Cosa non convince del vaccino russo

A due giorni dall'annuncio di Pfizer, la Russia ha comunicato di avere rilevato un'alta efficacia del suo Sputnik V, ma ci sono molti dubbi

La somministrazione di una dose del vaccino sperimentale Sputnik V a Mosca, Russia (AP Photo/Alexander Zemlianichenko Jr, File)
La somministrazione di una dose del vaccino sperimentale Sputnik V a Mosca, Russia (AP Photo/Alexander Zemlianichenko Jr, File)

Mercoledì 11 novembre, ad appena due giorni dall’annuncio dei risultati molto promettenti del vaccino contro il coronavirus di Pfizer, la Russia ha annunciato di avere ottenuto esiti incoraggianti dalla sperimentazione di un proprio vaccino per rallentare la pandemia. Le tempistiche e il fatto che sia stato dichiarato un livello di efficacia superiore, seppure di poco, al vaccino della società farmaceutica statunitense – sviluppato dalla tedesca BioNTech – ha però fatto sollevare perplessità da parte di numerosi esperti e analisti. La loro impressione è che l’annuncio sia per lo più di natura propagandistica, spinto dal governo russo e dal presidente Vladimir Putin.

Il Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica N. F. Gamaleja di Mosca ha diffuso un comunicato stampa, annunciando di avere condotto un’analisi preliminare sui test clinici in corso sul proprio vaccino contro il coronavirus. Dallo studio, ancora parziale e che richiederà approfondimenti, è emerso che il vaccino “Sputnik V” ha un livello di efficacia pari al 92 per cento. Il suo nome è stato scelto per ricordare il primo satellite artificiale della storia, lo Sputnik 1, mentre la “V” sta per “vaccino”.

La ricerca è però basata su appena 20 casi di COVID-19, la malattia causata dal coronavirus, identificati analizzando 16mila volontari sui 40mila partecipanti alla sperimentazione clinica. Come in altri studi tesi a valutare l’efficacia di un vaccino, anche nel caso di Sputnik V i volontari sono stati divisi in due gruppi: uno ha ricevuto il vaccino vero e proprio, mentre l’altro una sostanza che non fa nulla (placebo). I ricercatori hanno poi atteso alcune settimane per valutare chi si ammalasse di COVID-19 e per stimare l’incidenza della malattia in un gruppo e nell’altro.

Pfizer e BioNTech hanno seguito una strada simile per la sperimentazione del loro vaccino su oltre 40mila volontari. Un comitato esterno ha esaminato i dati dei test clinici, ancora in corso, per una valutazione preliminare stimando un’efficacia del vaccino pari al 90 per cento, dopo avere rilevato 94 casi di COVID-19 tra i partecipanti. È più di quattro volte il dato rilevato dal Gamaleja nel suo studio, ed è quindi considerato statisticamente molto più rilevante per calcolare l’efficacia teorica del vaccino. Altre aziende farmaceutiche hanno in programma di attendere di avere almeno 50 volontari malati di COVID-19 prima di iniziare a fare stime sull’efficacia. Il test clinico di Pfizer proseguirà nei prossimi mesi, fino a quando non sarà stato rilevato un totale di 164 casi di COVID-19.

Il dato fornito dal Gamaleja non è molto rilevante e secondo numerosi esperti non può ancora fornire una valutazione attendibile sull’efficacia di Sputnik V. Svetlana Zavidova, che da anni si occupa di test clinici e di vaccini in Russia, ha spiegato al sito di Science di avere difficoltà a spiegarsi l’annuncio dell’istituto: “Temo che abbiano visto i risultati di Pfizer e abbiano aggiunto un 2 per cento”.

Il Gamaleja non ha inoltre fornito molti dettagli sui risultati preliminari annunciati, per ora non corredati da solide ricerche e valutazioni scientifiche. Anche Pfizer per ora ha fornito informazioni tramite un comunicato stampa e senza molti altri dettagli.

Sputnik V prevede la somministrazione di due dosi a distanza di tre settimane. A differenza di quello di Pfizer e BioNTech basato su sequenze di mRNA (lo abbiamo spiegato qui), il vaccino russo utilizza due virus ritenuti poco aggressivi (adenovirus), modificati geneticamente in modo da trasportare il gene contenente le istruzioni per produrre la proteina che il coronavirus sfrutta per legarsi alle cellule, che utilizzerà poi come fotocopiatrici per creare nuove copie di se stesso.

In questo modo, il sistema immunitario impara a riconoscere la proteina dal virus “ibrido” e meno aggressivo, serbando poi memoria della minaccia incontrata. Nel caso di una successiva infezione da coronavirus, il sistema immunitario avrà le conoscenze per impedire al virus di legarsi alle cellule e quindi di replicarsi con il rischio di causare la COVID-19.

Nei test clinici condotti in Russia è stato impiegato l’adenovirus 26 (Ad26) per la prima dose, mentre per la seconda è stato impiegato l’adenovirus 5 (Ad5), come rinforzo (booster) dopo la prima somministrazione. I 20 casi cui fa riferimento il Gamaleja sono stati rilevati tre settimane dopo la prima dose, quando i volontari si erano presentati per ricevere il booster. Il centro di ricerca ha inoltre aggiunto di non avere rilevato particolari effetti avversi dovuti alla somministrazione del vaccino, ma alcuni ricercatori – in Russia e all’estero – hanno sollevato perplessità.

L’Ad5 è una vecchia conoscenza nel campo dei vaccini. Era stato impiegato oltre dieci anni fa per un vaccino sperimentale contro l’HIV, il virus che può causare l’AIDS. Anche all’epoca l’adenovirus era stato impiegato come sistema per introdurre nell’organismo alcune informazioni genetiche dell’HIV, ma non si era rivelato sicuro ed efficace a sufficienza, portando a un numero rilevante di infezioni da HIV tra i partecipanti alla sperimentazione. È comunque ancora presto per concludere che il vaccino russo abbia un problema simile, considerato che l’Ad5 viene somministrato con la seconda dose, mentre la prima prevede l’impiego di un adenovirus diverso.

Ricercatori ed esperti segnalano che i risultati comunicati del Gamaleja sono probabilmente corretti, anche se parziali e poco rilevanti a questo punto della sperimentazione. L’impressione generale è che il governo russo abbia fatto pressioni per diffondere rapidamente un comunicato, dopo la notizia sull’efficacia del vaccino di Pfizer. Del resto, negli ultimi mesi la Russia ha cercato di promuovere molto i risultati ottenuti nella ricerca contro il coronavirus, adottando anche soluzioni controverse e molto criticate dalla comunità scientifica.

Durante l’estate, per esempio, l’autorità di controllo dei farmaci della Russia ha autorizzato il Gamaleja ad avviare la somministrazione di Sputnik V alla popolazione, al di fuori dei classici meccanismi di valutazione e controllo dei test clinici ancora in corso. Il vaccino è stato impiegato in alcuni ospedali delle zone del paese più interessate dall’epidemia, e somministrato agli operatori sanitari e ad altre categorie a rischio. Il Gamaleja dice di avere vaccinato almeno 10mila persone nell’ambito di questa iniziativa e sostiene che anche in questo caso il vaccino si sia rivelato efficace, con livelli superiori al 90 per cento.

Lo scetticismo intorno allo Sputnik V deriva anche dal fatto che finora la Russia non ha aderito agli sforzi della comunità internazionale per la ricerca di un vaccino, con procedure che richiedono l’adozione di particolari standard e la condivisione in modo aperto e trasparente dei dati sulle sperimentazioni. Anche in seguito alle forti pressioni da parte dei ricercatori, nei mesi scorsi Pfizer e diverse altre aziende farmaceutiche hanno reso pubblici i protocolli adottati per i loro test clinici, cosa che invece non ha fatto il Gamaleja. Le informazioni sono scarse e l’istituto non fornisce molti dettagli alla stampa nazionale ed estera. È soprattutto la mancanza di trasparenza a rendere più critici e scettici esperti e ricercatori.

La ricerca di un vaccino efficace contro il coronavirus sta tenendo impegnate decine di centri di ricerca e di aziende farmaceutiche, con i governi che hanno iniziato a fare prenotazioni e ordini da svariati miliardi di euro per avere al più presto le dosi, non appena i vaccini saranno dichiarati sicuri ed efficaci contro la pandemia. La cosiddetta “corsa al vaccino” ha anche implicazioni di politica internazionale, con alcuni dei più grandi paesi interessati ad aumentare la loro capacità d’influenza anche grazie alla possibilità di fornire e vendere dosi ad altri paesi.

Secondo gli ultimi dati ufficiali comunicati dal governo, dall’inizio dell’epidemia in Russia sono stati rilevati quasi 1,9 milioni di casi positivi e ci sono stati oltre 32mila morti. I dati sono però parziali e non descrivono accuratamente l’andamento dei contagi nel paese.