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  • Martedì 2 febbraio 2021

In India la pandemia è verso la fine?

I casi positivi rilevati sono diminuiti drasticamente, così come i ricoveri: forse è un indizio sull'avvicinarsi dell'immunità di gregge

Hyderabad, India (AP Photo/Mahesh Kumar A.)
Hyderabad, India (AP Photo/Mahesh Kumar A.)

Dall’inizio dell’anno, in India i nuovi casi positivi al coronavirus rilevati quotidianamente sono diminuiti sensibilmente: 10-14mila contro gli oltre 100mila che si registravano a metà settembre del 2020. Nelle grandi città – come la capitale Nuova Delhi, Mumbai e Pune – la quantità di malati di COVID-19 ricoverati negli ospedali è diminuita, così come il numero di ricoveri nelle unità di terapia intensiva. L’impressione è che la pandemia stia iniziando a rallentare in uno dei paesi più popolosi al mondo e che si temeva potesse patire più di altri gli effetti del coronavirus.

Il Financial Times ha dedicato un lungo articolo al caso dell’India, chiedendosi se il miglioramento degli ultimi giorni sia uno dei primi indizi del raggiungimento della cosiddetta “immunità di comunità” (o “immunità di gregge”), la condizione in cui la maggior parte degli individui ha sviluppato una risposta immunitaria a un virus (o a un altro patogeno) che è circolato molto tra la popolazione. È probabilmente presto per avere una risposta definitiva considerate le numerose variabili in un paese da oltre 1,3 miliardi di persone, ma qualcosa si può già capire.

Dall’inizio della pandemia, in India sono stati rilevati 10,8 milioni di casi positivi, il dato più alto a livello globale dopo gli oltre 26 milioni di casi rilevati negli Stati Uniti. Gli esperti concordano però sul fatto che il dato ufficiale sottostimi enormemente l’effettiva diffusione del coronavirus nel paese, dove si eseguono pochi test in rapporto alla popolazione, e dove sfuggono numerose diagnosi di COVID-19. I casi più gravi, che richiedono un ricovero in ospedale, sono tracciati con maggiore regolarità rispetto a quelli con sintomi lievi o di media intensità, che spesso non vengono nemmeno portati all’attenzione dei medici.

I casi positivi giornalieri rilevati in India dall’inizio della pandemia (JHU)

In alcune grandi città, come Delhi e Mumbai, sono state effettuate indagini per stabilire su base statistica la diffusione del coronavirus, attraverso gli esami sierologici a campione sulla popolazione. Rilevando l’eventuale presenza di specifici anticorpi nel sangue, è risultato che più della metà dei residenti era stata esposta al virus. Un’analisi simile condotta nello stato del Karnataka ha portato a una stima di 31 milioni di infezioni a metà agosto del 2020 su una popolazione di 64 milioni di abitanti, con una diffusione più marcata del coronavirus nelle città rispetto alle aree rurali (54 per cento contro 44 per cento).

Pochi hanno segnalato sintomi o particolari disturbi. I ricercatori stimano che tra il 30 e il 40 per cento abbia avuto sintomi molto lievi da COVID-19 o che non ne abbia avuti affatto. Molti individui sono quindi diventati infetti senza rendersene conto, sfuggendo alle statistiche ufficiali. Un fenomeno simile è accaduto in molti altri paesi in Occidente, compresa l’Italia, seppure in modo meno marcato per la maggiore accessibilità ai test.

Il dato sui decessi in India dall’inizio della pandemia presenta probabilmente gli stessi problemi. Secondo le statistiche ufficiali, a causa della COVID-19 sono morte 154mila persone, ma gli esperti e le autorità sanitarie sono consapevoli che il dato sottostima la realtà, e di molto. A causa della scarsità di strutture ospedaliere, soprattutto nelle aree rurali, la maggior parte degli indiani muore ancora oggi in casa, ed è quindi impossibile accertare in modo preciso le cause dei decessi.

Decessi giornalieri da COVID-19 rilevati in India dall’inizio della pandemia (JHU)

Le stime che prendono in considerazione questi fattori portano comunque a una valutazione della letalità dovuta alla COVID-19 più bassa rispetto a quella in altre aree del mondo. Una causa potrebbe essere la presenza di una popolazione relativamente giovane. In India solo il 6,5 per cento degli abitanti ha più di 65 anni, contro il 20 per cento circa dell’Europa. Gli anziani sono più esposti ai rischi della COVID-19 ed è in quella fascia di età che tende a concentrarsi la maggior parte dei decessi.

Gagandeep Kang, un microbiologo indiano coinvolto nello sviluppo di un vaccino contro il coronavirus in India, ha spiegato al Financial Times che un altro fattore potrebbe essere di tipo ambientale: “Stiamo assistendo a una malattia meno grave rispetto al resto del mondo, e a un maggior numero di infezioni asintomatiche. Parte del motivo potrebbe essere la precedente esposizione a numerosi altri patogeni”. Kang e colleghi ritengono che la popolazione indiana sia costantemente sottoposta a una grande varietà di virus e batteri, per cause climatiche e di scarse condizioni igieniche, che mantiene più attivo il sistema immunitario. È una teoria affascinante, ma altri esperti invitano a valutarla con cautela, in mancanza di studi scientifici approfonditi e affidabili sull’argomento.

Hyderabad, India (AP Photo/Mahesh Kumar A.)

Un’altra ipotesi è che in India si sia affermata una variante del coronavirus che causa sintomi più lievi. Per saperlo con certezza sarebbe però necessario fare più sequenziamenti, cioè analisi più approfondite sui campioni prelevati dagli individui positivi per studiare le caratteristiche genetiche del coronavirus. Il governo negli ultimi mesi ha annunciato di volere potenziare i test per sequenziare il virus alla ricerca della variante prevalente, ma non sarà un lavoro di poco conto considerate le scarse risorse a disposizione, l’estensione del territorio indiano e la grande quantità di suoi abitanti.

Anche tenendo in considerazione tutti questi fattori e variabili, è comunque evidente una riduzione dei nuovi casi positivi rilevati in India. L’immunità di comunità sembra essere la spiegazione più logica: non sappiamo ancora per quanto tempo si rimanga immuni al coronavirus dopo averlo contratto, ma sappiamo comunque che il nostro sistema immunitario sviluppa risorse per contrastarlo e per ridurre i rischi che faccia danni nel caso di una nuova infezione. Se la maggior parte della popolazione ha sviluppato questa capacità, il virus tende a circolare meno nella comunità passando ancora più inosservato ai test.

Delhi, India (Yawar Nazir/Getty Images)

Il governo indiano confida di migliorare ulteriormente le cose con una campagna di vaccinazione estremamente ambiziosa. L’obiettivo è di vaccinare circa 300 milioni di indiani entro la fine di agosto. Finora il paese ha però vaccinato solamente 3 milioni di individui e ci sono dubbi sul fatto che possa raggiungere l’obiettivo fissato per la fine dell’estate. La vaccinazione potrebbe però rivelarsi molto importante per ridurre la circolazione del coronavirus ed evitare che si sviluppino e diffondano nuove varianti, che potrebbero portare a un aumento dei casi positivi.

I vaccini sono inoltre la speranza del governo per evitare un nuovo lockdown generalizzato, come quello deciso nella primavera del 2020 per provare a contenere la diffusione della pandemia. I trasporti pubblici furono sospesi per mesi in numerose aree del paese e fu imposta la chiusura di buona parte delle attività commerciali e delle scuole. Nel trimestre tra aprile e giugno 2020, l’economia indiana si è contratta del 24 per cento rispetto all’anno precedente, proprio a causa di queste restrizioni. Il lockdown non portò ai risultati sperati, con il coronavirus che si diffuse dalle grandi città alle aree rurali.

Gli esperti invitano ad attendere almeno un mese prima di arrivare a conclusioni affrettate su effetti eventuali dell’immunità tra la popolazione. L’economia indiana ha intanto dato i primi segnali di ripresa e secondo gli analisti è più o meno tornata ai livelli pre-pandemia. La domanda in diversi settori, compreso quello dei servizi, continua però a essere bassa e ci sono dubbi sui tempi della ripresa.