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  • Domenica 14 ottobre 2018

C’è sempre più Cina in Europa

I grossi investimenti degli ultimi anni stanno diventando anche capacità di influenzare le politiche europee, e secondo qualcuno è una cosa preoccupante

Cina, Unione Europea
Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, con Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, a Bruxelles. (Wiktor Dabkowski/picture-alliance/dpa/AP Images)

La scorsa settimana l’Economist ha dedicato la sua storia di copertina ai progetti della Cina in Europa e agli investimenti diretti esteri (i cosiddetti IDE) che negli ultimi anni aziende legate al governo di Pechino stanno facendo in tutto il continente europeo. Secondo i dati riportati dall’Economist, nel 2016 gli investimenti cinesi in Europa sono stati pari a 36 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Nel 2017 gli IDE cinesi in tutto il mondo sono leggermente diminuiti, ma la quota europea è salita da un quinto a un quarto del totale. Per la maggior parte, si tratta di investimenti di privati in diversi settori – come gli aeroporti, le industrie automobilistiche, ma anche le squadre di calcio –, ma ora alcuni leader europei sono preoccupati per la crescente influenza della Cina nei paesi più piccoli e vulnerabili dell’Unione (dove il peso degli investimenti stranieri è più grande in relazione al resto dell’economia) e per il modo in cui questa influenza potrebbe essere usata per fare pressione sull’Unione Europea e evitare che questa legiferi contro i suoi interessi.

Lo shopping cinese in Europa

Nell’Est Europa gli investimenti cinesi si sono concentrati soprattutto sulle infrastrutture e i servizi, nell’ambito dello sviluppo della cosiddetta “Nuova Via della Seta”, una sistema di trasporti e servizi, terrestri e marittimi, fatto di una miriade di progetti infrastrutturali e sociali che attraversa Pakistan, Kazakistan, India e Russia e collega la Cina con l’Europa.

Tra questi progetti rientrano, per esempio, una linea ferroviaria tra Budapest e Belgrado e un’autostrada in Polonia, anche se nessuno dei due è stato per ora completato. In Repubblica Ceca, CEFC China Energy, un colosso cinese dell’energia e dei servizi finanziari, nel 2015 ha investito in un grosso gruppo finanziario, nella più grande compagnia aerea del paese e in un conglomerato mediatico, nonché nello Slavia Praga, la seconda squadra di calcio della capitale. Attualmente CEFC sta affrontando una serie di scandali finanziari in Cina e il suo presidente Ye Jianming è stato arrestato in circostanze poco chiare, ma prima degli scandali – a pochi mesi dall’arrivo della società nel paese – il presidente della Repubblica Ceca Milos Zeman aveva scelto Ye come suo consigliere.
Nei paesi del Sud dell’Europa i compratori cinesi si sono fatti avanti in seguito alla crisi dell’eurozona che ha portato alla privatizzazione di molte aziende pubbliche: è successo in Portogallo con la società che gestisce le reti elettriche del paese, la Energias de Portugal, mentre in Grecia la Cina ha comprato il Pireo, il porto di Atene e il più grosso del paese.

Erick Thohir, Presidente dell’Inter, e Zhang Jindong, Presidente del gruppo Suning Holdings, durante la conferenza per l’acquisizione dell’Inter a Nanchino, nel 2016. (STR/AFP/Getty Images)

In Italia, la China National Chemical Corporation ha comprato Pirelli, la società di pneumatici, e grandi gruppi cinesi possiedono le quote di maggioranza dell’Inter e del Parma, due squadre di Serie A. La Dongfeng Motor Corporation, società controllata dal governo cinese, ha investito nel gruppo francese Psa, che controlla i marchi Peugeot, Citroën e Opel, e hanno ricevuto grossi investimenti dalla Cina anche Sygenta, un grosso produttore di pesticidi svizzero e alcuni dei principali aeroporti europei, tra cui Heathrow a Londra, l’aeroporto di Francoforte in Germania e quello di Tolosa, in Francia.
Anche in Germania, il paese che fino ad ora ha più resistito agli investimenti cinesi, quote azionarie delle principali industrie automobilistiche sono finite sotto il controllo di gruppi cinesi: lo scorso febbraio, Li Shufu, l’industriale cinese che possiede il gruppo automobilistico Geely, già padrone di Volvo, ha comprato il 10% di Daimler, che controlla Mercedes-Benz. Ora la Germania teme che gli investimenti dalla Cina mirino alle Mittelstand, le piccole e medie imprese tedesche iperspecializzate che hanno contribuito notevolmente al successo industriale del paese.

L’obiettivo della Cina

A differenza della Russia, scrive l’Economist, la Cina non ha alcun interesse a frammentare politicamente l’Unione Europea, né a sostenere i partiti xenofobi e populisti in ascesa in tutto il continente. L’interesse cinese in Europa è strettamente commerciale: l’Unione Europea oggi è uno dei mercati più grandi del mondo e la Cina, come gli altri investitori stranieri, ha interesse che rimanga stabile e aperta agli investimenti esteri. La Cina, inoltre, intende sfruttare la tecnologia e la conoscenza europee per diventare una superpotenza tecnologicamente all’avanguardia.

Secondo l’Economist, però, l’obiettivo di lungo periodo della Cina è quello di fare dell’Europa uno dei suoi alleati principali. Anche se è improbabile che l’Europa abbandoni gli Stati Uniti, che nonostante le frizioni con l’attuale amministrazione Trump resta il suo alleato principale, sembra che la Cina stia puntando ad influenzarne la politica.

La politica commerciale estera della Cina si basa su accordi, memorandum e negoziati bilaterali, a tu per tu con i vari partner che tratta con grande riguardo a prescindere dalle dimensioni (l’Islanda, per esempio, è stato il primo paese europeo a firmare un accordo di libero scambio con la Cina). Sempre secondo l’Economist, in questo modo la Cina si sta comprando il favore di alcuni governi europei, in particolare del Sud e dell’Est Europa, che negli ultimi anni hanno iniziato ad assumere posizioni favorevoli agli interessi cinesi – o almeno si sono impegnate a non scontentarla – anche nelle istituzioni europee. È il caso di Grecia e Ungheria che nel 2016 hanno impedito all’Unione Europea di appoggiare la decisione del tribunale dell’Aia contro l’espansione territoriale della Cina nel Mar cinese meridionale e di fare dichiarazioni sulle violazioni dei diritti umani nella Repubblica popolare cinese durante un forum delle Nazioni Unite.

Degli attivisti a favore della liberazione del Tibet durante la visita di Xi Jinping a Praga in Repubblica Ceca nel 2016. (MICHAL CIZEK/AFP/Getty Images)

Anche paesi che storicamente sono stati promotori dei diritti umani, come la Repubblica Ceca – il cui impegno in materia risale alla presidenza di Vaclav Havel negli anni Novanta, se non alla rivolta del 1968 contro i sovietici – hanno iniziato ad assecondare i cinesi e a sostenere le sue rivendicazioni di una Cina unica (è la stessa politica con cui i cinesi giustificano le rivendicazioni su Taiwan e l’occupazione del Tibet). II presidente ceco Milos Zeman è considerato un ammiratore del presidente cinese e quando nel 2016 Xi Jinping ha visitato Praga per ufficializzare l’amicizia reciproca tra i due paesi, una protesta a favore della liberazione del Tibet è stata fermata dalla polizia. Anche il Dalai Lama, da allora, non è più il benvenuto nel paese.

Cosa può fare l’Europa?

Il problema più grande per l’Unione Europea sarebbe se la Cina iniziasse a usare l’influenza che ha su questi paesi più piccoli e vulnerabili per imporre le sue regole e vietare provvedimenti in sede europea che la danneggerebbero. A settembre durante il discorso sullo Stato dell’Unione, Jean-Claude Juncker, presidente uscente della Commissione Europea, ha detto che una soluzione potrebbe essere quella di passare dal voto unanime richiesto per decidere su determinate materie a un voto a maggioranza qualificata: in tal modo si toglierebbe agli Stati europei vicini alla Cina il potere di veto su questioni come i diritti umani come l’aumento dei controlli per gli investimenti esteri (compresi quelli cinesi).