Uno dei medici cinesi che avevano dato l’allarme sul nuovo coronavirus ed era stato punito è morto
Aveva diffuso la notizia in una chat privata negli ultimi giorni del 2019, in seguito era stato interrogato dalla polizia e si era ammalato lui stesso
Li Wenliang, uno dei primi medici ad avere dato l’allarme sulla diffusione del nuovo coronavirus (2019-nCoV) in Cina, è morto a causa del virus. La notizia era stata data inizialmente giovedì pomeriggio dal Global Times, giornale controllato dal Partito comunista cinese: aveva pubblicato inizialmente un tweet, ripreso dalla stampa internazionale e anche dal Post, in cui aveva dato notizia della morte di Li. Successivamente il tweet era stato cancellato e il Global Times aveva scritto che Li si trovava in rianimazione in condizioni gravissime. Ore dopo il Quotidiano del Popolo, un giornale controllato dal Partito comunista cinese, ha scritto che Li Wenliang è morto, alle 19:58 ora italiana.
Li Wenliang, un oculista di 34 anni presso uno degli ospedali di Wuhan, la città da cui è partita la crisi sanitaria, aveva raccontato la sua storia nei giorni scorsi sul social network cinese Weibo. Li Wenliang era tra i medici che la polizia aveva interrogato nelle prime settimane della diffusione del virus, accusandoli di aver diffuso notizie false e aver provocato il panico nella popolazione.
Il 30 dicembre del 2019, Li avvisò alcuni studenti della sua scuola di medicina, scrivendo nella loro chat di gruppo che alcuni pazienti si trovavano in quarantena in pronto soccorso; una persona rispose chiedendo se stesse iniziando una nuova epidemia di SARS, malattia causata da un altro coronavirus che tra il 2002 e il 2003 provocò la morte di 774 persone in tutto il mondo.
Il 31 dicembre il messaggio di Li fu condiviso fuori dalla chat del gruppo spingendo le autorità a intervenire per evitare fughe di notizie. «Quando l’ho visto circolare online, ho capito che era fuori dal mio controllo e che probabilmente sarei stato punito», scrisse in seguito Li su Weibo.
Quella stessa notte, alcuni funzionari sanitari di Wuhan convocarono Li e gli chiesero perché avesse condiviso l’informazione; tre giorni dopo la polizia lo obbligò a firmare una dichiarazione in cui ammetteva di essersi comportato in modo «illegale».
Nei giorni successivi la polizia annunciò di avere messo sotto indagine otto persone per aver diffuso notizie sulla malattia, mentre la commissione sanitaria di Wuhan aveva iniziato a fornire le prima informazioni, annunciando che 27 persone soffrivano di polmonite per una causa ancora sconosciuta; aggiungeva però che non c’era bisogno di allarmarsi: «La malattia si può prevenire e controllare». Contemporaneamente le autorità avvisarono gli uffici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di Pechino.
Li era poi tornato al lavoro. Il 10 gennaio aveva curato una donna per glaucoma, ignara di avere contratto il nuovo coronavirus, probabilmente dalla figlia. Le due donne si ammalarono e si ammalò anche Li. Solo 10 giorni dopo, il 20 gennaio, le autorità cinesi hanno dichiarato la diffusione del virus un’emergenza nazionale. Ad oggi, 566 persone sono morte per il nuovo coronavirus e ci sono più di 28mila contagi.
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In una prima versione di quest’articolo, che riprendeva un tweet del giornale cinese Global Times, era stato scritto che Li Wenliang era morto, poi l’articolo era stato modificato in seguito alla cancellazione del tweet e alla rettifica del Global Times.