Cosa c’è dentro un Oreo

Una storia fatta di rivalità familiari, nomi rovinosi e gusti improbabili rinnovati di continuo

(Justin Sullivan/Getty Images)
(Justin Sullivan/Getty Images)

Rubare un’idea di successo e mai smettere di innovarsi: è così che gli Oreo, fatti da due cialde al cioccolato e un ripieno di crema alla vaniglia, sono diventati i biscotti più venduti del XX secolo, con circa 491 miliardi di biscotti venduti dalla messa in commercio, nel 1912. La popolarità e le vendite continuano a crescere anche grazie ai nuovi mercati, tra cui la Cina: ogni anno, secondo l’azienda, vengono prodotti 40 miliardi di Oreo, venduti in 100 paesi.

L’altra formula vincente è l’offerta continua di nuove versioni, legate a un’occasione o a gusti sorprendenti. Questi nuovi Oreo incuriosiscono le persone che non solo li comprano per assaggiarli ma aggiungono al carrello anche quelli classici. Secondo la società di consulenza Nielsen, infatti, negli ultimi tre anni le vendite dei gusti speciali sono aumentate del 12 per cento trascinando anche quelle degli Oreo tradizionali, cresciute del 22 per cento.

Una pubblicità degli Oreo del 1924
(Mario Tama/Getty Images)

L’introduzione degli Oreo in edizione limitata ha preso il via dopo il 2012 quando, per festeggiare il centenario del biscotto, uscì il Birthday Cake Oreo, con zuccherini colorati nella crema. Funzionò, e da allora sono stati proposti 65 gusti diversi, tra cui: gli Oreo al gusto alette di pollo, al wasabi, al tiramisu, alla torta di carote, alla torta di lime, alla Piña Colada, i Marshmallow Crispy con un ripieno di marshmallow e rice crispies, i Mistery poi rivelatisi al sapore di churros (Oreo aveva messo in palio un premio di 50mila dollari per chi avesse indovinato il gusto), i Neapolitan (i “napoletani”, con cialda alla vaniglia e ripieno di cioccolato e fragola) e i Supreme, usciti quest’anno dalla collaborazione con il marchio di moda Supreme. Alcuni sono commercializzati solo in determinati mercati, come quelli alle alette di pollo e al wasabi per la Cina.

 

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Il New York Times ha raccontato che gli Oreo speciali vengono studiati e messi a punto da una squadra di esperti di marketing, sviluppatori del prodotto, ricercatori e scienziati del cibo, che si consultano anche con gli chef per capire i cibi più popolari. L’invenzione di un nuovo gusto inizia tra i 18 e i 24 mesi prima della messa in commercio, a partire da un ventaglio di 50 proposte tra cui scegliere,  poi ridotte a una decina di finaliste. «Il loro lavoro ci permette di tenere vivo l’interesse dei nostri fan e di far crescere l’azienda innovando il gusto» ha detto al New York Times il direttore del marchio, Justin Parnell.

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Spesso le uscite più importanti non si concentrano sui nuovi gusti ma su collaborazioni o eventi. Per esempio quest’anno il più importante è stato l’Oreo realizzato con Supreme: non aveva un gusto speciale ma le cialde colorate di rosso e un doppio ripieno bianco alla vaniglia, così da richiamare i colori del marchio (rosso e bianco). È uscito anche un Oreo dedicato alla squadra olimpica americana, con un triplo ripieno tricolore e patriottico – rosso, bianco e blu – ed è stato presentato quello fatto insieme a Lady Gaga e dedicato al suo nuovo disco, Chromatica. Uscirà a gennaio, ha un biscotto color salmone e un ripieno verde, ma la stravaganza di colore non coinvolge il gusto: è un classico Golden Oreo, con biscotto e ripieno tutto alla vaniglia, introdotto nel 2004 e rimasto in produzione visto il successo.

 

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Esteticamente parlando la versione più spericolata è quella che potete creare voi stessi: Oreo offre infatti la possibilità di scegliere dimensioni, gusto, colore, scritte e disegno, che può essere anche una vostra fotografia.

Ma questa, dicevamo, è solo la storia più recente del biscotto, ricamata su un successo solido e decennale che ha radici, come in tutti i miti che si rispettino, in un dissidio familiare. Gli Oreo vennero inventati dalla National Biscuit Company, successivamente chiamata Nabisco, che nel 1993 venne comprata da Kraft e che ora fa parte della multinazionale degli snack Mondelēz International. L’azienda nacque nel 1898 in New Jersey dalla fusione di tre biscottifici, tra cui la American Biscuit and Manufacturing Company, che era guidata da due fratelli, Jacob e Joseph Loose. Jacob Loose non condivideva l’operazione: se ne andò e fondò una fabbrica di dolci e biscotti tutta sua, la Loose-Wiles Biscuit Company (poi diventata Sunshine Biscuits). I due fratelli Loose guerreggiavano dall’alto delle due aziende rivali.

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Fu Jacob a mettere in commercio, nel 1908, un biscotto con due cialde al cioccolato e un ripieno di vaniglia: si chiamava Hydrox – dall’unione di idrogeno e ossigeno, per dare un’idea di purezza come quella dell’acqua – e aveva impresso un elegante e, per l’epoca, avanzatissimo disegno floreale. Vendette molto e divenne estremamente popolare, favorito anche dall’essere kosher (cioè adatto alla dieta degli ebrei osservanti): nel 1912, la National Biscuit Company festeggiò il decimo anniversario dell’azienda rivale copiandoglielo. In quell’anno, infatti presentò, tre nuovi biscotti sotto il nome di Trio, che presentava così: il Mother Goose Biscuit «un classico biscotto, ricco e di alta qualità con impresse sopra le leggende di Mamma Oca, a 20 centesimi a libbra», il Veronese Biscuit «un biscotto dolce, compatto e con un bel disegno, a 20 centesimi a libbra» e «il biscotto Oreo, due cialde al cioccolato splendidamente goffrate con un ricco ripieno cremoso, a 30 centesimi a libbra».

 

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Era molto simile allo Hydrox, di cui riproponeva anche il disegno articolato: il nome Oreo era inscritto in un cerchio con l’antenna tv (simbolo di Nabisco) ed era circondato da quadrifogli; il bordo era zigrinato per abbellirlo e facilitarne la presa. Negli anni Cinquanta, il disegno cambiò momentaneamente e i quadrifogli vennero sostituiti da petali ancora più somiglianti a quelli impressi sugli Hydrox.


La ricetta degli Oreo è di Sam Porcello, una sorta di star di Nabisco che in 30 anni e più di carriera ne brevettò diverse versioni e trovò anche la copertura al cioccolato perfetta per gli Oreo; in particolare Porcello perfezionò il ripieno alla vaniglia. Nonostante il suo contribuito, è innegabile che l’ispirazione fossero gli Hydrox: pur avendo più zucchero hanno un sapore nel complesso più amaro (non avevano per esempio lo sciroppo di mais) e sono più croccanti.

Gli Hydrox non potevano reggere la competizione degli Oreo: la National Biscuit Company era un gigante e aveva molti più dollari da spendere nelle campagne di marketing. La scelta del nome Hydrox si rivelò inoltre rovinosa, perché venne usata anche dalle aziende chimiche e i clienti iniziarono ad associarla a qualcosa di artificiale e insano; a un certo punto cercarono di cambiare nome in Droxies, ma non funzionò. Gli Hydrox restarono un prodotto di nicchia mentre gli Oreo conquistavano le masse, convinte che i primi fossero una brutta copia dei secondi, e non il contrario. Alla fine andarono fuori produzione: nel 2015 Kellogg’s, che nel frattempo aveva acquistato la Sunshine Biscuits, li ripropose brevemente, anche facendo buone vendite. Nel 2014 il dolciumificio Leaf Brands registrò il marchio Hydrox e l’anno dopo li rimise in produzione. Per risalire alla ricetta originale contattò operai delle fabbriche Sunshine Biscuits, suoi fornitori e appassionati divoratori del biscotto.

 

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A proposito di nomi, l’origine di Oreo è sconosciuta. Un’ipotesi molto condivisa è che derivi dal greco oros, che significa collina, oppure dal francese or (oro), perché i primi erano venduti in minuscoli pacchettini con il nome scritto in caratteri dorati, come riporta l’Enciclopedia del cibo e delle bevande americane, uscita nel 1999. Un’altra ipotesi è che il nome sia una traduzione grafica della composizione del biscotto: le O sarebbero le due cialde che racchiudono la crema, cream, simboleggiata da R-E. La storica Stella Parks scrive nel libro BraveTart: Iconic American Desserts (2018) che i biscottifici, e soprattutto la National Biscuit Company, chiamavano spesso i dolci con nomi di fiori e piante: Lotus, Avena, Zaytona (arabo per oliva), Anola perché l’ingrediente principale era la canola, un olio vegetale. Oreo starebbe quindi per Oreodaphne, una pianta dalle foglie simili a quelle dell’alloro: da qui deriverebbe anche il disegno vegetale sul biscotto, disegnato da William Turnier.

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Sempre Parks racconta che i primi Oreo furono venduti a un droghiere di nome S. C. Thuesen a Hoboken, in New Jersey, il 6 marzo del 1912. Gli altri due biscotti del Trio non ebbero fortuna e vennero abbandonati, ma gli Oreo conquistarono presto il mercato e già nel 1928 venivano esportati in America Centrale e in America Latina. C’è anche una strada intitolata Oreo Way: è un tratto della Ninth Avenue, tra la 15esima e la 16esima strada, nel Chelsea Market a New York, dove si trovava la prima fabbrica della National Biscuit Company, per cui gli Oreo rappresentavano il prodotto di punta.

Da allora non sono cambiati tantissimo: si sono ingranditi e rimpiccioliti fino ad assumere le dimensioni attuali (una buona via di mezzo), hanno fatto qualche esperimento di disegno (poi sempre rientrato alla versione originale, che oggi sembra un po’ kitsch e un po’ retro) e di nome, passando da Oreo Biscuit a Oreo Sandwich (1921) a Oreo Creme Sandwich (1948) e giocando un po’ coi gusti (negli anni Venti uscì una versione con la cialda alla vaniglia e una con ripieno al limone). Negli anni Novanta, le preoccupazioni salutiste dell’opinione pubblica portarono all’abbandono dello strutto a favore di oli vegetali non idrogenati, che rendono gli Oreo un biscotto adatto anche per le persone vegane: e anche questo ha contribuito alla loro popolarità.