Dovremmo ripensare l’energia idroelettrica

Una nuova ricerca mette in dubbio gli effetti positivi di questa fonte di energia rinnovabile, con dati preoccupanti per i paesi in via di sviluppo

(Kees Streefkerk)
(Kees Streefkerk)

Una nuova ricerca, da poco pubblicata sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, mette in dubbio l’utilità delle grandi dighe per la produzione di energia idroelettrica, sostenendo che storicamente abbiano portato diversi danni a fronte di benefici contenuti. Lo studio è stato realizzato analizzando numerose esperienze negli Stati Uniti e in Europa, con una parte dedicata all’analisi del potenziale impatto ambientale dell’idroelettrico nei paesi in via di sviluppo e dove è in programma la costruzione di nuove dighe.

Emilio Moran, docente presso l’Università statale del Michigan (Stati Uniti), e i suoi colleghi scrivono di avere analizzato la storia di numerosi siti idroelettrici, arrivando alla conclusione che molti di questi abbiano avuto effetti disastrosi per l’ambiente, senza portare a benefici effettivi di tipo economico nel lungo periodo. Altre ricerche condotte in passato erano già arrivate a risultati simili, seppure con valutazioni meno categoriche, e si sta registrando una tendenza a dismettere molte dighe soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, con decine di impianti abbandonati ogni anno.

L’idroelettrico consente di produrre energia elettrica sfruttando il flusso dell’acqua. Per ottenere questo risultato si costruisce una diga lungo fiumi e torrenti, in modo da formare un lago artificiale nel quale l’acqua possa accumularsi. Questa viene poi convogliata in tubature (condotte forzate) a valle, fino a raggiungere una centrale idroelettrica dove mette in rotazione le turbine (un po’ come fa l’acqua quando aziona un mulino). Le turbine sono collegate a generatori, che producono l’energia che viene poi trasferita attraverso la rete elettrica.

Si stima che l’idroelettrico da solo produca il 71 per cento dell’energia rinnovabile al mondo, e che per parte del Novecento abbia dato un contributo fondamentale per lo sviluppo di intere aree geografiche in particolare in Occidente. Il picco nella costruzione di dighe e impianti per sfruttare la forza dell’acqua fu raggiunto negli anni Sessanta, in Europa e Stati Uniti, e da allora il numero di centrali idroelettriche attive è progressivamente diminuito. Negli Stati Uniti l’idroelettrico fornisce appena il 6 per cento dell’energia consumata ogni anno, mentre in Europa la percentuale è intorno al 14 per cento dell’energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Su scala globale, si stima che l’idroelettrico produca circa il 16 per cento di tutta l’energia elettrica.

La ricerca di Moran e colleghi rileva che l’idroelettrico continuerà a essere una risorsa importante nella produzione di energia, ma ricorda che i dati dimostrano un progressivo abbandono. Negli Stati Uniti e in Europa vengono avviati piani per dismettere e/o smantellare dighe al ritmo di un impianto a settimana. Molte di queste non vengono rimpiazzate perché i governi e le amministrazioni locali non credono più alle opportunità offerte da questa tecnologia, in termini non solo di produzione energetica ma anche di lavoro.

Diga di Hoover (Getty Images)

Oltre il 90 per cento delle dighe costruite a partire dagli anni Trenta del Novecento si sono rivelate più costose del previsto, sia per la loro realizzazione, sia per la loro manutenzione. In molti casi, i grandi invasi artificiali prodotti dalle dighe hanno danneggiato interi ecosistemi, costretto milioni di persone a trasferirsi e hanno anche contribuito a una maggiore emissione di gas serra, per esempio in seguito alla decomposizione dei materiali contenuti nelle aree allagate come valli e foreste.

Gli effetti del cambiamento climatico già in corso sono stati inoltre sottovalutati nella progettazione di alcuni nuovi bacini per l’idroelettrico. In Brasile, per esempio, sono state costruite due dighe lungo il fiume Madeira. Terminate meno di cinque anni fa, producono meno energia di quanto inizialmente programmato.

I piani per costruire nuove dighe comunque non mancano: ce ne sono almeno 3.700 per altrettanti invasi di piccole, medie e grandi dimensioni. La ricerca solleva molti dubbi specialmente per le dighe più grandi, che potrebbero causare nuovi danni all’ambiente e alle popolazioni, senza benefici rilevanti nella produzione di energia pulita. Uno dei progetti più ambiziosi riguarda la costruzione di una diga sul fiume Congo, che dovrebbe consentire di produrre più di un terzo di tutta l’energia elettrica prodotta in Africa. Il progetto ha un costo di 80 miliardi di dollari, ma ci sono dubbi circa gli effettivi benefici per la popolazione: buona parte dell’energia sarà destinata all’alimentazione di alcune grandi miniere, il cui sfruttamento produce consistenti danni ambientali.

La necessità di attuare politiche incisive per contrastare il riscaldamento globale spinge molti governi a seguire strade già percorse, facendo ricorso all’idroelettrico, che offre buone opportunità di sviluppo economico nelle aree dove vengono allestiti i cantieri per le dighe e per gli impianti. Nelle conclusioni del loro studio, i ricercatori spiegano che i governi dei paesi in via di sviluppo dovrebbero essere incentivati a prendere in considerazione un “mix energetico” più ricco di fonti rinnovabili, a partire dal solare e dallo sfruttamento delle biomasse. L’idroelettrico come fonte principale di energia rinnovabile rischia di non essere economicamente sostenibile nel medio-lungo periodo, con effetti che potrebbero condizionare in futuro la stessa capacità dei paesi di produrre energia riducendo le emissioni nocive per l’ambiente.