Sul clima non c’è più tempo da perdere

Lo dice un nuovo rapporto del più importante organismo scientifico che si occupa del cambiamento climatico: i rischi sono diventati enormi

(SANJAY KANOJIA/AFP/Getty Images)
(SANJAY KANOJIA/AFP/Getty Images)

Contro il riscaldamento globale non c’è più tempo da perdere, se vogliamo evitare conseguenze catastrofiche per noi e per il pianeta: è il senso del nuovo rapporto speciale pubblicato oggi dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, IPCC), il più importante organismo scientifico dedicato alla ricerca su come sta cambiando il clima della Terra, soprattutto in seguito alle attività umane con la costante emissione nell’atmosfera di anidride carbonica (CO2), tra i principali gas responsabili dell’effetto serra. Il rapporto dice che agli attuali ritmi entro il 2030 l’aumento della temperatura media globale sarà superiore agli 1,5 °C ritenuti la soglia massima di sicurezza per avere effetti contenuti e gestibili, seppure con grandi spese di denaro e risorse.

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Le conclusioni dell’IPCC sono il frutto di anni di lavoro, basato sulle ricerche di migliaia di scienziati, e con il contributo di altre migliaia di esperti e autorità governative. Il testo finale è stato scritto e rivisto da 91 autori provenienti da 40 diversi paesi, su stimolo delle Nazioni Unite per verificare i prossimi passi da assumere dopo la storica sottoscrizione dell’Accordo di Parigi del 2015. Il rapporto è stato approvato a Incheon, in Corea del Sud, al termine di una lunga serie di riunioni e incontri, in vista della prossima Conferenza sul clima che sarà organizzata a dicembre in Polonia.

Benché l’IPCC non possa andare oltre l’analisi dell’esistente e la stima dei rischi, e lo debba fare con i mezzi della diplomazia internazionale, negli ultimi anni ha affrontato il tema del cambiamento climatico con toni molto più determinati. L’obiettivo non è fare allarmismo, ma dare il senso di emergenza e dei concreti rischi che stiamo correndo tutti, e che possono essere mitigati solo con iniziative coordinate a livello globale.

Secondo le ricerche citate nel rapporto, è essenziale che si resti al di sotto dell’aumento di 1,5 °C per quanto riguarda la temperatura media mondiale. I vantaggi e il contenimento dei danni sono infatti molto più significativi rispetto a un aumento di 2 °C, fino a qualche anno fa ritenuto ancora gestibile. Mantenersi sotto la soglia degli 1,5 °C non sarà comunque per niente facile e richiederà cambiamenti nel modo in cui produciamo energia elettrica, in cui gestiamo coltivazioni e allevamenti, senza contare le modifiche sostanziali ai sistemi dei trasporti per interrompere la dipendenza dai combustibili fossili.

Allo stato attuale e senza interventi incisivi, la soglia degli 1,5 °C potrebbe essere superata in tempi brevissimi: appena 12 anni. Per rimanere al di sotto di quella soglia servono quindi da subito enormi investimenti, con una spesa annua pari al 2,5 per cento dell’intero prodotto interno lordo mondiale per almeno 20 anni. Il rapporto spiega inoltre che avremo bisogno di nuovi sistemi per sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera, tecnologie sperimentate da anni, ma sulla cui efficacia ci sono ancora molti dubbi.

5 cose da fare
L’IPCC indica una sorta di percorso a tappe forzate per evitare il superamento degli 1,5 °C:
• ridurre le emissioni globali di CO2 in modo da arrivare nel 2030 a produrre il 45 per cento di quelle prodotte nel 2010;
• produrre l’85 per cento dell’energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2050;
• portare il consumo di carbone a zero il prima possibile;
• allocare almeno 7 milioni di chilometri quadrati (l’equivalente della superficie dell’Australia) alle coltivazioni per i biocarburanti;
• raggiungere l’equilibrio ed essere quindi a emissioni zero entro il 2050.

Raggiungere obiettivi simili in tempi così ristretti non solo richiederà cambiamenti radicali nelle politiche energetiche dei paesi più industrializzati, ma anche una spesa enorme. Il rapporto valuta che gli investimenti necessari per rimanere sotto gli 1,5 °C dovrebbero essere pari a circa 2mila miliardi di euro tra il 2016 e il 2035, solo per quanto riguarda i sistemi energetici. La cifra deve naturalmente essere valutata nel contesto dell’economia globale e può essere una grande opportunità di sviluppo, perché di fatto apre nuove possibilità nella produzione di centrali, stabilimenti, infrastrutture e molto altro con un approccio sostenibile dal punto di vista ambientale.

Sempre sul piano economico, l’IPCC ricorda che i benefici per l’economia mondiale sono molto più alti se si rimane sotto agli 1,5 °C rispetto ai 2 °C, dove ci sarebbe una spesa molto più alta per contrastare gli effetti del riscaldamento globale.

Non c’è più tempo
Il rapporto spiega che non c’è più tempo per rinviare le decisioni, soprattutto se i governi vogliono affrontare il problema con soluzioni sicure e praticabili. Ulteriori rinvii, infatti, renderebbero necessario il ricorso a sistemi ancora sperimentali e dai risultati incerti, che costerebbero molto più denaro e non offrirebbero certezze sulla riduzione dei rischi. Negli ultimi anni sono stati sperimentati sistemi per sottrarre l’anidride carbonica dall’atmosfera, per esempio per conservarla nel sottosuolo (per sempre), ma la loro affidabilità non è ancora provata e avrebbero comunque costi enormi di gestione.

Leggendo le raccomandazioni fornite ai governi dall’IPCC non sfugge la serietà del problema. Alla luce dei nuovi dati, lo stesso Accordo di Parigi è diventato in parte obsoleto: anche se i governi del mondo lo rispettassero alla lettera, non sarebbe comunque sufficiente per mantenersi sotto gli 1,5 °C. Per farlo sono necessari interventi molto più incisivi, che per ora non sembrano però essere nei piani della maggior parte dei governanti.

L’apocalisse che ci siamo creati da soli

Da anni i rapporti dell’IPCC insistono sulla necessità di fare di più e meglio contro il riscaldamento globale, prospettando effetti disastrosi per il pianeta in assenza di interventi concreti. Nonostante siano sostenuti da migliaia di ricerche scientifiche, e ci sia ormai il pieno consenso nella comunità scientifica sul riscaldamento globale, gli inviti dei ricercatori a occuparsi seriamente ed estesamente del problema non sono molto ascoltati. Seppure inesorabile, il cambiamento climatico segue ritmi lenti e che poco si adattano alle agende politiche, quasi sempre basate sul breve-medio periodo dei cicli elettorali. I media contribuiscono al circolo vizioso: si occupano di questi temi per qualche giorno, dopo la pubblicazione dei rapporti, poi riducono la copertura nonostante quella del riscaldamento globale sia la più grande crisi ambientale contemporanea.

Se non ce la facessimo?
L’eventualità che si superi la soglia di 1,5 °C porta a scenari piuttosto inquietanti, spiegano i ricercatori. Un aumento della temperatura media globale di 2 °C porterebbe alla scomparsa delle barriere coralline, e dei loro interi e articolati ecosistemi marini. Il livello dei mari si alzerebbe a livello globale di 10 centimetri, cambiando radicalmente la vita di milioni di persone che vivono lungo le coste. Gli oceani andrebbero incontro a processi ancora più intensi di acidificazione rispetto agli attuali, con conseguenze molto gravi per la flora e la fauna marina. Estati più torride ed eventi climatici estremi renderebbero più difficile e dispendiosa la coltivazione dei cereali, la prima fonte di nutrimento per miliardi di persone in buona parte del mondo.

Il rapporto dell’IPCC indica che solo attraverso un cambiamento significativo, e molto rapido, del modo in cui viviamo e delle nostre abitudini potremo evitare gravi conseguenze. Questo implica modificare il modo in cui produciamo energia elettrica, privilegiando le fonti rinnovabili sopra ogni altra cosa, il modo in cui funziona la catena produttiva, il sistema dei trasporti, delle coltivazioni e la stessa organizzazione delle nostre città. Più si aspetta, più diventerà difficile farlo in modo organizzato ed economicamente sostenibile, e sarà peggio per tutti.