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  • Lunedì 5 novembre 2018

Che si dice di Macron in Francia?

Che la sua presidenza sia diventata più classica, rispetto ai primi tempi: e per motivi ben precisi, evidenti dopo l'ultimo rimpasto di governo

Emmanuel Macron, Parigi, 9 ottobre 2018 (Thibault Camus)
Emmanuel Macron, Parigi, 9 ottobre 2018 (Thibault Camus)

Qualche tempo fa uno dei più importanti quotidiani francesi, Le Monde, ha pubblicato un editoriale sul presidente della Repubblica Emmanuel Macron. L’articolo è uscito nel giorno successivo all’annuncio di un atteso rimpasto di governo, arrivato dopo settimane di rinvii e reso necessario dalle dimissioni del ministro dell’Interno Gérard Collomb – che all’inizio di ottobre aveva detto di volersi candidare a sindaco di Lione, la sua città – e da quelle, lo scorso agosto, del ministro della Transizione ecologica e solidale, Nicolas Hulot. Il rimpasto, scriveva Le Monde, è un segno di come sta andando e di come è cambiata la presidenza di Macron: «iconoclasta e dirompente all’indomani della sua elezione», più sobria e solenne ora. E si chiede, in conclusione, Le Monde: questo cambiamento sarà sufficiente per uscire dall’attuale stallo in cui si trova la presidenza e placare l’«impazienza» dei francesi?

Le Monde inizia col dire che, da «grande amante del calcio, il presidente della Repubblica ha deciso di seguire l’esempio di Didier Deschamps», l’allenatore della nazionale di calcio francese campione del mondo. «Per comporre la nuova squadra di governo ha applicato le sue ricette». Macron avrebbe lasciato da parte «le star capricciose» e le persone con i caratteri più turbolenti, decidendo di piazzare dei «giocatori» più attenti al bene collettivo, alla squadra, «optando dunque per un gioco più solido che esuberante», contrariamente a quanto ci si poteva aspettare dalla sua presidenza all’inizio.

La prima cosa da dire sul rimpasto è che non è stato facile: era atteso da tempo, ma era stato annunciato più volte e poi rinviato e questo aveva fatto pensare a una difficoltà nel trovare persone disposte a entrare nel governo Macron. Qualcuno, hanno scritto alcuni analisti, potrebbe aver preferito stare da parte in vista delle elezioni europee del 2019, delle comunali del 2020 o delle regionali del 2021.

Molto probabilmente, però, nelle complicate trattative ha contato anche la direzione del cosiddetto “macronismo”: lo slogan iniziale «Ni de droite ni de gauche», né di destra né di sinistra, forse non è più sufficiente e la politica di Macron è sembrata sbilanciata più verso destra che verso sinistra. Una contestata riforma sul lavoro ha indebolito il potere contrattuale dei sindacati e ha reso più flessibile il mercato del lavoro in generale, permettendo così alle imprese di licenziare con maggiore facilità; c’è stata un’altrettanto contestata riforma del settore ferroviario; altri, naturalmente, sostengono invece che Macron abbia cercato di smontare equilibri consolidati, obsoleti e corporativi, e che così facendo abbia reso il paese più libero e competitivo.

Sui giornali francesi si trovano diversi articoli su cosa sia diventato o cosa sia il “macronismo”, e a più di un anno e mezzo dall’elezione del nuovo presidente, non se lo chiedono solamente gli altri: lo stesso partito di Macron, con l’aiuto di due fondazioni e alcuni politologi, ha organizzato lo scorso 20 ottobre un incontro il cui obiettivo era appunto «costruire la nostra dottrina politica», come ha spiegato una deputata del partito, che si chiama La République en marche (LRM). «Per durare, La République en marche deve consolidare il proprio corpo ideologico», «Ci mancano le radici storiche e ideologiche. Dobbiamo farle emergere, perché altrimenti rischiamo di andare via tanto velocemente quanto siamo arrivati», hanno detto altri. Sono stati programmati altri incontri, per continuare a lavorarci su, ma il partito sembra aver più o meno deciso: la parola d’ordine del “macronismo” sarà “progressismo”.

Questa esigenza nasce innanzitutto per rispondere ad altre: dopo una campagna elettorale condotta nel 2017 contro i due blocchi principali della politica francese, fuori e al di sopra dei partiti tradizionali e su definizioni date soprattutto per opposizione (né di destra né di sinistra, né nazionalista né populista: «è sempre stato più facile parlare di quello che Macron non è che di ciò che è», aveva scritto Bloomberg nel 2016), ora per Macron è il momento di cominciare a parlare in positivo: per affrontare la seconda parte del mandato presidenziale e sperare in un possibile nuovo mandato. C’è anche la necessità di sganciarsi da una linea politica che sia emanazione di un singolo individuo e di rispondere alle critiche sulla mancanza di democrazia interna al partito, che è stato costruito sulle adesioni volontarie e sulla formazione di migliaia di comitati territoriali.

Più in generale, sembra che le aspettative dei francesi nei confronti di Macron non siano state finora soddisfatte. I sondaggi sulla sua popolarità e sul suo gradimento sono in costante calo (meno 26 punti percentuali dalla sua nomina ad oggi, meno 17 punti dall’inizio dell’anno): molte riforme sono state avviate, ma la disoccupazione – tema su cui Macron aveva insistito molto durante la campagna elettorale – non è sostanzialmente diminuita. Non è stato ancora approvato il piano per combattere la povertà né una riforma della sanità e i francesi, dicono i sondaggi, rimangono preoccupati sia sul piano sociale che per la loro sicurezza.

Questa mancanza di risultati, scrivono alcuni osservatori, è accompagnata da una grande incertezza internazionale segnata dall’ascesa nell’Europa centrale, ma anche in Italia e in Germania, del populismo e dell’estrema destra: «Sulla scena europea come su quella francese, il presidente della Repubblica appare isolato, dunque vulnerabile. Ciò significa che il rimpasto, anche se può colmare alcune lacune, non esonererà Macron dal dover dare una spiegazione ai francesi, in mancanza della quale le elezioni europee di maggio si annunciano per lui ad alto rischio».

Ad aver peggiorato la situazione di Macron c’è poi stato lo scorso luglio il caso che ha coinvolto Alexandre Benalla, la persona che all’Eliseo si occupava della sicurezza del presidente della Repubblica e che è stato definito un suo “collaboratore”: lo scorso primo maggio Benalla – che non faceva parte delle forze dell’ordine – era stato filmato a Parigi con un elmetto della polizia mentre trascinava per la strada e colpiva in modo violento due manifestanti durante un corteo. Della storia non si era saputo niente per mesi, ma si era saputo invece che l’Eliseo – informato subito dei fatti – aveva sospeso solo temporaneamente Benalla dai suoi incarichi di funzionario, e che era poi rimasto comunque come dipendente dell’Eliseo. Il presidente era stato accusato di aver gestito la questione in modo troppo morbido e poco trasparente. Macron non aveva parlato per giorni del caso, prendendosi alla fine tutta la responsabilità di quanto accaduto.

Lo scorso settembre (dopo cinque mesi in cui non aveva dato più alcuna intervista televisiva) il presidente aveva fatto una cosa piuttosto originale, secondo i giornali francesi, o comunque inaspettata, visto anche lo stile distaccato e marziale di Macron: in visita alle Antille francesi, Macron aveva chiesto aiuto: «Aiutatemi! Ho bisogno di voi, giornalisti, cittadini, eletti», per spiegare le azioni dell’esecutivo. Aveva detto di «percepire nello stomaco l’impazienza di 66 milioni di francesi», ma che le conseguenze concrete delle sue decisioni avrebbero avuto bisogno di tempo per diventare evidenti: «Le cose non possono migliorare da un giorno all’altro». Macron era apparso sulla difensiva, e intenzionato a provare qualcosa di nuovo.

Attraverso il rimpasto, molti giornali hanno individuato e messo in fila altri punti deboli o critici emersi fin qui nel governo di Macron. Il nuovo ministro dell’Interno, Christophe Castaner, è uno dei più fedeli uomini di Macron e sarà affiancato da Laurent Nuñez, finora a capo della Direzione generale della sicurezza interna (DGSI): avrà la responsabilità di coordinare polizia, gendarmeria e intelligence. La sua nomina mostra il ruolo che il governo vuole dare all’intelligence nella lotta contro il terrorismo: una risposta all’opposizione di destra che attacca costantemente il governo sul tema della sicurezza.

La nomina della centrista Jacqueline Gourault a ministra della Coesione territoriale ha invece un’altra finalità: spetterà a lei – ex sindaca, parlamentare, ex vicepresidente del Senato e dell’associazione dei sindaci francesi – colmare il crescente divario tra i “territori” con i loro eletti e il governo di Parigi. Si è infatti diffusa l’immagine di un presidente arrogante e lontano dalle realtà locali, i cui rappresentanti lo hanno di recente contestato. «Le autorità locali», scrive Le Monde, «hanno l’impressione che il capo dello stato non conosca bene le loro preoccupazioni». L’ultimo esempio in ordine di tempo ha a che fare con una controversia che riguarda l’imposta sulla casa contenuta nella finanziaria del 2018, che è un’imposta comunale e che va dunque ad aumentare le entrate delle amministrazioni locali e non di quelle governative. Il governo ha deciso di abolirla entro la fine del quinquennio, ma nel frattempo i sindaci, lamentando la riduzione delle loro entrate, hanno cominciato ad aumentare altre tasse. Il risultato è che i e le contribuenti non avranno benefici reali sostanziali, e che non hanno ben compreso la finalità della riforma.

Nel nuovo governo, Macron ha poi cercato di recuperare gli alleati centristi del MoDem di François Bayrou, che stavano iniziando «a perdersi» all’interno della maggioranza. Con la nomina di Marc Fesneau, presidente del loro gruppo all’Assemblea nazionale e ora responsabile dei rapporti con il Parlamento, i MoDem saranno più riconosciuti e rassicurati, per rinsaldare l’alleanza. Non solo: attraverso la nomina di un centrista che dovrà gestire i rapporti parlamentari – non tanto con l’Assemblea intera, ma con il gruppo di maggioranza – Macron spera di attirare il consenso dell’ala più moderata de Les Républicains, il partito di centrodestra che sta diventando sempre più “nazionalista” e in cui potrebbero emergere grandi contraddizioni in vista delle europee del 2019. Non a caso, scrivono alcuni osservatori, nel suo discorso post-rimpasto Macron ha citato l’Europa più volte, volendo dimostrare che c’era una continuità naturale tra la sua politica interna e il futuro dell’Unione Europea in cui spera.

Di recente, infatti, una parte del centrodestra francese ha minacciato di presentarsi da solo alle elezioni europee del 2019. Uno dei leader di questa parte, Franck Riester, ex Repubblicano e fondatore del movimento Agir, ora è entrato nel governo di Macron come ministro della Cultura. Agir è formato da ex Repubblicani che non si riconoscono più nella politica sempre più di destra del partito, e ha il consenso di personalità molto influenti della politica francese come l’ex primo ministro Alain Juppé. Per Macron è fondamentale che questa parte di centrodestra non si presenti da sola alle europee ma all’interno di un largo fronte progressista (e macronista) che metta in crisi il centrodestra e la destra estrema, e che non comprometta il progetto dello stesso Macron.