Attenzione ai soldi gratis

Gli stati si stanno indebitando più che mai, senza le conseguenze che ci sarebbero state prima della pandemia: secondo l'Economist è l'inizio di una nuova era economica, che ha opportunità e rischi

(Pictures of Money / flickr)
(Pictures of Money / flickr)

Da mesi in tantissimi settori e ambiti diversi – tutti? – ci chiediamo cosa succederà quando avremo superato l’attuale crisi sanitaria ed economica, e molte discussioni girano attorno a una grande domanda: si tornerà alla “normalità”, dove per normalità si intende la situazione precedente alla pandemia da coronavirus? Oppure la normalità è cambiata per sempre? L’ultimo numero dell’Economist ha dedicato un editoriale al sistema economico dei più ricchi paesi del mondo, chiedendosi se tornerà quello che era prima e rispondendosi con un chiaro “no”.

[La pandemia] ha condotto a una corsa disperata per mettere in atto politiche che solo un paio di mesi fa sarebbero apparse inimmaginabili o eretiche. Il risultato è che nell’economia sta avvenendo un profondo cambiamento, del tipo che capita solo una volta per generazione.

L’Economist prosegue spiegando che non è la prima volta che una crisi mondiale determina un cambiamento profondo delle dinamiche economiche e finanziarie globali: negli anni Settanta un enorme aumento dei prezzi del petrolio causò una crisi economica su scala mondiale e il conseguente passaggio alla politica economica nota come “monetarismo”, che legava strettamente l’inflazione alla quantità di moneta presente sul mercato. Negli anni Novanta una nuova crisi mondiale portò le banche centrali del mondo a ottenere una maggiore indipendenza dai poteri politici, assicurando un tasso di interesse relativamente stabile nel tempo.

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La crisi economica cominciata nel 2007 era un potenziale momento di passaggio a un nuovo sistema di politica economica, ma con sorpresa di alcuni analisti non lo fu. Il cambiamento che non avvenne è stato invece attivato, secondo l’editoriale, dalla crisi legata all’epidemia di COVID-19. Questa nuova epoca è contraddistinta da quattro caratteristiche.

La prima è la dimensione sconvolgente dei prestiti garantiti agli attuali governi, e l’apparente potenziale illimitato per prestiti futuri. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che i paesi ricchi prenderanno in prestito il 17 per cento dei loro PIL complessivi quest’anno per finanziare 4200 miliardi di dollari in spese e sgravi fiscali progettati per mantenere in funzione l’economia.

La seconda caratteristica della “nuova era” è la massiccia emissione di nuovo denaro, usato per finanziare gli elevati debiti pubblici dei paesi mantenendo basso il tasso di interesse.

La terza caratteristica mette in evidenza un rischio: lo Stato si è attribuito il ruolo di “redistributore di capitale”, in quanto uno degli unici attori del mercato finanziario disposti a comprare azioni di aziende centrali per l’economia e finanziare ospedali e associazioni no profit. Questa situazione dà allo Stato il potere di decidere cosa finanziare e cosa no, creando un’influenza politica sull’economia che l’Economist giudica preoccupante.

Prima della crisi la stampa massiccia di denaro veniva compensata dall’inflazione, cioè l’aumento dei prezzi e la conseguente perdita di valore del denaro stampato. Ma la quarta caratteristica citata dall’Economist è proprio la bassa inflazione, nonostante le politiche monetarie così aggressive. Ecco perché chiama “soldi gratis” le cifre prese abbondantemente in prestito dagli Stati (nel caso del Fondo per la ripresa europeo, poi, non si può nemmeno parlare sempre di prestito nel senso comunemente più noto: sono soldi versati a fondo perduto, quindi letteralmente “soldi gratis”).

Secondo l’Economist questi non sono cambiamenti temporanei che torneranno alla normalità fra qualche anno, bensì un esempio dell’accelerazione di dinamiche che erano già in moto: l’inflazione e i tassi di interesse erano stranamente contenuti anche prima della crisi, sia in Europa che negli Stati Uniti, nonostante l’emissione di liquidità da parte delle banche centrali.

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Questa “nuova era dell’economia” sarà quindi caratterizzata da una perdita di indipendenza delle banche centrali, che dovranno prendersi dei rischi abbandonando il ruolo di intermediari che avevano dagli anni Novanta, e da una maggiore influenza dello Stato.

Uno Stato con una capacità di azione costantemente più ampia e più profonda nell’economia crea alcune opportunità. I tassi di interesse bassi renderanno meno caro per il governo indebitarsi per costruire nuove infrastrutture, da laboratori di ricerca a reti elettriche, che permetteranno di aumentare la crescita e di affrontare minacce come pandemie e cambiamento climatico. Inoltre, con l’invecchiamento della popolazione, alzare le spese per la salute e le pensioni è inevitabile […]

Ma la nuova era presenta anche dei gravi rischi. Se l’inflazione dovesse aumentare improvvisamente, l’intero edificio del debito tremerà: le banche centrali dovranno mettere insieme enormi riserve per comprare titoli, ma anche queste riserve sarebbero soggette all’aumento dei tassi che loro stesse deciderebbero. E anche se l’inflazione rimanesse bassa, il nuovo meccanismo sarebbe vulnerabile a essere cavalcato da lobby, sindacati e politici clientelari.

In sintesi, il problema principale di questo sistema è che lascia molto potere imprenditoriale allo Stato, che ottiene margine per fare favoritismi, decidendo arbitrariamente quali attività finanziare e quali no, o semplicemente senza cattiva fede potrebbe agire in modo poco intelligente e inesperto sul mercato, basandosi su un’agenda politica e non economica.

[I politici] stanno già decidendo per quali aziende sospendere il pagamento delle tasse e quali lavoratori dovrebbero essere pagati dallo Stato in attesa che i loro vecchi lavori riappaiano. Fra non molto alcuni dei prestiti al settore privato si riveleranno insostenibili, lasciando ai governi la scelta di quali aziende debbano fallire.

Ogni era economica deve affrontare una sfida caratteristica della sua epoca, che trae origine nella crisi che l’ha originata: negli anni Trenta l’enorme crisi finanziaria del 1929 diede origine alla politica economica keynesiana, il cui obiettivo era far uscire il mondo dalla Depressione economica in cui era sprofondato. Negli anni Settanta e Ottanta bisognava uscire dal fenomeno della stagflazione (cioè una combinazione di immobilità economica e aumento dei prezzi), originato dalla crisi del 1973, usando i mezzi del monetarismo.

La crisi che ha originato l’attuale passaggio a una nuova era economica è un’emergenza sanitaria dove il potere politico ha avuto un ruolo enorme, nel bene e nel male. La sfida, anche quando la crisi sarà superata, sarà riuscire a creare un contesto che permetta alla “nuova” economia – con l’ingombrante presenza dello “Stato imprenditore” – di girare, sapendo affrontare eventuali crisi finanziarie, senza che i favoritismi politici prendano il sopravvento.