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  • Domenica 7 febbraio 2021

Il “passaporto di immunità” ha senso?

Un documento standard per dimostrare di essere negativi al coronavirus o vaccinati potrebbe facilitare i viaggi, ma l'idea non convince tutti

Con oltre 120 milioni di vaccinazioni contro il coronavirus effettuate in giro per il mondo, sta tornando di attualità il tema dei cosiddetti “passaporti di immunità”, documenti per attestare di avere ricevuto il vaccino o di essere immuni dopo l’infezione virale e di conseguenza di poter viaggiare più facilmente all’estero. La quantità di vaccini somministrati rispetto alla popolazione mondiale – oltre 7 miliardi di persone – è ancora molto bassa, ma il confronto sulle certificazioni sta comunque tenendo impegnati governi, istituzioni sanitarie e alcune grandi aziende, soprattutto nel settore delle tecnologie digitali.

Nonostante sia sostenuto da diverse organizzazioni e abbia avuto qualche analogo in passato, l’idea del passaporto di immunità non convince tutti sia per motivi pratici sia per i rischi legati alla tutela della privacy e delle fasce più deboli e povere della popolazione. Il confronto ricorda in parte quello emerso alla fine della primavera del 2020 dopo la prima ondata della pandemia in diversi paesi, quando si iniziò a ipotizzare l’impiego di “patenti di immunità” per facilitare la circolazione dei guariti dalla COVID-19.

Le proposte in tal senso, discusse anche in Italia, non portarono a nulla di concreto per la difficoltà nel verificare l’effettiva immunizzazione degli individui. Ora con l’immunità indotta dai vaccini le cose potrebbero cambiare, anche se non ci sono ancora elementi a sufficienza per dire con certezza che i vaccini riducano la circolazione del coronavirus. Per ora sappiamo che proteggono contro la COVID-19, mentre sarà necessario qualche mese per capire se abbiano anche effetti sulla trasmissibilità del virus. Istituzioni e aziende vorrebbero però arrivare preparate a quel momento, per attuare i loro piani sui sistemi per attestare e verificare l’immunità di chi si è vaccinato. Le difficoltà, soprattutto nell’elaborare standard condivisi, non mancano.

Passaporto di immunità digitale
In linea generale un passaporto di immunità è un documento che certifica di avere ricevuto una vaccinazione contro il coronavirus, emessa da un’autorità sanitaria (o da eventuali aziende sanitarie private autorizzate a farlo). Il certificato può contenere altre informazioni, come ad esempio l’esito di un test effettuato di recente per attestare di essere risultati negativi al coronavirus.

L’orientamento prevalente è di realizzare piattaforme e applicazioni per gestire i passaporti di immunità, in modo da rendere più semplice e rapida la verifica del proprio certificato alle frontiere e soprattutto negli aeroporti, prima di imbarcarsi sull’aereo. E proprio i responsabili dell’aviazione civile sono tra i più interessati a questo sistema, nella speranza che possa contribuire a risollevare il settore dei trasporti aerei, pesantemente interessato dalle limitazioni agli spostamenti nell’ultimo anno.

L’International Air Transport Association (IATA), la principale organizzazione internazionale delle compagnie aeree, ha avviato un’iniziativa per sviluppare un “travel pass” che faciliti le attività di imbarco e il lavoro del personale che si occupa dei controlli negli aeroporti. Entro qualche settimana, Etihad Airways e Emirates inizieranno a sperimentare il nuovo sistema per i loro collegamenti internazionali, anche se molti aspetti dell’iniziativa devono essere ancora chiariti. Il pass dovrebbe comprendere la possibilità di caricare su un’applicazione gli esiti dei test sul coronavirus e l’avvenuta vaccinazione, tramite inserimenti effettuati direttamente dai laboratori autorizzati a farlo.

(IATA)

IBM, storica e grande azienda informatica, ha avviato lo sviluppo del “Digital Health Pass”, un sistema per provare l’avvenuta vaccinazione o l’esito negativo di un test sul coronavirus, in modo da poter ottenere l’accesso ai luoghi pubblici, compresi quelli per lo svago (teatri, cinema, stadi), a quelli di studio e di lavoro. Anche in questo caso il pass funziona tramite un’applicazione, sulla quale si possono caricare i propri dati sanitari e procedere poi a certificarli, con un sistema di verifica decentralizzato (basato sulla blockchain) che dovrebbe ridurre i rischi legati alla privacy.

Un sistema simile è stato proposto anche dal World Economic Forum in collaborazione con la non profit svizzera Commons Project Foundation, con l’obiettivo di sviluppare una soluzione standard e condivisa per favorire gli spostamenti all’estero. Il loro CommonPass prevede l’utilizzo di un’applicazione sulla quale caricare i dati sui test effettuati e su eventuali vaccinazioni, con un sistema di verifica basato su centri di analisi e somministrazione certificati. L’applicazione genera un QR code, che può poi essere impiegato nei luoghi pubblici dove l’accesso sarà limitato a chi potrà mostrare di essere vaccinato o negativo al coronavirus.

(CommonPass)

La presenza di diverse altre proposte per la gestione dei passaporti di immunità ha finora reso piuttosto caotica la situazione, ed è quindi difficile fare previsioni su quando e se emergerà un’unica soluzione condivisa dalla maggior parte dei soggetti coinvolti, istituzionali e privati. Ci sono per ora forti dubbi sulla possibilità di elaborare un sistema condiviso per certificare con sicurezza l’autenticità delle informazioni che dovrebbero essere inserite nelle applicazioni, per esempio.

Chi sostiene i progetti di questo tipo segnala che al momento un chiaro sistema di verifica non esiste comunque, e che la grande varietà di regole e limitazioni da paese a paese, cui spesso si aggiungono quelle decise dalle singole compagnie dei trasporti, renda difficile una gestione razionale di chi si mette in viaggio. I promotori del passaporto di immunità ricordano inoltre che i certificati sui vaccini non sono certo una novità a livello internazionale.

Tessera gialla
Da più di 80 anni esistono infatti, sotto varie forme, documenti con informazioni sanitarie che i viaggiatori devono portare con sé in alcune circostanze. Il più famoso e riconosciuto è il Certificato internazionale di vaccinazione e profilassi (“Tessera gialla”), un documento scritto in più lingue rilasciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità o dalle autorità sanitarie nazionali con il quale viene certificata la vaccinazione per specifiche malattie. La Tessera gialla è riconosciuta a livello internazionale ed è obbligatoria per l’ingresso in alcuni paesi, dove ci sono più rischi per la diffusione di specifiche malattie.

Più controllo
Le nuove proposte non sono molto diverse dal concetto della Tessera gialla, ma hanno l’obiettivo di semplificarne la gestione utilizzando applicazioni e piattaforme online. I responsabili della IATA e delle altre iniziative pensano che in questo modo si potrebbero ridurre non solo i tempi di verifica, ma anche le contraffazioni. Negli ultimi mesi sono infatti emersi numerosi casi di false dichiarazioni o documenti falsi presentati ai controlli, soprattutto negli aeroporti dove spesso ci sono maggiori verifiche.

Un passaporto di immunità basato su regole e sistemi condivisi dovrebbe inoltre ridurre i problemi emersi la scorsa estate soprattutto in Europa, dove alcuni paesi avevano ripristinato i principali collegamenti aerei verso l’estero a patto che ogni passeggero presentasse un’autodichiarazione per attestare di non essere positivo al coronavirus o di non avere sintomi da COVID-19. Spesso alle dichiarazioni non seguivano controlli, e non erano nemmeno sempre raccolte dalle compagnie aeree. Lo scopo di queste dichiarazioni era inoltre legato al tracciamento dei contatti nel caso un passeggero avesse scoperto in seguito di avere il coronavirus, mentre non avevano una particolare funzione preventiva.

Un’applicazione per il passaporto di immunità potrebbe inoltre contenere informazioni sulle regole d’ingresso adottate dai singoli paesi, in modo da semplificare la vita a chi si debba mettere in viaggio (alcune app per l’acquisto dei biglietti aerei, come quella di Skyscanner, hanno iniziato a farlo). La presenza di documenti sanitari sulla vaccinazione o sull’esito negativo dei test potrebbe inoltre eliminare la necessità di rimanere in quarantena al proprio arrivo, come attualmente imposto da diversi paesi.

Turismo
Con l’avvicinarsi della stagione calda nel nostro emisfero, il passaporto d’immunità potrebbe rivelarsi utile per rilanciare soprattutto il turismo, che ha subìto un calo marcato nell’ultimo anno a causa delle limitazioni agli spostamenti. Anche per questo motivo soluzioni di questo tipo sono sostenute dai paesi le cui economie sono fortemente dipendenti dal turismo, come il Portogallo e la Grecia. Nell’Unione Europea l’adozione di regole comuni potrebbe essere meno difficoltosa sfruttando i numerosi accordi sugli spostamenti, ma per ora se n’è parlato senza sviluppi concreti.

Privacy
Il passaporto di immunità ha fatto comunque sollevare qualche perplessità tra osservatori ed esperti di digitale e privacy. I dati sanitari sono tra i più delicati e devono essere trattati con cura, soprattutto nel caso in cui siano trasmessi e scambiati online. L’idea che siano gestiti tramite applicazioni proprietarie non piace a molti e per questo la Linux Foundation, la fondazione che sostiene lo sviluppo del sistema informatico open source Linux, propone di elaborare una soluzione che sia aperta e con codice liberamente accessibile in modo da offrire più sistemi di verifica e garantire una maggiore trasparenza.

Nel caso ci fosse una convergenza su una soluzione condivisa, il suo sviluppo tecnico potrebbe avvenire velocemente, ma tempi rapidi in ambiti così estesi e delicati per i dati personali comportano rischi, come hanno insegnato le esperienze con le app per tracciare i contatti realizzate nel 2020 e che hanno poi fallito nei loro scopi. L’attuale sistema dei passaporti richiese quasi 50 anni per essere sviluppato e adottato da buona parte dei paesi del mondo, e ogni sua modifica apportata negli ultimi decenni ha richiesto enormi sforzi di coordinamento tra i governi.

Tempi e diseguaglianze
Un incentivo a fare presto potrebbe derivare dagli enormi interessi economici dietro la possibilità di tornare a viaggiare all’estero, sia per affari sia per turismo. La IATA raccoglie tutte le principali compagnie aeree, la cui sopravvivenza economica deriva proprio da una ripresa dei viaggi. Nel loro settore sono impiegati quotidianamente numerosi standard e regole condivise per la gestione dei voli, le loro prenotazioni, lo smistamento dei bagagli e il sistema stesso di verifica dei biglietti e dei documenti per viaggiare. Secondo alcuni osservatori i passaporti di immunità potrebbero partire come una soluzione prettamente aeroportuale, per poi diffondersi in altri ambiti.

Una soluzione totalmente digitale potrebbe però sfavorire quel miliardo di persone circa che non ha la possibilità di dimostrare facilmente la propria identità, perché non ha passaporti, certificati di nascita, patenti di guida, carte d’identità o altri sistemi di riconoscimento. Molte di queste persone vivono nei paesi più poveri, dove la mancanza di smartphone potrebbe costituire un ulteriore ostacolo alle loro possibilità di movimento, non potendo dimostrare la loro condizione con un passaporto d’immunità digitale. Questi e altri fattori potrebbero amplificare le disuguaglianze sociali ed economiche, danneggiando paesi già in difficoltà nel gestire la pandemia e a procurarsi i vaccini contro il coronavirus.

Infine, se i passaporti d’immunità si affermassero in altri ambiti oltre a quello dei trasporti – per esempio per accedere ai ristoranti o altri luoghi pubblici – potrebbero crearsi squilibri e differenze sociali anche di tipo generazionale. In questa prima fase in cui i vaccini sono scarsi, i governi hanno riservato le vaccinazioni alle persone anziane, perché più a rischio di sviluppare forme gravi di COVID-19. Una volta vaccinati e con il loro documento di immunità, gli anziani potrebbero avere libero accesso a ristoranti, luoghi di svago e ai viaggi verso l’estero, a differenza delle fasce più giovani della popolazione, che hanno affrontato lockdown e altre limitazioni soprattutto per tutelare gli individui a rischio. Era inevitabile e, come dimostrano i dati, la cosa giusta da fare, ma dopo un anno di privazioni potrebbe essere percepita in modo diverso, soprattutto con l’approssimarsi della stagione calda. Lo stesso accadrebbe per chi non può vaccinarsi per altri motivi di salute.

Immunità?
Entro qualche mese i ricercatori confidano intanto di avere qualche elemento più chiaro sulla durata dell’immunità, indotta dalle infezioni da coronavirus o dalle vaccinazioni. I dati raccolti finora sembrano essere incoraggianti, ma se si dovesse scoprire che l’immunità dura pochi mesi i passaporti dovrebbero avere una scadenza e questo complicherebbe ulteriormente le cose.