• Sport
  • Sabato 24 agosto 2019

Inizia la Vuelta, il giro più strano

Perché è imprevedibile, perché è piena zeppa di salite e perché ha tra le sue peculiarità «un impareggiabile senso di disperazione»

(AP Photo/Alvaro Barrientos)
(AP Photo/Alvaro Barrientos)

Dei tre cosiddetti “grandi giri” del ciclismo su strada maschile – quelli che durano tre settimane e hanno 21 tappe – quello di Spagna, la Vuelta, è il più strano. La Vuelta ha meno storia e quindi meno fascino di Giro d’Italia e Tour de France e arriva alla fine della stagione: questo fa sì che, per differenziarsi, il percorso sia composto da tappe spesso corte ma piene di salite, e che – visto che è l’ultima possibilità dell’anno di vincere qualcosa di grosso – i favoriti siano molti. Mentre ci si allena d’inverno prima di una nuova stagione, nessuno o quasi ha nella Vuelta il suo principale obiettivo. Man mano che la stagione avanza le corse passano e solo alcuni le vincono; nel frattempo sempre più corridori iniziano a cerchiare in rosso il giorno d’inizio della Vuelta, che per molti è l’ultima occasione per raddrizzare una stagione storta o comunque non del tutto soddisfacente. Quel giorno è oggi.

La 74ª edizione della Vuelta di Spagna parte oggi da Salinas de Torrevieja, vicino a Valencia, e terminerà il 15 settembre a Madrid. In mezzo ci saranno 3.272 chilometri di strada, con due tappe a cronometro (una a squadre, l’altra individuale) e almeno nove di montagna.

Il percorso delle gara (clicca per ingrandire)

Prima di una corsa come il Tour de France è relativamente facile anticipare quali saranno le tre-quattro tappe decisive, e spesso ci si prende: basta guardare gli arrivi in salita e le tappe con più montagne, magari negli ultimi giorni. Nel caso di questa Vuelta invece è più difficile: le tappe con una o più salite che potrebbero scombussolare la classifica sono quasi la metà di quelle totali. A volte è una sola salita a fine corsa, in altri casi ci sono tante salite una dopo l’altra, in altri casi salite brevi ma molto ripide. Quando le tappe decisive sono poche, è più facile per i più forti controllare l’intera corsa: mettersi cioè nella condizione di poter guadagnare un iniziale vantaggio da gestire poi nei giorni successivi. Quando ci sono insidie a ogni tappa, invece, è più difficile pensare di poter controllare la corsa: è lecito quindi aspettarsi una gara combattuta, in cui il più forte di un giorno potrebbe non esserlo il giorno dopo. E diventa ancora più determinante centellinare le energie, senza strafare all’inizio.

Altra peculiarità della Vuelta: al Giro d’Italia di quest’anno le tappe più lunghe di 200 chilometri – una sorta di soglia ideale oltre la quale persino un professionista considera “lunga” una tappa – erano otto. Alla Vuelta di quest’anno non ce n’è nemmeno una. Significa fare uno sforzo diverso, un po’ più di forza e un po’ meno di resistenza.

A volerci comunque provare, le tappe degne di nota sono:

– La prima, oggi: con un bel paesaggio e una cronometro a squadre, in cui gli otto compagni di ogni squadra corrono insieme e viene preso il tempo del quinto tra loro.
– La quinta: la prima di vera montagna con arrivo all’Observatorio Astrofísico de Javalambre, e gli ultimi cinque chilometri con pendenza media oltre il 10 per cento.
– La nona, ad Andorra: con cinque salite in meno di 100 chilometri totali e meno di cinque chilometri in pianura; tutta su e giù, da fare al massimo già dal primo chilometro.
– La cronometro individuale, da Jurançon-Pau, di 36 chilometri: per gli appassionati del genere, che preferiscono confrontare intertempi al vedere fughe, attacchi e volate.
– La tredicesima, con arrivo all’Alto de Los Machucos: una salita breve ma micidiale, con pendenze che raggiungono il 25 per cento.
– La ventesima, l’ultima occasione per chi avrà secondi o minuti da recuperare e cinque salite per provarci.

Dopo aver visto la corsa, è il turno dei corridori (che sebbene pedalino anziché correre in Italia si chiamano corridori da quando, più di un secolo fa, si prese a chiamarli corridori ciclisti). Alla partenza ce ne sono 176: otto per ognuna delle 22 squadre. Dei 31 paesi rappresentati, l’Italia è il terzo, dopo Francia e Spagna, con 13 corridori. Come sempre in un grande giro, ogni squadra ha diversi obiettivi e diversi corridori per raggiungerli: velocisti che puntano alle tappe di pianura, giovani che devono mettere chilometri nelle gambe, gregari che devono faticare per i loro capitani, corridori che punteranno a andare in fuga per una vittoria di tappa e, infine, corridori che punteranno alla vittoria nella classifica generale.

Il favorito secondo quasi tutti è lo sloveno Primoz Roglic, ma era il favorito di quasi tutti anche prima del Giro d’Italia che poi non ha vinto. Roglic, che fra pochi mesi compirà 30 anni e non ha mai vinto un grande giro, è il favorito perché va forte a cronometro e se la cava su salite di ogni tipo, e perché nella prima metà di quest’anno, diciamo fino a metà Giro d’Italia, è andato fortissimo. Poi è subentrata la fatica e Roglic ha iniziato a rallentare, ma dovrebbe essersi riposato. Dovreste ricordare, se avete letto qualcosa su di lui al Giro, che prima di fare il corridore faceva il saltatore con gli sci. Dalla sua ha una squadra che è andata forte sia al Giro che al Tour, con compagni che potranno aiutarlo su ogni terreno (compreso l’olandese Steven Kruijswijk, terzo al Tour de France), e un modernissimo uso delle nuove tecnologie.

Quello da cui più dovrà guardarsi sarà probabilmente il colombiano Miguel Angel Lopez, che ha 25 anni. Quest’anno è arrivato settimo al Giro – nonostante un “tifoso” lo abbia fatto cadere nell’ultima salita della penultima tappa – e nel 2018 arrivò terzo sia al Giro che alla Vuelta. Se sta bene, in salita va come pochissimi altri; e sembra stare bene, oltre ad avere anche lui una squadra niente male, l’Astana. Tra i suoi compagni c’è il danese Jakob Fuglsang, tra i migliori corridori di questo 2019, che ha dovuto abbandonare il Tour dopo una caduta.

Tra gli altri corridori con serie ambizioni di vittoria ci sono il colombiano Nairo Quintana, il suo compagno Alejandro Valverde, il polacco Rafał Majka, il colombiano Esteban Chaves e l’olandese Wout Poels, che corre per il Team Ineos che per una volta non inizia un grande giro con un grande favorito per la vittoria (ma recupererà presto, perché l’anno prossimo avrà tra le sue fila quattro tra i più forti, e i grandi giri sono solo tre). I due italiani più da tenere d’occhio sono Fabio Aru, che al Tour è andato bene, considerato che rientrava da un infortunio, e Davide Formolo che potrebbe puntare a qualche vittoria di tappa e, magari, chissà, anche alla classifica. Avrebbe dovuto esserci anche Domenico Pozzovivo, che però è stato investito da un’auto mentre si allenava.

Come abbiamo detto, però, la Vuelta è una corsa strana, che arriva a fine anno quando le energie sono quello che sono, quando alcuni corridori hanno già firmato il contratto per correre la prossima stagione con una nuova squadra ma ancora corrono con quella vecchia, e per tanti è l’ultima possibilità di raddrizzare la stagione («la Vuelta ha una speciale peculiarità: un impareggiabile senso di disperazione”). Insomma, magari vincerà qualcun altro.

Gli ultimi otto grandi giri sono stati vinti da Chris Froome, Geraint Thomas, Simon Yates (tre britannici, già), Tom Dumoulin, Egan Bernal (un colombiano!) e Richard Carapaz. Nessuno di loro partecipa a questa Vuelta (Carapaz avrebbe dovuto, ma si è fatto male pochi giorni fa). Tra i corridori al via, solo tre – Aru, Quintana e Valverde – hanno già vinto un grande giro: ma Valverde l’ha vinto dieci anni fa, Aru arriva da quell’infortunio e da un paio di stagioni complicate e Quintana sembra non essere più quello di un tempo. Una vittoria di uno tra loro è possibile ma non probabile. È molto più probabile che a vincere sarà qualcuno che lo farà per la prima volta in un grande giro. A proposito di prime volte, sarà anche il primo grande giro di Tadej Pogačar, 20enne sloveno compagno di Aru, e uno dei migliori giovani in circolazione.

Insomma: nel ciclismo sono mesi in cui salta spesso fuori il concetto di “ricambio generazionale”, il momento in cui i giovani e arrembanti ventenni stanno spesso mettendo le loro ruote davanti a quelle di affermati trentenni. A questa Vuelta sarà interessante vedere se si confermerà il trend oppure mettersi a discutere, dovesse vincere lui, se Roglic conta “vecchia scuola” per questioni anagrafiche o “nuovo che avanza” per storia personale.

A proposito di vecchia scuola, Chris Froome ha da poco ricevuto la maglia rossa (quella che al Giro è rosa e al Tour è gialla) per aver vinto la Vuelta del 2011, dopo la squalifica per doping dell’ex ciclista spagnolo Juan José Cobo.