Cosa è successo agli investimenti cinesi nel calcio europeo

Dopo essere stati tanti e rilevanti tra il 2014 e il 2017 sono diminuiti molto, dopo che il governo cinese li ha definiti "irrazionali"

(GERARD JULIEN/AFP/Getty Images)
(GERARD JULIEN/AFP/Getty Images)

Tra il 2014 e il 2017 fondi e imprenditori cinesi hanno investito più di 2 miliardi e mezzo di euro in squadre di calcio europee, tra le quali i due club di Milano, il Milan e l’Inter. Dal 2017 gli investimenti cinesi nel calcio europeo sono invece diminuiti e, soprattutto, molti fondi e imprenditori hanno venduto le quote che avevano acquisito. È successo perché il governo cinese, che aveva incentivato investimenti di questo tipo, ha cambiato idea: da un paio d’anni è molto più difficile, per una società cinese, ottenere i permessi necessari per investire soldi nei club europei.

Come ha spiegato Bloomberg, le cose sono diventate complicate dopo che il Consiglio di Stato, che rappresenta di fatto il governo della Cina, definì “irrazionali” gli investimenti nel calcio straniero. Recentemente il Financial Times ha scritto che «i turbolenti – e costosi – flirt delle società cinesi con le squadre europee mostrano come le scelte di investimento nella seconda economia mondiale siano spesso guidati da una combinazione di opache politiche delle élite, di avventurismo societario e di una genuina ricerca di opportunità di guadagno».

Secondo molti esperti, l’interesse della Cina verso il calcio cominciò il 15 giugno 2013, quando la nazionale di calcio cinese perse 5-1 contro la Thailandia, in una gara amichevole. Si dice che anche a causa di quella sconfitta il presidente cinese Xi Jinping – che è molto appassionato di calcio e quel giorno compiva 60 anni – decise di investire nel calcio cinese. Fu quindi preparato e presentato un piano per il miglioramento del calcio cinese, simile al “Progetto 119” messo in piedi dalla Cina per sviluppare lo sport prima delle Olimpiadi del 2008, e poi rivelatosi estramamente efficace. Il piano, approvato nel 2015 e poi ampliato, prevedeva la costruzione di scuole calcio e l’insegnamento nelle scuole. Si crede che nei piani di Xi Jinping ci fosse anche l’intenzione di ospitare un Mondiale entro il 2030 e di vincerlo, il Mondiale, entro il 2050.

Tutto questo con una nazionale che ha disputato una sola fase finale di un Mondiale (nel 2002, peraltro senza segnare nemmeno un gol) e in un paese in cui il basket è molto più seguito. Come ha scritto la sinologa Mary Gallagher su The Conversation, in Cina ci sono «sette campi da calcio ogni 10.000 persone, mentre in Giappone ce ne sono 200 ogni 10.000 abitanti». I dati più recenti, pubblicati nel 2006, dicono che in Cina gioca a calcio il 2 per cento della popolazione; nella maggior parte dei paesi europei e sudamericani la percentuale in quell’anno era intorno al 7 per cento.

Oltre a investire nelle infrastrutture e nell’insegnamento si decise di favorire la crescita della Chinese Super League, la Serie A cinese, e gli investimenti nel calcio estero. Gli investimenti all’estero erano visti come un modo per permettere a fondi e imprenditori di capire il funzionamento del mondo del calcio, per acquisire competenze poi utili anche in Cina. Ma, più semplicemente, anche per far appassionare di più i cinesi al calcio, magari anche grazie all’arrivo in Europa di qualche calciatore cinese.

Negli anni, i capitali cinesi sono arrivati, oltre che al Milan (da dove già se ne sono andati) e all’Inter, anche all’Aston Villa, all’Atletico Madrid, allo Slavia Praga, al Southampton, al Manchester City, al Lione, al Parma e all’Espanyol. In certi casi si è trattato di acquisizioni di quote minoritarie; in altri di veri e propri cambi di proprietà. È anche stato scritto che il motivo per cui non arrivarono investimenti in alcune squadre fortissime (Barcellona, Real Madrid o Manchester United) fu che non ci fu la disponibilità a venderne quote, nonostante l’interessamento di alcuni investitori cinesi.

Lo scorso agosto, però, il governo cinese ha deciso di inserire gli investimenti nei club calcistici europei, insieme a quelli nel cinema e nel settore immobiliare, in una lista di settori ad accesso limitato. È ancora possibile ottenere i permessi per muovere all’estero capitali per investimenti in questi settori, ma è molto più difficile e scoraggiato dalle autorità.

Non c’è un unico motivo per cui il governo cinese abbia cambiato idea sugli “irrazionali” investimenti nel calcio estero. La spiegazione più semplice è che il governo si sia accorto che non avrebbero portato vantaggi al calcio cinese e che abbia preferito incentivare la crescita del suo campionato nazionale. Mark Dreyer, che gestisce il sito China Sports Insider, ha detto al Financial Times che «alcuni investitori cinesi si sono avvantaggiati grazie al via libera, senza che il governo ne beneficiasse». In più, gli investitori si sarebbero accorti che, con le regole sul fair play finanziario, era difficile far crescere in poco tempo le loro società. Un altro problema che probabilmente venne scoperto soltanto in seguito è che non è facile fare soldi controllando una società di calcio.

Trevor Watkins, avvocato specializzato in calcio che lavora per Pinsent Masons, ha detto al Financial Times che oltre a concentrarsi sul calcio cinese le società potrebbero ora scegliere di investire in altri modi sempre legati al calcio: per esempio nelle infrastrutture, negli e-sport o nelle sponsorizzazioni. La società cinese Dalian Wanda è tra l’altro già proprietaria di Infront Sports, la società svizzera di consulenza che gestisce la vendita dei diritti televisivi delle più importanti partite di calcio giocate in tutto il mondo, tra cui la Serie A.