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  • Venerdì 5 febbraio 2021

In Israele la vaccinazione sembra funzionare

I ricoveri per COVID-19 tra gli anziani si sono ridotti di un terzo rispetto a qualche settimana fa, mentre la campagna vaccinale procede spedita

 (AP Photo/Ariel Schalit)
(AP Photo/Ariel Schalit)

Nuove analisi sull’andamento della pandemia in Israele confermano i dati incoraggianti sull’effetto della vaccinazione, avviata nel paese lo scorso 19 dicembre. Oltre un terzo della popolazione in Israele (9 milioni in tutto) ha ricevuto almeno una dose del vaccino contro il coronavirus di Pfizer-BioNTech, e circa il 20 per cento degli abitanti ha già completato la vaccinazione ricevendo anche la seconda dose. Israele è di gran lunga il paese in cui la campagna vaccinale è proceduta più speditamente, al punto da essere diventato una sorta di grande laboratorio per valutare l’efficacia del vaccino più impiegato finora negli Stati Uniti e nell’Unione Europea.

Secondo un’analisi realizzata presso l’Istituto Weizmann per le Scienze (Rehovot), i casi di COVID-19 stanno diminuendo in modo significativo tra le persone con più di 60 anni di età, tra le prime interessate dalla campagna vaccinale in Israele. Il dato più rilevante è una riduzione del 26 per cento nei ricoveri per questa fascia di età, rispetto al picco che era stato fatto registrare il 19 gennaio scorso. Lo stesso non è avvenuto nella fascia di età 40-59 anni, a priorità più bassa nella vaccinazione e quindi con accesso ancora limitato ai vaccini. In questa fascia, i casi gravi di COVID-19 sono aumentati del 13 per cento.

I ricercatori ritengono che sia stato il vaccino ad avere questi effetti positivi negli individui con più di 60 anni di età, rispetto al nuovo lockdown deciso a fine dicembre dal governo israeliano e poi reso ancora più severo a inizio gennaio. Un ulteriore miglioramento dei dati nelle prossime settimane dovrebbe fornire conferme a queste prime valutazioni, che vanno naturalmente prese in considerazione con qualche cautela.

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Israele ha intensificato la campagna vaccinale, arrivando a vaccinare il 2 per cento della popolazione quotidianamente per diversi giorni, ma la strada è ancora lunga. Il 65 per cento delle persone con più di 60 anni ha ricevuto entrambe le dosi del vaccino di Pfizer-BioNTech. La prima dose è stata distribuita a meno di un terzo degli individui con più di 30 anni, ritenuti meno a rischio nel caso in cui sviluppino i sintomi da COVID-19.

Israele ha potuto vaccinare così in fretta anche grazie a una massiccia fornitura di dosi da parte di Pfizer-BioNTech. Nei mesi scorsi il governo israeliano aveva infatti stretto un accordo per avere forniture ingenti, in cambio di una collaborazione scientifica per fornire più dati alle due aziende farmaceutiche, utili per analizzare l’andamento del vaccino nella comunità e confrontare i dati con quelli ottenuti nei test clinici. Durante la sperimentazione, il vaccino di Pfizer-BioNTech aveva fatto rilevare un’efficacia del 95 per cento nel proteggere dalla COVID-19, ma di solito l’efficacia nella comunità – quindi su un numero molto più alto di persone rispetto ai test clinici – tende a essere inferiore.

Il vaccino sembra confermare la propria capacità di proteggere dalla COVID-19, mentre è presto per dire se riduca la diffusione del coronavirus e quindi il rischio di nuovi contagi. Sui risultati della campagna vaccinale in Israele stanno inoltre influendo altri fattori. Il governo ha chiuso l’unico aeroporto internazionale del paese lo scorso 24 gennaio, quando ormai si erano già diffuse alcune varianti che sembrano rendere più contagioso il coronavirus.

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha mostrato una certa riluttanza nel riprendere o sanzionare chi non rispetta le regole del lockdown, per esempio per motivi religiosi. In primavera ci saranno le elezioni politiche e Netanyahu vorrebbe arrivarci con il maggior numero possibile di vaccini somministrati, anche per sfruttare politicamente l’eventuale risultato raggiunto.

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