Ci risiamo davvero, con Brexit
Negli ultimi giorni il governo britannico si è mosso molto, ma nessuno ha capito se Boris Johnson voglia o meno un compromesso coi negoziatori europei sul futuro accordo commerciale
Domani, martedì 8 settembre, inizierà una delle ultime fasi di negoziato fra Regno Unito e Unione Europea per trovare un accordo commerciale che dovrebbe entrare in vigore l’1 gennaio 2021, quando il Regno Unito completerà la propria uscita dall’Unione. I negoziati sono sembrati fin da subito difficilissimi e sono stati resi ancora più complicati dalla pandemia da coronavirus: ma osservatori ed analisti concordano sul fatto che un compromesso sembra sempre più lontano, soprattutto per via dell’atteggiamento tenuto dal governo britannico negli ultimi giorni.
Ieri sera il governo guidato da Boris Johnson e sostenuto dai Conservatori ha fatto sapere che proporrà una riforma del mercato interno che violerà alcuni principi contenuti nel Withdrawal Agreement, l’accordo stretto con i negoziatori europei nell’autunno del 2019 per l’uscita ordinata dall’Unione. Oggi, invece, Johnson terrà un discorso – i cui contenuti sono stati anticipati dai giornali vicini ai Conservatori – in cui darà tempo fino al 15 ottobre per trovare un compromesso, altrimenti il Regno Unito uscirà senza alcun accordo commerciale, cosa che Johnson dovrebbe definire «un buon risultato», che permetterà al paese di «prosperare» (al contrario di quello che indicano tutte le stime disponibili).
L’annuncio del governo sul superamento unilaterale del Withdrawal Agreement è stato accolto con un certo stupore dagli esperti di cose europee. «Violando un trattato che ha firmato l’anno scorso, il Regno Unito si inserisce nella categoria degli stati canaglia», ha scritto Brigid Laffan, politologa che insegna all’Istituto universitario europeo. Il Financial Times sostiene che la mossa abbia stupito anche alcuni funzionari del governo, che temono che il Regno Unito possa perdere l’autorevolezza morale per criticare le violazioni dei trattati internazionali compiute da altri paesi.
Tutti, comunque, concordano che i due annunci facciano parte di una strategia consapevole del governo Johnson. Nessuno però sa esattamente cosa voglia ottenere.
Il problema col Withdrawal Agreement nasce dal fatto che il compromesso trovato l’autunno scorso fra negoziatori europei e britannici era stato possibile perché Johnson aveva ceduto su una serie di aspetti che riguardano il confine fra Irlanda e Irlanda del Nord. Fin dall’inizio dei negoziati l’Unione Europea aveva insistito per non costruire una nuova frontiera fra i due paesi, rimossa soltanto nel 1997 con gli accordi di pace del Good Friday.
Per raggiungere l’obiettivo l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito) avrebbe dovuto rimanere allineata alle leggi europee in materia di dazi e circolazione di beni e servizi. Il governo di Theresa May giudicava questa eventualità una inaccettabile violazione dell’integrità territoriale del Regno Unito; il governo Johnson invece accettò le richieste europee, e definì «grandioso» il compromesso trovato.
A distanza di un anno, però, lo stesso Johnson propone che il governo britannico possa violare esplicitamente alcune clausole del Withdrawal Agreement. L’accordo prevede per esempio che il Regno Unito rispetti le leggi europee sugli aiuti di stato per quanto riguarda i sussidi statali alle aziende nordirlandesi (per evitare che facciano concorrenza sleale a quelle irlandesi); la legge proposta da Johnson sostiene che il governo britannico possa scegliere se notificare o meno all’Unione Europea l’esistenza di alcuni sussidi. Il Withdrawal Agreement prevede inoltre che le aziende nordirlandesi debbano seguire alcuni passaggi burocratici per spedire i propri beni nel resto del territorio britannico: la nuova legge sostiene che questi passaggi non siano necessari.
«Al momento potrebbe essere soltanto una questione di tattica», scrive Holger Hestermeyer, che insegna Risoluzione delle dispute internazionali al King’s College di Londra: «non necessariamente una buona tattica – “non rispetteremo gli accordi dato che non ci piacciono” è un buon argomento per non farne di nuovi – ma comunque una tattica. Ma quali conseguenze avrà? Dare una risposta non è affatto semplice».
Alcuni pensano che Johnson stia semplicemente cercando di aggiungere ulteriore pressione sui negoziatori europei con l’obiettivo di strappare un compromesso negli ultimi giorni disponibili: mettendo da parte quello che succederebbe al Regno Unito, l’assenza di un accordo danneggerebbe pesantemente i paesi che hanno maggiori rapporti commerciali con le aziende britanniche, quindi soprattutto Irlanda, Francia e Paesi Bassi. Ieri la tv di stato irlandese ha fatto sapere che da giorni il governo britannico sta chiedendo a quello irlandese di mostrare un po’ di flessibilità sul Withdrawal Agreement: secondo alcuni, è il segno che stia cercando in ogni modo di trovare un compromesso.
Uscire definitivamente dall’Unione Europea senza un accordo commerciale sarebbe disastroso per l’economia britannica: da un giorno all’altro sui prodotti britannici sarebbero imposti pesanti dazi che farebbero aumentare notevolmente il loro prezzo finale, rendendoli molto meno competitivi. Un’automobile prodotta nel Regno Unito, per esempio, potrebbe costare in media tremila euro in più. Dato che il Regno Unito esporta molti dei propri beni nei paesi dell’Unione Europea – parliamo del 46 per cento delle esportazioni totali – le conseguenze sarebbero potenzialmente catastrofiche per interi settori dell’economia britannica.
Per tutte queste ragioni molti sostengono che Johnson farà di tutto per trovare un qualche tipo di accordo con i negoziatori europei, con cui la distanza rimane comunque molto ampia su diversi temi fra cui i diritti dei pescatori europei di accedere alle acque britanniche, le misure per impedire alle aziende britanniche di fare concorrenza sleale a quelle europee con l’aiuto del proprio governo, e la risoluzione delle controversie che potrebbero nascere nei prossimi anni.
Altri osservatori ritengono invece che il governo britannico stia semplicemente preparando il terreno per abituare il proprio elettorato all’idea che il Regno Unito uscirà dall’Unione senza alcun tipo di accordo, addossando la colpa alle pretese dei negoziatori europei. «Riguardo all’approccio del governo britannico su Brexit, l’ideologia sta prevalendo sul pragmatismo», ha spiegato un diplomatico europeo a Politico. Il governo britannico, insomma, potrebbe decidere di raccogliere capitale politico realizzando la promessa di lasciare l’Unione Europea, a qualsiasi prezzo, piuttosto che rimanere intrappolato per anni in una sorta di limbo sgradito all’elettorato conservatore.
Stamattina sia il Times sia il Telegraph, i due quotidiani più istituzionali vicini al partito Conservatore, hanno aperto con le anticipazioni del discorso di Johnson senza mettere in dubbio le sue dichiarazioni o esprimere scetticismo per le decisioni e le strategie del governo.