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  • Lunedì 25 giugno 2018

La nuova proposta del governo italiano sui migranti non ha niente di nuovo

Dentro ci sono cose già discusse o sperimentate da mesi ma nessun «nuovo paradigma di risoluzione dei problemi», come aveva anticipato Conte

(AP Photo/Virginia Mayo)
(AP Photo/Virginia Mayo)

Al mini-summit europeo sull’immigrazione che si è tenuto ieri a Bruxelles, il governo italiano guidato da Giuseppe Conte ha portato una proposta in dieci punti chiamata European Multilevel Strategy for Migration (si può leggere qui, è lunga poco più di una pagina). Conte l’ha presentata come una proposta «completamente nuova», «basata su un nuovo paradigma di risoluzione dei problemi della migrazione». In realtà il piano – che secondo fonti di Politico è stato «ben accolto, ma andrà studiato meglio» – contiene molte proposte già circolate, e in certi casi attuate, dalle autorità europee e dai governi italiani di centrosinistra.

In estrema sintesi, il nuovo governo chiede una maggiore condivisione degli oneri della gestione e accoglienza dei migranti che arrivano dalla Libia, come già avevano fatto i suoi predecessori, offrendo qualche soluzione tutta da dimostrare.

Il primo punto del documento, «intensificare accordi e rapporti tra Unione europea e Paesi terzi da cui partono o transitano i migranti», è molto generico e può significare un po’ di tutto: dallo stanziamento di ulteriori aiuti economici all’aumento di accordi bilaterali per aumentare i rimpatri dei migranti a cui è stata negata la protezione internazionale nei paesi europei. I due paesi citati, Libia e Niger, già oggi sono i paesi a cui i funzionari europei stanno dedicando maggiori attenzioni.

Il secondo punto contiene la proposta più forte del documento: creare «centri di protezione internazionale nei Paesi di transito per valutare richieste di asilo e offrire assistenza giuridica ai migranti, anche al fine di rimpatri volontari». È un piano molto ambizioso che però potrebbe incontrare diversi ostacoli legali e burocratici, e su cui non c’è consenso unanime nemmeno fra i paesi “volenterosi” che hanno partecipato al vertice di ieri (il Financial Times, per esempio, registra il parere contrario dei Paesi Bassi).

L’idea, inoltre, non è particolarmente rivoluzionaria. È dall’inizio del 2018 che la Francia esamina centinaia di richieste di asilo direttamente in Niger. Per quanto riguarda i rimpatri volontari, dal novembre 2017 è attiva una task force coordinata dall’Unione Europea che si occupa delle persone detenute nei centri libici per migranti, nei quali i migranti sono sottoposti a violenze e soprusi sistematici. A cavallo fra 2017 e 2018 quasi quindicimila persone sono tornate volontariamente al proprio paese con l’aiuto dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), un’agenzia dell’ONU che si occupa di migranti.

Il punto 3 propone invece di rafforzare le «frontiere esterne» dell’Unione Europea, continuando per esempio a sostenere la Guardia costiera libica, cioè un corpo formato soprattutto da milizie armate che riconduce i migranti nei centri di cui parlavamo prima. L’idea di collaborare con questo corpo si deve soprattutto all’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, che aveva insistito molto su questo punto per ridurre le partenze dalle coste libiche. Per quanto riguarda più in generale la protezione delle frontiere europee, la Commissione Europea propone da tempo di aumentare le risorse a disposizione dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, conosciuta anche come Frontex. Il nuovo budget per l’Unione Europea, inoltre, prevede di decuplicare il personale dell’agenzia entro il 2027, passando da 1.000 a 10.000 (la Commissione sta anche lavorando per anticipare i tempi sulle nuove assunzioni).

I punti dal 4 al 6 auspicano la riforma del Regolamento di Dublino, il trattato europeo che regola le procedure d’asilo e che impone che ciascuna richiesta di protezione internazionale sia gestita dal paese europeo dove per primo ha messo piede il nuovo arrivato (quindi soprattutto Italia, Grecia e Spagna). In particolare, sostiene il documento, bisogna «superare» questo criterio, che da anni trattiene migliaia di migranti ai paesi di frontiera dell’Unione, e condividere l’onere dell’accoglienza fra i vari stati europei.

Il documento però non indica esattamente quale strategia utilizzare per modificare il Regolamento di Dublino, obiettivo che nello stesso documento viene descritto come “complesso”. Un recente compromesso proposto dalla presidenza bulgara del Consiglio dell’UE è stato bocciato per l’opposizione dei paesi dell’est Europa, che ormai da anni rifiutano qualsiasi compromesso che comporti il trasferimento di richiedenti asilo nel proprio territorio. L’altra istituzione europea, il Parlamento, a novembre del 2017 aveva approvato una bozza che avrebbe eliminato il criterio del primo ingresso e introdotto un meccanismo di quote obbligatorio. Diverse organizzazioni internazionali, fra cui Amnesty International, parlarono bene della bozza, che però è stata sostanzialmente ignorata dal Consiglio dell’UE, sempre a causa dell’opposizione dei paesi orientali.

La proposta, fra l’altro, non fu approvata dai due partiti italiani che sono al momento al governo, Movimento 5 Stelle e Lega. Il M5S votò contro nella votazione finale durante l’assemblea plenaria, sostenendo che la riforma non fosse abbastanza ambiziosa; la Lega si astenne. Mehreen Khan, il corrispondente da Bruxelles del Financial Times, prevede che la proposta di Conte di riprovare a modificare il Regolamento di Dublino «molto probabilmente non andrà da nessuna parte».

Il punto 4 contiene inoltre un’imprecisione ripetuta spesso dai membri del governo che appartengono alla Lega, come Matteo Salvini: «solo il 7% dei migranti [fra quelli che arrivano in Italia] sono rifugiati». Come si vede dai dati diffusi dal ministero dell’Interno italiano, nel 2017 ha ottenuto una forma di protezione il 40 per cento degli stranieri che l’hanno richiesta, che quindi hanno diritto a rimanere in Italia. È vero che solo all’8 per cento di loro è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico – una categoria che ha criteri molto stringenti, per cui va dimostrata una persecuzione personale – ma va aggiunto che a un altro 8 per cento è stata garantita la protezione sussidiaria, una forma simile di protezione internazionale, e al 25 per cento la protezione umanitaria, che viene assicurata in caso di situazioni che non riescono a essere inquadrate nelle due precedenti.

(dati del ministero dell’Interno)

I punti finali sono i meno significativi di tutto il documento. L’ottavo chiede che vengano aperti maggiori centri di accoglienza in tutta Europa. Il nono chiede interventi contro i cosiddetti secondary movement, cioè gli spostamenti dei richiedenti asilo in paesi diversi da quello che sta esaminando la loro richiesta di protezione internazionale: è una proposta cara soprattutto alla Germania, per ragioni di politica interna. Il decimo punto chiede «adeguate contromisure finanziarie rispetto agli Stati che non si offrono di accogliere rifugiati», come prevedeva già la proposta di riforma del Regolamento di Dublino presentata dalla Commissione europea nel 2016.

Non è chiaro che fine farà il documento presentato ieri da Conte, a cui all’interno dell’incontro è stata garantita grande visibilità (è stato il primo dei leader a parlare). Gli altri leader europei potrebbero aderire ad alcune delle proposte contenute nel documento proprio perché discusse – e in alcuni casi già sperimentate – in questi mesi.