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  • Lunedì 18 novembre 2019

I documenti riservati del governo cinese pubblicati dal New York Times

Mostrano la nascita dell'oppressione e della detenzione di massa – «senza mostrare alcuna pietà» – dei musulmani nello Xinjiang

Alcune delle pagine dei documenti riservati ottenuti dal New York Times
Alcune delle pagine dei documenti riservati ottenuti dal New York Times

Il New York Times ha ottenuto più di 400 pagine di documenti riservati sottratti al governo cinese che mostrano e raccontano il modo in cui il regime comunista ha organizzato le detenzioni di massa e la repressione delle minoranze musulmane nella provincia occidentale dello Xinjiang, tra cui quella degli uiguri. È una delle fughe di notizie più significative di sempre all’interno del Partito comunista cinese. Il New York Times ha analizzato e in parte tradotto i documenti.

Gli uiguri sono una minoranza di religione musulmana e parlano una lingua di origine turca. Si trovano principalmente nella vasta regione dello Xinjiang, nel nord ovest del paese. Qui sono più della metà dei 25 milioni di abitanti: nella regione vive circa l’1,5 per cento della popolazione cinese, ma secondo l’organizzazione Chinese Human Rights Defenders si verifica il 20 per cento degli arresti del paese. L’autorità centrale cinese ha sempre malsopportato gli uiguri per le loro antiche spinte indipendentiste, che portarono a repressioni già nell’epoca di Mao Zedong e che si sono inasprite negli ultimi vent’anni, da quando il governo ha presentato la campagna contro la minoranza uigura come una lotta al terrorismo. La regione dello Xinjiang è notoriamente uno dei posti più sorvegliati al mondo: gli abitanti sono sottoposti a controlli di polizia quotidiani, a procedure di riconoscimento facciale e a intercettazioni telefoniche di massa.

Una donna uigura davanti a un gruppo di militari, 7 luglio 2009 (AP Photo/Ng Han Guan)

Lo scorso anno un’altra inchiesta del New York Times documentò nella regione una vasta rete di campi definiti “di trasformazione attraverso l’educazione”, attivi dal 2014 e nei quali gli uiguri vengono rinchiusi indiscriminatamente. Secondo gli analisti, al momento più di un milione di uiguri e altre persone appartenenti a minoranze etniche di religione musulmana si trovano all’interno di questi campi di prigionia. Negli ultimi mesi il governo cinese ha cercato di respingere le accuse di sistematiche violazioni dei diritti umani nello Xinjang. Alla fine di luglio aveva annunciato di aver chiuso la maggior parte dei campi di rieducazione, ma la dichiarazione era stata considerata poco affidabile dalla maggior parte degli analisti ed era stata messa in discussione dalla pubblicazione, lo scorso settembre, di un video che mostra centinaia di persone legate e bendate in attesa di essere caricate su un treno dalla polizia.

Non è chiaro come i circa 400 documenti siano stati selezionati e sottratti al governo cinese, ma il fatto che i documenti siano trapelati, scrive il New York Times, suggerisce un maggiore malcontento all’interno del partito rispetto al passato. Nell’inchiesta il New York Times fa velocemente riferimento a un membro della dirigenza del partito che ha chiesto di restare anonimo e che ha espresso la speranza che la divulgazione di queste informazioni impedisca l’impunità per le detenzioni di massa.

Urumqi, provincia dello Xinjiang, 12 luglio 2009 (AP Photo/Eugene Hoshiko)

Tra le principali informazioni contenute nei documenti c’è il ruolo svolto nell’attuale repressione dal presidente della Cina Xi Jinping. In una serie di discorsi tenuti in privato ai funzionari nell’aprile del 2014 (dopo che nello Xinjiang si erano verificati diversi attentati) Xi Jinping chiede una lotta più coordinata e radicale («senza mostrare alcuna pietà») «contro il terrorismo, l’infiltrazione e il separatismo». Il presidente fa riferimento all’uso di metodi più efficaci, e nonostante nei suoi discorsi non ordini esplicitamente gli arresti di massa, invita il partito a usare tutti gli strumenti a sua disposizione per sradicare l’Islam nello Xinjiang. Paragona l’estremismo islamico al contagio di un virus o a una droga che crea dipendenza, e dice che «l’impatto psicologico del pensiero religioso estremista sulle persone non deve mai essere sottovalutato». «Le persone che sono intrappolate nell’estremismo religioso – maschi o femmine, vecchi o giovani – hanno la coscienza distrutta, perdono l’umanità e uccidono senza batter ciglio». In diversi passaggi piuttosto sorprendenti – data la repressione che ne è seguita, precisa il New York Times – Xi Jinping suggerisce ai funzionari di non discriminare gli uiguri, e respinge le proposte di eliminare completamente l’Islam dalla Cina: «Alla luce delle forze separatiste e terroristiche sotto la bandiera dell’Islam, alcune persone hanno sostenuto che l’Islam dovrebbe essere limitato o addirittura sradicato». Lui definisce questa visione «parziale» e anche «sbagliata», ma il suo intento principale resta comunque chiaro: attraverso i suoi discorsi stava comunque portando l’intero partito verso una svolta repressiva nello Xinjiang.

Nei documenti si fa poi riferimento agli attacchi terroristici avvenuti fuori dalla Cina e alla riduzione della presenza americana in Afghanistan. In diversi discorsi i funzionari sostengono che gli attacchi avvenuti nel Regno Unito derivavano da politiche che mettevano «i diritti umani al di sopra della sicurezza», e lo stesso presidente ha esortato il partito a prendere come esempio alcuni aspetti della “guerra al terrorismo” statunitense seguita agli attacchi dell’11 settembre. «Dopo che gli Stati Uniti avranno ritirato le truppe dall’Afghanistan, le organizzazioni terroristiche posizionate alle frontiere dell’Afghanistan e del Pakistan potrebbero rapidamente infiltrarsi nell’Asia centrale».

Protesta degli uiguri, Urumqi, Cina, luglio 2009 (AP Photo/Ng Han Guan)

Nei suoi discorsi, Xi Jinping fa poi riferimento ai programmi di indottrinamento nelle carceri dello Xinjiang. Nel giro di pochi mesi furono effettivamente avviati, inizialmente per lo più in piccole strutture che ospitavano dozzine o centinaia di uiguri alla volta. Poi, nell’agosto del 2016, Chen Quanguo venne nominato a capo della regione dello Xinjiang. Chen Quanguo è un politico famoso per il suo approccio duro all’ordine pubblico che prima aveva governato il Tibet, altra area di forti spinte indipendentiste, e con lui i campi di indottrinamento si sono espansi.

Dai documenti risulta anche che la repressione abbia incontrato dubbi e resistenze da parte di alcuni funzionari locali: temevano che avrebbe peggiorato le tensioni etniche e limitato la crescita economica. Risulta che Chen Quanguo e il partito abbiano risposto eliminando i funzionari sospettati di ostacolare l’operazione. Il New York Times dice che migliaia di funzionari nello Xinjiang sono stati puniti per aver resistito o non aver seguito le indicazioni. Dice che sono state messe al lavoro squadre segrete di investigatori per identificare coloro che non stavano facendo abbastanza e scrive che nel 2017 il partito ha avviato oltre 12 mila indagini sui membri del partito nello Xinjiang per infrazioni nella «lotta contro il separatismo».

I documenti trapelati includono 96 pagine di discorsi riservati del presidente, 102 pagine di discorsi di altri leader, oltre 150 pagine di direttive e rapporti sulla sorveglianza e il controllo della popolazione uigura nello Xinjiang e 44 pagine di materiale su indagini interne riguardanti funzionari locali.

Comprendono, infine, una guida del 2017 su come gestire gli studenti delle minoranze che, tornando a casa nello Xinjiang per la fine del semestre, non trovavano più i loro genitori o i loro familiari che, nel frattempo, erano stati internati. La guida contiene indicazioni precise sulle risposte da dare a domande quali: “dov’è la mia famiglia?”: «È in una scuola di formazione istituita dal governo», dice la guida. Ai funzionari viene poi data l’indicazione di spiegare che i genitori non sono dei criminali, ma che comunque non possono lasciare quelle “scuole”. La guida comprendeva anche una minaccia: agli studenti doveva essere detto che il loro comportamento avrebbe potuto ridurre o prolungare la detenzione dei genitori: «Sono sicuro che li sosterrai, perché questo è per il loro bene e anche per il tuo bene».

Il documento avverte in generale del rischio che gli studenti possano entrare a far parte della rivolta dopo aver appreso cosa è successo ai loro genitori e raccomanda dunque di incontrarli immediatamente, al loro rientro. La guida fornisce risposte anche a una serie di altre domande: quando verranno rilasciati i miei genitori? Perché non possono tornare a casa? Possono richiedere un congedo? Come posso permettermi la scuola se i miei genitori si trovano là e non c’è nessuno a lavorare nella fattoria? I loro genitori, stabilisce la guida delle risposte, erano stati «infettati» dal «virus» del radicalismo islamico e dovevano essere messi in quarantena e curati. Nemmeno i nonni e i familiari che sembravano troppo vecchi per commettere violenza potevano essere risparmiati, secondo quanto riferito dai funzionari. «Se non si sottopongono allo studio e alla formazione, non comprenderanno mai completamente i pericoli dell’estremismo religioso». O ancora: «Indipendentemente dall’età, chiunque sia stato infettato dall’estremismo religioso deve sottoporsi allo studio». La conclusione della guida è che gli studenti dovrebbero essere grati alle autorità per aver portato via i loro genitori e precisa di riferire che «il partito e il governo faranno tutto il possibile per alleviare le loro difficoltà».