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  • Domenica 23 giugno 2019

Le cose che mancano nel processo sull’uccisione di Jamal Khashoggi

Trasparenza, rapidità e soprattutto due persone tra gli imputati: Mohammed bin Salman e il suo collaboratore Saud al Qahtani

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (AP Photo/Amr Nabil)
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (AP Photo/Amr Nabil)

Il processo contro gli undici cittadini sauditi accusati di avere ucciso il giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi è iniziato a gennaio a Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita, e sta proseguendo tra grandi lentezze e controversie. Il processo, di cui si sa molto poco, dovrebbe servire al regime saudita per mostrare al mondo la sua volontà di individuare e punire i responsabili di un crimine che dallo scorso ottobre attira l’attenzione di tutto il mondo. Finora, però, nessuno si è davvero convinto delle buone intenzioni saudite. Al processo mancano troppe cose, a partire da alcuni importanti personaggi tra gli imputati: manca il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, considerato il mandante dell’omicidio, e soprattutto un suo stretto e influente collaboratore, Saud al Qahtani, accusato da molti di avere pianificato il crimine.

Il processo in corso a Riyadh si riferisce agli eventi accaduti il 3 ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul, in Turchia.

Quel giorno Khashoggi, dissidente e opinionista del Washington Post, entrò nel consolato per ottenere dei documenti di divorzio e non ne uscì più: indagini e inchieste successive mostrarono che era stato ucciso da un commando di undici uomini sauditi mandati quasi certamente dal potente principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Le foto e i dati degli undici uomini furono svelati dai giornali turchi, che citarono fonti interne alle forze di sicurezza e al governo della Turchia. Successivamente il regime saudita riconobbe il coinvolgimento nella vicenda di altre persone che non si erano mosse da Riyadh, senza però prendere contro di loro provvedimenti davvero severi.

Il tentativo saudita di prendersi fino a un certo punto le responsabilità dell’omicidio Khashoggi, senza però mai coinvolgere Mohammed bin Salman, è stato riconfermato al processo in corso a Riyadh.

L’assenza che più salta all’occhio tra gli imputati nel processo è quella di Qahtani, stretto collaboratore del principe e a un certo punto accusato direttamente dalla famiglia reale saudita, in uno dei goffi tentativi di proteggere i vertici del regime. Alla fine di ottobre, sotto l’enorme pressione della comunità internazionale, l’Arabia Saudita sostenne che l’uccisione di Khashoggi era stata organizzata dal generale Ahmed al Assiri ed era stata guidata proprio da Qahtani. Entrambi furono licenziati dai rispettivi incarichi, ma fu una mossa per lo più di facciata: Qahtani, ha scritto il Wall Street Journal, è rimasto uno stretto collaboratore di Mohammed bin Salman, pur mantenendo oggi un profilo un po’ defilato.

L’assenza di Qahtani tra gli imputati è stata criticata anche dagli Stati Uniti, tra i più stretti alleati di Mohammed bin Salman. I funzionari statunitensi hanno fatto pressione per mesi sui sauditi affinché venisse processato Qahtani, di modo che l’immagine del regime ne uscisse meglio di fronte alla comunità internazionale.

Il problema finora non è stata però solo l’assenza di Qahtani. I sauditi hanno diffuso pochissime informazioni sul processo: per esempio non hanno mai identificato pubblicamente gli imputati e non hanno permesso ai giornalisti stranieri di assistere alle udienze. Un’altra critica che è stata fatta è che il processo sta andando molto a rilento: nonostante l’importanza del caso, ci sono state solo cinque udienze in sei mesi.

Alcuni funzionari sauditi rimasti anonimi hanno detto al Wall Street Journal che l’obiettivo del regime è quello di arrivare a verdetti di colpevolezza per gli undici imputati, di modo da ridurre la pressione su tutti gli enti e i governi che negli ultimi mesi hanno rallentato i loro affari con i sauditi a causa dell’omicidio Khashoggi. «Il tempo guarisce. E quando il verdetto sarà emesso, quando giustizia sarà fatta, quando qualche testa verrà tagliata [in Arabia Saudita si usa ancora la decapitazione, ndr], gli affari torneranno», ha detto un membro anziano della famiglia reale saudita.