Cos’è successo oggi alla Camera col numero legale

Al governo serviva per approvare il nuovo DPCM sul coronavirus ed è mancato per alcune decisioni prese dalla Camera sulla gestione dei sospetti positivi

(EPA/Roberto Monaldo/LaPresse)
(EPA/Roberto Monaldo/LaPresse)

Oggi pomeriggio alla Camera è mancato il numero legale per approvare o respingere una comunicazione fatta dal ministro della Salute Roberto Speranza ai deputati, in cui esponeva le ragioni per prolungare lo stato di emergenza deciso dal governo per gestire la pandemia da coronavirus. Il numero legale non è stato raggiunto in parte per l’approccio deciso dalla presidenza della Camera per gestire i parlamentari attualmente in isolamento fiduciario, e in parte per la decisione dell’opposizione di destra e centrodestra di non partecipare al voto una volta compreso che i parlamentari della maggioranza erano assai pochi.

L’assenza del numero legale – che alla Camera è di 316 membri, la metà più uno – è un bel problema per la maggioranza e il governo: il cosiddetto “decreto COVID” convertito in legge a maggio sembra vincolare l’emanazione di nuovi decreti della presidenza del Consiglio (DPCM) – cioè il principale strumento con cui il governo ha gestito le misure contro la pandemia – all’approvazione delle due camere di un intervento del presidente del Consiglio o di un ministro. Per quanto riguarda il caso di oggi, l’assenza del numero legale potrebbe impedire al governo di emanare il nuovo DPCM che aveva intenzione di approvare stasera, che fra le altre cose dovrebbe disporre la proroga dello stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021. Al momento le misure speciali di contenimento, approvate a settembre, sono in vigore fino a domani, 7 ottobre, mentre lo stato di emergenza fino al 15.

Nella maggioranza, che conta circa 350 deputati, oggi mancava un numero consistente di deputati sia per via di assenze fisiologiche, come quelle dei deputati in missione oppure impegnati con gli incarichi di governo, sia per alcune regole sulla gestione della pandemia decise dagli uffici tecnici della Camera, che dipendono dalla presidenza.

Il caso era iniziato ieri con la notizia della positività di una deputata del Partito Democratico, Beatrice Lorenzin, e del sottosegretario agli Esteri Ricardo Merlo, che fa parte del MAIE (Movimento Associativo Italiani all’Estero). A tutti i deputati che nei giorni scorsi avevano avuto contatti con Lorenzin o Merlo era stato chiesto di rimanere in isolamento: per rientrare alla Camera, l’ufficio che gestisce i rapporti coi parlamentari aveva chiesto loro sia un test dall’esito negativo, sia un certificato medico che comprovasse l’assenza di COVID-19, la malattia causata dal coronavirus. In tutto avevano dovuto mettersi in quarantena 41 parlamentari, tutti della maggioranza.

Un membro della Camera che fa parte dei 41 ha fatto notare al Post che nessun medico firmerebbe in buona fede un certificato del genere, dato che molti deputati hanno incontrato Lorenzin o Merlo meno di una settimana fa, e che secondo quello che sappiamo sul periodo di incubazione del coronavirus potrebbero sviluppare i sintomi nei prossimi giorni. Il membro della Camera in questione ha aggiunto che la procedura non è stata comunicata con un documento o una circolare, ma con una telefonata di un funzionario della Camera.

Una procedura del genere rischia di bloccare i lavori della Camera ogni volta che sarà individuato un deputato o un membro del governo positivo: soprattutto perché ad oggi la Camera dei Deputati non ha approntato alcun sistema per consentire di votare a distanza, cosa che invece è avvenuta al Parlamento Europeo e in varie assemblee in giro per il mondo.

A questo punto, come fa notare anche un articolo di ANSA, il governo ha due opzioni: aspettare che un numero sufficiente dei 41 deputati della maggioranza esca dall’isolamento e rinviare di diversi giorni l’approvazione del nuovo DPCM (col potenziale problema di rimanere per qualche giorno senza i poteri garantiti dallo stato di emergenza); oppure approvare nelle prossime ore il DPCM citando una clausola del “decreto COVID” che prevede l’approvazione di un DPCM «per ragioni di urgenza connesse alla natura delle misure da adottare». Inizialmente il governo sembrava intenzionato a seguire la seconda strada: nel pomeriggio aveva convocato per la sera, alle 20.30, un Consiglio dei ministri. Poi però lo ha posticipato alle 11 di domani.

Nel tardo pomeriggio, l’ufficio della Camera ha modificato i documenti richiesti ai parlamentari per uscire dall’isolamento e tornare in aula: a quanto ha raccontato al Post un membro della Camera attualmente in isolamento, per uscirne sarà sufficiente un tampone negativo e un documento di un medico che certifichi che la persona in questione non è tenuta a rimanere in quarantena per altre ragioni.