle forze di sicurezza e al governo della Turchia.

Bin Salman ha sempre negato il suo coinvolgimento nella vicenda, ma nell’ottobre del 2019 disse che si prendeva «tutta la responsabilità come leader dell’Arabia Saudita, specialmente perché l’omicidio era stato commesso da individui che lavoravano per il governo saudita». L’Arabia Saudita istituì anche un processo, tutt’altro che limpido, contro i presunti colpevoli dell’omicidio, condannando infine cinque persone a morte e tre persone a 24 anni di carcere.

Né tra gli imputati né tra i condannati ci fu Saud al Qahtani, ex consigliere della corte reale saudita che nel 2018 era stato licenziato per il sospetto che avesse avuto un ruolo nell’uccisione del giornalista. Fu per lo più un licenziamento di facciata, dato che al Qahtani rimase uno stretto collaboratore di bin Salman, pur mantenendo un profilo un po’ defilato.

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