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  • Martedì 1 maggio 2018

Quanto sono diventati amici Trump e Macron?

E soprattutto, perché? Cerchiamo di capire un'evoluzione sorprendente, se si considera come si stringevano la mano solo un anno fa

Donald Trump (LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)
Donald Trump (LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)

Alla fine di maggio 2017, quasi un anno fa, il presidente statunitense Donald Trump e quello francese Emmanuel Macron si stringevano la mano a Parigi a mo’ di sfida, come per decidere chi dei due avrebbe comandato sull’altro. L’incontro fu cordiale ma teso, e in pochi si aspettavano che a un anno di distanza tra Trump e Macron potesse esserci la sintonia che c’è oggi: così tanta che nell’ultima settimana, dopo la visita di Macron alla Casa Bianca, diversi giornali internazionali hanno parlato di “special relationship” (relazione speciale) tra i due paesi, un’espressione che da più di mezzo secolo è usata per descrivere gli storici rapporti di grande alleanza e amicizia tra Stati Uniti e Regno Unito.

Nelle ultime settimane Trump e Macron hanno mostrato di avere rapporti più che cordiali e saper cooperare anche su questioni importanti. Per esempio hanno fatto scalpore le foto di Macron e della moglie Brigitte a Washington, in quella che è stata la prima visita ufficiale di un capo di stato alla Casa Bianca dall’insediamento di Trump, nel gennaio 2017: tra Trump e Macron c’è stato molto contatto fisico – abbracci, baci e strette di mano – e molti sorrisi distesi, come succede solo durante gli incontri tra capi di paesi alleati e molto amici.

Donald Trump e Emmanuel Macron alla Casa Bianca, Washington D.C., 24 aprile 2018 (AP Photo/Carolyn Kaster)

Due giorni dopo Macron ha fatto un discorso al Congresso statunitense a camere riunite nel quale ha criticato Trump su isolazionismo e nazionalismo, ma sempre con misura e senza creare imbarazzi diplomatici. Macron è stato applaudito lungamente da tutti i deputati e senatori americani, soprattutto da quelli Democratici, anche grazie alla facilità con cui si è espresso con un ottimo inglese: era dai tempi di Napoleone III che un capo di stato francese non parlava così bene in inglese, ha scritto Tunku Varadarajan su Politico. Macron ha inoltre confermato di avere conversazioni frequenti e regolari con Trump – una cosa non proprio usuale in politica internazionale, a meno di casi eccezionali – e ha detto di essere stato lui a convincere il presidente statunitense ad attaccare le installazioni militari in Siria lo scorso 14 aprile, decisione presa come ritorsione per l’attacco chimico compiuto dal regime del presidente siriano Bashar al Assad a Douma, città dell’area di Ghouta orientale, a est di Damasco (non è chiaro se davvero sia stato Macron a convincere Trump, ma che Macron dica di averlo fatto è sinonimo di grande fiducia di non essere smentito, cosa che lo metterebbe in imbarazzo).

Quello che si stanno chiedendo in molti è: stiamo davvero assistendo alla nascita di una nuova relazione speciale tra l’America di Trump e la Francia di Macron? Non c’è una risposta certa e definitiva – nessuno sa vedere il futuro – e normalmente la creazione di nuove alleanze richiede tempo, soprattutto per costruire fiducia reciproca. Si possono però dire alcune cose: per esempio che negli ultimi decenni gli Stati Uniti non hanno avuto con nessun altro paese europeo rapporti tanto turbolenti ma allo stesso tempo tanto paritari come con la Francia; e che più che convergenza di idee, tra Macron e Trump si dovrebbe parlare di reciproca opportunità politica.

Macron e Trump condividono alcune grandi preoccupazioni nel campo della sicurezza e dell’economia – come il terrorismo islamista e l’ascesa della Cina – ma non si può dire che abbiano le stesse idee in politica estera, come ha fatto notare Macron nel suo discorso al Congresso statunitense. Il presidente francese ha criticato per esempio la politica isolazionista di Trump, che «non spegnerà le paure dei nostri cittadini, ma semmai le infiammerà», e la scelta dell’amministrazione americana di ritirarsi dall’accordo di Parigi, il più importante documento degli ultimi anni per contrastare il riscaldamento globale.

I due presidenti non sono d’accordo nemmeno su un altro dei più importanti accordi internazionali firmati negli ultimi anni, cioè quello che riguarda il nucleare iraniano. Trump ha detto più volte di stare valutando il ritiro degli Stati Uniti dal trattato, che in passato aveva definito come «una catastrofe». Macron ha detto di condividere le preoccupazioni dei Repubblicani statunitensi – cioè che il trattato non sia sufficiente a limitare la sempre maggiore influenza e aggressività dell’Iran in Medio Oriente – e ha parlato genericamente di un “nuovo piano” su cui lavorare insieme a Trump; ma ha anche aggiunto che è necessario mantenere in vita l’accordo esistente, che al momento è la miglior soluzione trovata.

Il presidente francese Emmanuel Macron e quello iraniano Hassan Rouhani a New York, 18 settembre 2017 (LUDOVIC MARIN/AFP/Getty Images)

Macron e Trump condividono però almeno una cosa, difficilmente misurabile ma centrale nei calcoli di politica estera di ciascun paese: la necessità di mantenere buoni rapporti tra di loro.

Per Trump avere solidi legami con la Francia significa avere qualcuno che conta con cui parlare in Europa ed eventualmente condividere responsabilità in operazioni militari all’estero. Da mesi la Francia è diventata praticamente l’unico interlocutore importante e affidabile in Europa: il Regno Unito è in mezzo a Brexit, il processo che lo porterà fuori dall’Unione Europea, e quindi anche da tutte le istituzioni europee che contano; la Germania è uscita molto indebolita dalle ultime elezioni, che hanno visto una vittoria di misura di Angela Merkel, la quale però ha dovuto faticare moltissimo per presiedere un nuovo governo, facendo parecchie concessioni ai Socialdemocratici; l’Italia, che comunque non è mai stata tra i paesi più rilevanti in Europa, è senza governo e per il momento non si vedono soluzioni all’orizzonte.

Macron è l’unico capo di stato con una maggioranza ampia e solida, che gli dà il potere di fare cose che altri leader europei non potrebbero fare. Si è anche mostrato disponibile a condividere alcune responsabilità legate a operazioni militari all’estero, una cosa che Trump chiede da diverso tempo all’Europa. Macron ha dimostrato di avere l’aspirazione politica di rafforzare il ruolo della Francia nelle regioni del mondo di tradizionale interesse francese, come il Medio Oriente e il Nord Africa, e allo stesso tempo dispone di una forza militare che in Europa occidentale è paragonabile solo a quella britannica.

Dall’altra parte, per Macron avere legami stretti con Trump ma anche la libertà di criticarlo è altrettanto conveniente. Favorisce la sua immagine di leader in controllo della situazione e rafforza il ruolo della Francia di paese guida nell’Unione Europea, senza necessariamente essere dipendente né dagli Stati Uniti né dalla UE. Questo tipo di politica non è nuova nella storia francese, e di atti di ribellione e autonomia verso poteri esterni ce ne sono stati parecchi nel corso degli ultimi decenni: tra i più noti, la decisione dell’ex presidente Charles de Gaulle di ritirare la Francia dal comando militare integrato della NATO, nel 1958, e quella di Jacques Chirac, altro ex presidente francese, di rifiutarsi di sostenere l’intervento militare americano in Iraq nel 2003.

Qualcuno ha suggerito che Macron si stia in qualche modo servendo di Trump per inserirsi negli scenari politici internazionali più importanti, rendendo la Francia indispensabile nella risoluzione dei problemi e delle controversie; è probabilmente vero, così come è vero che Trump ha lo stesso bisogno di alleati affidabili che gli diano in qualche modo credibilità agli occhi del resto del mondo. Ed è indubbiamente vero che Macron abbia trovato un modo per costruire un rapporto personale con Trump, che ha notoriamente un carattere difficile: mostrarsi molto amichevole, elogiarlo e adularlo personalmente, farlo sentire “importante” e trattarlo con rispetto e calore, senza però tirarsi indietro dalle critiche politiche.