Forse la BCE ci darà ancora una mano

Il rallentamento dell'economia europea potrebbe portare a un cambiamento delle politiche monetarie, ha detto Draghi: cosa significa e perché è una buona notizia per il governo Conte

(Arne Dedert/picture-alliance/dpa/AP Images)
(Arne Dedert/picture-alliance/dpa/AP Images)

Durante una conferenza stampa a Francoforte, venerdì il governatore della Banca Centrale Europea (BCE) Mario Draghi ha annunciato che i piani sul rialzo dei tassi di interesse nel corso del 2019 potrebbero essere cambiati se l’inflazione non raggiungerà i livelli attesi. Le sue dichiarazioni sono state molto discusse e commentate e, probabilmente, sono state accolte con sollievo dal governo italiano. Se la BCE continuerà a tenere gli interessi bassi, infatti, sarà una buona notizia soprattutto per chi ha parecchi debiti: e nessuno in Europa è indebitato come l’Italia e la Grecia.

Da tempo uno dei principali timori per la stabilità dei conti pubblici italiani è legato alle decisioni della Banca Centrale Europea (BCE) guidata da Mario Draghi. Nei prossimi mesi, infatti, la BCE metterà fine al suo gigantesco programma di acquisto di titoli di stato e privati, il famoso Quantitative Easing (QE), iniziato nel 2015. Uno dei paesi a beneficiare maggiormente degli acquisti di titoli è stata proprio l’Italia, di cui la BCE oggi possiede circa 350 miliardi di euro in titoli di stato (su un debito totale di 2.300 miliardi). Ancora oggi la BCE acquista circa 3 miliardi di euro di titoli italiani ogni mese, sui circa 30 miliardi che vengono emessi (qui avevamo spiegato chi è che compra gli altri).

– Leggi anche: Un po’ di chiarezza sui titoli di stato italiani e la BCE

Questo supporto fornito dalla BCE è ritenuto da molti osservatori un fattore fondamentale per tenere sotto controllo i tassi di interesse del debito italiano, soprattutto dopo l’insediamento dell’attuale governo che ha spinto molti grossi investitori internazionali a vendere i titoli di stato italiani nel loro portafoglio (da mesi la BCE è diventata infatti l’unico compratore netto di titoli di stato italiani, cioè l’unica entità che sta aumentando il totale dei titoli di stato nel suo portafoglio). In molti si domandano quindi cosa accadrà al tasso di interesse dei titoli di stato italiani quando alla fine di dicembre il programma di acquisto QE verrà terminato. Lo spread si alzerà quasi certamente, ma è difficile prevedere di quanto.

Nella conferenza stampa di venerdì Draghi ha confermato la sua intenzione di terminare il QE a dicembre, dopo quasi tre anni di attività che hanno portato all’acquisto di un totale di 2.600 miliardi di euro titoli pubblici e privati. Ha spiegato che a suo modo di vedere la situazione di emergenza iniziata con la crisi finanziaria è terminata, e che al momento non ci sono ragioni per ritenere che l’Europa smetterà di crescere nel prossimo futuro.

Draghi ha ammesso però che esiste una crescente “incertezza” sulla situazione economica e in particolare sul fatto che il tasso di inflazione possa raggiungere il livello-obiettivo del 2 per cento, l’inflazione ritenuta “sana” che la BCE cerca di raggiungere tramite le sue politiche monetarie. A proposito di questo timore di una “stagnazione” dell’inflazione, Draghi ha fatto la dichiarazione più importante di tutto il suo discorso: «Se le condizioni finanziarie o di liquidità dovessero peggiorare eccessivamente e se le prospettive di inflazione dovessero deteriorarsi, la nostra reazione è già definita», ha spiegato Draghi: «E questo a sua volta si rifletterà in un aggiustamento del percorso atteso dai futuri tassi di interesse».

Questa frase apparentemente oscura significa che la BCE è pronta a utilizzare l’altro principale strumento di politica monetaria a sua disposizione per assicurarsi che i suoi obiettivi vengano raggiunti. Accanto al QE, uno strumento straordinario e mai utilizzato prima del 2015, la BCE ha infatti a disposizione un’altra “arma”, il cui uso è considerato più ortodosso: l’aggiustamento dei tassi di interesse che la banca centrale paga alle altre banche che depositano denaro sui suoi conti.

Mantenendo alto questo tasso di interesse, la BCE incentiva le banche a depositare presso i suoi conti grosse somme di denaro che di fatto viene “rimosso” dalla circolazione per un certo periodo. In questo modo si determina una “contrazione” della liquidità in circolazione (una pratica che si adotta in un periodo di crescita per evitare che si creino bolle o che i prezzi salgano troppo). Al momento ci troviamo nella situazione opposta: i tassi della BCE sono negativi, significa che le banche pagano per tenere il denaro depositato presso la BCE. In questo modo sono incentivate a mantenere il denaro in circolazione, il che a sua volta produce (almeno nelle intenzioni dei banchieri centrali) un’espansione monetaria che a sua volta (sempre nelle intenzioni dei banchieri centrali) produce inflazione (per la legge della domanda e dell’offerta, più denaro è in circolazione e meno quel denaro vale).

La BCE non alza i suoi tassi da otto anni, una situazione senza precedenti nella storia europea e che preoccupa diversi banchieri centrali. I tedeschi, in particolare, ritengono che questa situazione anomala dovrebbe terminare rapidamente. Proprio venerdì il presidente della banca centrale tedesca Jens Weidmann ha detto che la BCE dovrebbe tornare a operare normalmente, così da avere nuovamente degli strumenti disponibili in caso si verificasse una nuova recessione (attualmente infatti la BCE non ha molti margini di manovra, visto che il tasso di interesse in pratica non può essere più basso di così).

Anche per queste ragioni il board della BCE aveva deciso di iniziare a alzare i tassi di interesse a partire dalla prossima estate. Ma l’inflazione sembra avere ancora difficoltà a rimanere al livello-obiettivo, mentre il rallentamento dell’economia europea negli ultimi mesi ha aumentato l’incertezza sulle prospettive di nuova crescita nel corso del 2019. Si spiega così il contorto accenno di Draghi alla possibilità di “aggiustare” il percorso atteso dai tassi di interesse nel prossimo anno: significa in sostanza che se l’inflazione rimarrà stagnante, il rialzo dei tassi sarà rimandato.

Se la fine del QE è un brutto segnale per le finanze pubbliche italiane, la possibilità che i tassi di interesse vengano mantenuti negativi è invece una buona notizia. I tassi praticati dalla BCE si riversano a cascata sul resto dell’economia e quindi contribuiscono anche a tenere bassi i tassi sui titoli di stato. Draghi però nel suo intervento ha ricordato che lo spread, e quindi i tassi di interesse sui titoli di stato, si alzano prima di tutto per quello che fanno e dicono i governanti dei singoli paesi, un accenno implicito alle politiche del governo italiano. Ma quel che conta davvero è la sua disponibilità a tenere bassi i tassi di interesse se ce ne sarà necessità. Poco dopo la fine della conferenza stampa, infatti, il ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini ha pubblicamente ringraziato Mario Draghi per il suo impegno a proteggere il paese e i risparmi degli italiani.