Chi è Emmanuel Macron, di cui sentiremo parlare
Qualche anno fa era un giovane consigliere di Hollande in Francia, poi è diventato ministro dell'Economia, ora si è dimesso e ha altre ambizioni
di Therese Raphael – Bloomberg
Due anni fa il presidente francese François Hollande scelse un giovane consigliere sconosciuto e lo fece diventare ministro dell’Economia. Di Emmanuel Macron – che da quell’incarico si è dimesso martedì 30 agosto – oggi si parla come di un possibile candidato alla presidenza della Francia. Nonostante le possibilità che diventi presidente in breve tempo sono scarse, se non inesistenti, Macron è diventato una figura affascinante per delle buone ragioni: la Francia è un paese che divora chi cerca di cambiarne la politica. Ma, come a Macron piace sottolineare, è anche un paese maturo per il cambiamento.
Con un omaggio a Giovanna d’Arco e dei discorsi pieni di riferimenti a filosofi, Macron sta sfidando gli elettori francesi a essere diversi. Giovane, carismatico, pianista e oratore di talento, è stato definito il “Mozart dell’Eliseo” e ha ispirato paragoni con John F. Kennedy, anche se il “Tony Blair della Francia” sarebbe un parallelo più calzante. Come Blair, anche Macron – che ha 38 anni – mescola apprezzamenti alle riforme di mercato con appelli all’unità sociale. Ma l’analogia non è del tutto azzeccata: Blair era membro a pieno titolo del Labour Party che avrebbe poi guidato, mentre Macron non è un uomo di partito.
È sempre stato più facile parlare di quello che Macron non è che di ciò che è. Non fa parte del Partito Socialista, non è un politico di sinistra tradizionale e, al momento, non è nemmeno candidato alle elezioni presidenziali del 2017. In un paese in cui i politici presi sul serio vengono da destra o da sinistra, Macron rifiuta entrambe le etichette. In un paese in cui i politici devono guadagnarsi il rispetto sul campo, non ha mai avuto una carica elettiva e il suo periodo come funzionario pubblico è stato breve. In quanto ex banchiere (per la banca d’investimento Rothschild), è visto con diffidenza da molti membri del governo socialista in cui ha prestato servizio. Ma da quando ad aprile ha presentato il suo movimento, En Marche (In marcia), si dice che presto annuncerà la sua candidatura alla presidenza. Macron non fa niente per scoraggiare queste voci, ma anzi le ha alimentate, come quando quest’anno ha promesso in una sala piena di sostenitori di «portarli alla vittoria nel 2017». Dimettendosi da ministro dell’Economia, Macron ha detto di voler lavorare a proposte per «trasformare la Francia». Di sicuro, l’ambizione non gli manca.
Se il suo obiettivo è la presidenza – come sostengono in molti – la popolarità da sola non gli basterà. Si stima che En Marche abbia circa 60mila sostenitori, molti meno dell’esercito di oltre 200mila su cui possono contare i Repubblicani – il principale partito di destra in Francia – per ottenere voti. Nonostante si dica abbia dei risparmi nel Regno Unito – dove vivono molti francesi benestanti – è improbabile che Macron abbia i fondi che gli permetterebbero di spendere fino ai 22 milioni di euro consentiti per una campagna elettorale presidenziale in Francia. Anche se riuscisse a mettere insieme i volontari e i soldi necessari, non è chiaro quale spazio politico occuperebbe Macron. L’ex presidente e candidato alle elezioni del 2017 Nicolas Sarkozy si è spostato sempre di più verso la “destra anti-burkini”, nella speranza di rubare voti alla candidata di estrema destra Marine Le Pen, il cui partito, il Front National, ha ottenuto il 28 per cento dei voti al primo turno delle elezioni amministrative dello scorso anno, il risultato migliore di sempre per il partito. Secondo i sondaggi, Le Pen riuscirà ad arrivare al secondo turno alle elezioni del 2017.
Anche la sinistra sta tornando in un campo a lei più familiare. Con il presidente Hollande che fatica a mostrare segni di vita nei sondaggi, i politici della sinistra francese, come l’ex ministro dell’Industria Arnaud Montebourg, si stanno affannando per riprendere il controllo del socialismo francese da quello che considerano la versione annacquata di Hollande. Macron ha detto di non essere un socialista, ma non ha detto cosa si considera. Per i suoi detrattori, è un camaleonte politico. Ha incoraggiato Hollande ad accantonare la super-tassa del 75 per cento sui ricchi (Macron disse che avrebbe trasformato la Francia in una «Cuba senza il sole»), ma la sua storia di sostenitore delle riforme di mercato è discontinua. Il suo nome è legato alla legge che avrebbe dovuto mettere fine alla settimana lavorativa di 35 ore in Francia, che però poi è stata ammorbidita a tal punto da far scrivere allo storico François Huguenin su Le Figaro che «la sua timidezza ha tradito ogni pretesa di riforma».
Considerando i poteri limitati a sua disposizione e l’ostinazione dello stato francese, credo che la visione secondo cui Macron sarebbe un opportunista sia troppo severa. Spesso Macron ha parlato in favore degli imprenditori (una volta si è anche cimentato in una start-up tecnologica), che secondo lui lavorano più duramente della maggior parte dei dipendenti stipendiati. Se gli fosse dato un potere reale, avrebbe più possibilità rispetto a qualsiasi alternativa di sfidare lo status quo. C’è da dire che in passato i tentativi in questa direzione in Francia non sono andati a finire bene. Negli anni Novanta gli ex politici socialisti Michel Rocard e Dominque Strauss-Kahn furono messi alla gogna per aver provato a introdurre delle timide riforme di mercato. Con il suo stile fuori dagli schemi, Macron mi ricorda più un altro riformatore mancato, Alain Madelin, che negli anni Ottanta e Novanta fu un ministro molto schietto in diversi governi consecutivi di destra. I suoi continui appelli a un minore intervento dello stato in economia furono presi molto in giro, e quando nel 2002 Madelin si candidò alle presidenziali, aveva ormai perso praticamente tutto il suo seguito. Prese meno del 4 per cento dei voti.
Se negli anni Novanta la Francia non era ancora pronta per le riforme, forse oggi potrebbe essere più aperta. La disoccupazione è sopra il 9 per cento da 7 anni e la crescita è fiacca. Ma se da una parte il messaggio di Macron a favore delle riforme economiche può avere risonanza, questo è anche un momento difficile in cui essere una voce della ragione. Gli elettori francesi dicono che saranno il terrorismo, l’immigrazione, le leggi del lavoro e la stabilità sociale le questioni che influenzeranno maggiormente la loro scelta. Ad andare bene potrebbero essere i candidati che strizzano l’occhio alle paure o promettono di tutelare i vantaggi acquisiti.
Di sicuro l’ascesa di Macron dice molto del suo talento politico, ma anche del livello di insoddisfazione pubblica nei confronti dello status quo e del bisogno di voci nuove della Francia. È difficile dire a cosa porterà questo malcontento da qui a nove mesi. Arrivare alla presidenza sembra essere un’impresa titanica per Macron, almeno per il 2017. In Francia di solito conviene scommettere contro il cambiamento. Se non fosse che, una volta ogni tanto, succede l’inaspettato.
© 2016 – Bloomberg