Luglio potrebbe essere stato il mese più caldo mai registrato

Secondo il programma europeo Copernicus – le cui rilevazioni devono essere ancora confermate – ha superato il record precedente

Il ghiacciaio Eqip Sermia in Groenlandia. (Sean Gallup/Getty Images)
Il ghiacciaio Eqip Sermia in Groenlandia. (Sean Gallup/Getty Images)

Lunedì il programma Copernicus dell’Unione Europea, che si occupa di monitorare gli effetti del cambiamento climatico, ha annunciato che in base alle sue rilevazioni il luglio appena passato è stato il mese più caldo da quando vengono misurati i dati sulle temperature globali, cioè da oltre un secolo. Il luglio del 2019, secondo Copernicus, ha sorpassato di pochissimo il luglio del 2016, cioè il mese che deteneva il record precedente: lo scarto è stato di soli 0,04 °C.

Copernicus basa la sua conclusione sulla base di milioni di misurazioni effettuate da satelliti, palloni aerostatici, boe e altri dispositivi, e che vengono poi processate da un modello matematico. È un sistema diverso da quello usato dalle altre grandi agenzie internazionali che sfruttano le migliaia di stazioni meteorologiche sparse nel mondo, e che per questo necessitano di più tempo per elaborare i dati. Le conclusioni di Copernicus, quindi, andranno confrontate con quelle che usciranno nelle prossime settimane, soprattutto quella – a questo punto particolarmente attesa – della National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense, prevista per la seconda metà di agosto.

Secondo Copernicus, le temperature del luglio del 2019 sono state di 0,56 °C superiori alle medie tra il 1981 e il 2010, e di quasi 1,2 °C sopra i livelli preindustriali. «Abbiamo sempre avuto estati calde, ma queste non sono le estati della vostra infanzia, non sono le estati dei vostri nonni», aveva detto venerdì scorso il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres commentando i dati preliminari che anticipavano le conclusioni annunciate oggi.

Le temperature del luglio appena passato, quindi, hanno superato secondo le rilevazioni di Copernicus quelle del luglio 2016, i cui valori però erano stati condizionati da El Niño, l’insieme di fenomeni atmosferici che si verificano ciclicamente nell’oceano Pacifico con un picco nei mesi di dicembre e gennaio, in media ogni cinque anni, e che aveva contribuito ad alzare le temperature globali.

Quest’anno invece non c’è stato nessun El Niño. Ciononostante il giugno del 2019 è stato il giugno più caldo mai registrato, e luglio potrebbe aver battuto – e se non lo ha fatto ci è andato molto vicino – i record della storia moderna. Tutto questo mentre il 2018 è stato il quarto anno più caldo mai registrato, gli ultimi cinque anni sono stati i più caldi mai registrati nella storia, e 18 dei 19 più caldi si sono verificati a partire dal 2001. La climatologia suggerisce che, di per sé, da una sola stagione non si possono trarre conclusioni certe sul ruolo del riscaldamento globale per particolari fenomeni. Ma la comunità scientifica è concorde nel ritenere che i dati raccolti negli ultimi anni dicono inequivocabilmente che la Terra si sta scaldando, anche a causa dell’enorme quantità di anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera a causa delle attività umane.

Nell’ultimo mese ci sono state almeno due grosse notizie di fenomeni naturali anomali e che, con la cautela necessaria, sono con ogni probabilità collegati al riscaldamento globale. Da giugno in Siberia ci sono enormi incendi, molto più grandi del normale, e imputabili all’aumento delle temperature, che nella regione artica stanno aumentando più rapidamente che nel resto del mondo. Le alte temperature di luglio poi hanno interessato, oltre all’Europa continentale, anche la Groenlandia: mercoledì 31 luglio è stato il giorno in cui si è verificato il maggior scioglimento dei ghiacci della calotta groenlandese almeno dal 2012, e si stima che nel mese appena finito ci si sia avvicinati molto al record di ghiacci sciolti di quell’anno (250 miliardi di tonnellate di acqua).

Nel 2018, la temperatura media globale è stata di oltre un grado celsius superiore rispetto alla media registrata negli ultimi decenni dell’Ottocento, quando le attività umane iniziarono a comportare l’emissione di maggiori quantità di anidride carbonica nell’atmosfera. Come altri gas serra, l’anidride carbonica impedisce alla Terra di disperdere correttamente il calore accumulato dai raggi solari, portando a cambiamenti del clima e a eventi meteorologici – come uragani, tempeste e periodi di siccità – più estremi di un tempo.

Secondo i ricercatori, per evitare le peggiori conseguenze del riscaldamento globale, l’aumento della temperatura media globale non dovrà superare i due gradi celsius, rispetto ai livelli preindustriali. Un recente rapporto dell’ufficio delle Nazioni Unite che si occupa del riscaldamento globale ha fornito prospettive poco incoraggianti, specificando che il limite dei due gradi celsius potrebbe essere troppo ottimistico e che per evitare gravi conseguenze ci si dovrebbe mantenere sotto gli 1,5 °C. Oltre 190 paesi hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi sul clima nel 2015 con l’impegno di ridurre le loro emissioni di anidride carbonica, ma ci sono molti dubbi sul mantenimento delle promesse e sull’efficacia delle politiche annunciate per farlo.