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  • Mercoledì 9 settembre 2020

Il Regno Unito non vuole rispettare gli accordi già presi su Brexit

Il governo britannico ha proposto una legge per violare alcune clausole dell'accordo stretto l'anno scorso che riguardano l'Irlanda del Nord: è una cosa con pochi precedenti

(Stefan Rousseau- WPA Pool/Getty Images)
(Stefan Rousseau- WPA Pool/Getty Images)

Il governo del Regno Unito ha confermato che non intende rispettare alcune clausole dell’accordo stretto su Brexit con l’Unione Europea, il cosiddetto Withdrawal Agreement, approvato all’inizio di gennaio dal Parlamento britannico e perciò diventato legge.

La decisione è stata confermata dal primo ministro Boris Johnson dopo giorni di indiscrezioni, e ha attirato moltissime critiche: sia per le modalità con cui è stata comunicata – la Commissione Europea ha accusato il Regno Unito di avere tradito la fiducia necessaria per proseguire i negoziati attualmente in corso, che riguardano il futuro accordo commerciale – sia per i contenuti della legge, che potrebbero violare alcune norme del diritto internazionale.

Laura Kuenssberg, capo della redazione politica di BBC News, ha scritto che nei giorni scorsi fonti interne al governo britannico avevano descritto la legge come «un’opzione nucleare». «Alla fine hanno deciso di premere il bottone», scrive Kuenssberg.

La decisione del governo guidato da Boris Johnson potrebbe avere conseguenze molto concrete già nelle prossime settimane. La Commissione Europea ha chiesto a Johnson di ritirare la legge proposta, lasciando intendere che in caso contrario abbandonerà i negoziati in corso sul futuro accordo commerciale. Se le due parti non trovassero alcun compromesso e l’1 gennaio il Regno Unito completasse l’uscita dall’Unione senza alcun accordo, le conseguenze a breve termine sull’economia britannica – e in misura minore sui paesi europei che hanno maggiori legami commerciali col Regno Unito – sarebbero estremamente negative.

«Gli accordi si devono rispettare», ha twittato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen citando un motto latino

Il problema col Withdrawal Agreement nasce dal fatto che il compromesso trovato l’autunno scorso fra negoziatori europei e britannici era stato possibile perché Johnson aveva ceduto su una serie di aspetti che riguardano il confine fra Irlanda e Irlanda del Nord. Fin dall’inizio dei negoziati l’Unione Europea aveva insistito per non costruire una nuova frontiera fra i due paesi, rimossa soltanto nel 1997 con gli accordi di pace del Good Friday.

Per raggiungere l’obiettivo l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito) avrebbe dovuto rimanere allineata alle leggi europee in materia di dazi e circolazione di beni e servizi. Il governo di Theresa May giudicava questa eventualità una inaccettabile violazione dell’integrità territoriale del Regno Unito; il governo Johnson invece accettò le richieste europee, e definì «grandioso» il compromesso trovato.

Ora, però, lo stesso Johnson propone che il governo britannico possa violare esplicitamente alcune clausole del Withdrawal Agreement. L’accordo prevede per esempio che il Regno Unito rispetti le leggi europee sugli aiuti di stato per quanto riguarda i sussidi statali alle aziende nordirlandesi (per evitare che facciano concorrenza sleale a quelle irlandesi); la legge proposta da Johnson (PDF) all’articolo 44 sostiene che il governo britannico possa scegliere se notificare o meno all’Unione Europea l’esistenza di alcuni sussidi, di fatto superando i contenuti del già approvato Withdrawal Agreement. Il paragrafo 42 dà invece al governo la facoltà di ignorare le leggi internazionali quando si occupa di trasporti di beni: una misura contraria al diritto internazionale, dato che le leggi britanniche – come quelle della maggior parte dei paesi occidentali – prevedono la supremazia dei trattati internazionali, se in vigore, rispetto alle leggi nazionali.

Il governo britannico ha insistito sul fatto che i cambiamenti al Withdrawal Agreement, e la conseguente violazione dei trattati internazionali, sarebbe «molto specifica e limitata», e che il documento andava comunque chiarito perché eccessivamente ambiguo su alcuni punti (poco dopo averlo approvato, Johnson e il governo ne parlarono esclusivamente in termini entusiasti).

Alcuni osservatori spiegano che la decisione di Johnson rientra in una strategia precisa: «il governo ha fatto precipitare una crisi per provare a smuovere l’Unione Europea», scrive l’analista Mujtaba Rahman, che lavora per il think tank Eurasia Group.

Uscire definitivamente dall’Unione Europea senza un accordo commerciale sarebbe disastroso per l’economia britannica: da un giorno all’altro sui prodotti britannici sarebbero imposti pesanti dazi che farebbero aumentare notevolmente il loro prezzo finale, rendendoli molto meno competitivi. Un’automobile prodotta nel Regno Unito, per esempio, potrebbe costare in media tremila euro in più. Dato che il Regno Unito esporta molti dei propri beni nei paesi dell’Unione Europea – parliamo del 46 per cento delle esportazioni totali – le conseguenze sarebbero potenzialmente catastrofiche per interi settori dell’economia britannica.

Violare esplicitamente un trattato internazionale, inoltre, danneggerebbe in maniera permanente l’immagine del governo Johnson con gli alleati del Regno Unito in giro per il mondo: il principale consulente del candidato Democratico alla presidenza degli Stati Uniti, Joe Biden, ha detto al Guardian che l’approvazione della legge comprometterebbe i rapporti fra Stati Uniti e Regno Unito, strettissimi alleati ormai da decenni.

Per tutte queste ragioni molti sostengono che Johnson farà di tutto per trovare un qualche tipo di accordo con i negoziatori europei, con cui la distanza rimane comunque molto ampia su diversi temi fra cui i diritti dei pescatori europei di accedere alle acque britanniche, le misure per impedire alle aziende britanniche di fare concorrenza sleale a quelle europee con l’aiuto del proprio governo, e la risoluzione delle controversie che potrebbero nascere nei prossimi anni.

Altri osservatori ritengono invece che il governo britannico stia semplicemente preparando il terreno per abituare il proprio elettorato all’idea che il Regno Unito uscirà dall’Unione senza alcun tipo di accordo, addossando la colpa alle pretese dei negoziatori europei. Un recente articolo del Financial Times ipotizza per esempio che il governo Johnson potrebbe accettare di uscire dall’Unione Europea senza accordo per poter gestire meglio il rilancio dell’economia dopo la pandemia da coronavirus, e avere maggiori libertà per garantire sussidi e aiuti di stato alle aziende britanniche e alle multinazionali che decideranno di investire nel Regno Unito.