Verona, dove comanda l’estrema destra

Come la saldatura tra neofascismo, leghismo e cultura da stadio – «gioventù, ignoranza e testosterone» – ha preso il potere e creato un contesto unico e pericoloso

di Giulia Siviero – @glsiviero

Il luogo dove è stato picchiato Nicola Tommasoli in via Leoni a Verona. (ANSA/DAVIDE BOLZONI/DRN)
Il luogo dove è stato picchiato Nicola Tommasoli in via Leoni a Verona. (ANSA/DAVIDE BOLZONI/DRN)

A Verona c’è una strada in cui la domenica si fatica a camminare, perché ci sono decine e decine di turisti. La strada è famosa perché lì, si dice, c’è il balcone di Giulietta: in realtà è un falso dichiarato. Poco più avanti, oltre la biblioteca civica e proprio accanto a Porta Leoni, uno degli ingressi principali alla Verona romana, la notte del primo maggio di dieci anni fa venne picchiato un ragazzo di 29 anni, Nicola Tommasoli. Gli diedero calci nella pancia e poi sulla testa. Venne portato in ospedale, fu operato e dopo qualche giorno morì.

I giornali scrissero che Nicola Tommasoli aveva rifiutato una sigaretta a cinque ventenni che gli si erano avvicinati. La storia della sigaretta e del pestaggio-per-un-futile-motivo circola ancora oggi. Non fu un’aggressione a sfondo politico, continuarono a ripetere i giornali locali riproponendo le minimizzazioni iniziali della questura e dell’allora sindaco di Verona, Flavio Tosi. Di sicuro però non c’entravano né i rom – che tanto stavano al centro del suo discorso politico – né gli immigrati, che si tenevano ben lontani da quella che veniva a quel tempo definita la “destra imborghesita” del centro storico.

Subito dopo l’omicidio di Nicola Tommasoli a Verona vennero organizzati due cortei a cui parteciparono circa 10 mila persone e a cui aderirono un centinaio di movimenti e formazioni politiche: Pdci, Rc, Sinistra Critica, Centro Sociale La Chimica, Circolo Pink, Anpi, Fiom Cgil, Arcigay e Arcilesbica (ANA/GIOVANNI CHICCO/JI)

Nicola Tommasoli non era conosciuto in città e non frequentava gruppi politicamente schierati, ma aveva il codino: era “diverso”, come disse l’ex procuratore capo di Verona Guido Papalìa, che per molti anni indagò sul neofascismo veneto. Forse la versione più sincera su quello che accadde la diede il cugino di Tommasoli, studente del liceo classico Maffei, intervistato da Anno Zero: «Nicola non è stato ucciso perché era comunista, è stato ucciso perché quei cinque sono nazisti».

Nell’aggressione di Tommasoli erano coinvolti Guglielmo Corsi, Andrea Vesentini, Nicolò Veneri, Federico Perini e Raffaele Dalle Donne. Lo lasciarono a terra agonizzante. Quattro di loro avevano precedenti legati a episodi di violenza da stadio, tre erano conosciuti come militanti di estrema destra. Perini e Veneri avevano a che fare con Forza Nuova, Dalle Donne era un ex attivista di Blocco Studentesco, l’associazione giovanile legata a Casa Pound. Lui e Veneri erano già indagati dalla procura di Verona per vari pestaggi avvenuti tra il 2006 e il 2007 e per i quali si ipotizzava il reato di associazione a delinquere con l’aggravante della legge Mancino. Perini e Veneri, infine, e proprio con l’aiuto di alcuni militanti di Forza Nuova, dopo il pestaggio del primo maggio scapparono a Londra. Quattro giorni più tardi decisero di costituirsi. Nicola Tommasoli era morto da qualche ora.

«Quella a Tommasoli fu l’ultima di decine di aggressioni denunciate in quegli stessi anni, quasi sempre a danno di ragazzi colpevoli di essere non conformi, di avere un aspetto “differente” o un atteggiamento indecoroso (tipo sedersi per terra)». Lo racconta Paola Bonatelli, ex giornalista del Manifesto che da Verona si è occupata di queste storie quasi quotidianamente, raccontando come in quasi tutti gli episodi tornassero parole comuni e relazioni costanti: l’estrema destra, la curva della squadra di calcio Hellas Verona e un’ideologia identitaria riconducibile al nazifascismo.

Verona nera
Storicamente Verona è stata il crocevia dell’estremismo della destra italiana in tutte le sue forme: fu una delle capitali della Repubblica di Salò e fu la sede del comando generale della Gestapo. Dagli anni Settanta divenne un centro fondamentale per le diverse organizzazioni eversive neofasciste come la “Rosa dei venti” del generale Amos Spiazzi, il “Fronte nazionale” di Franco Freda, “Ordine Nuovo” e la banda neonazista Ludwig, responsabile di 15 omicidi («La nostra fede è nazismo. La nostra giustizia è morte. La nostra democrazia è sterminio»). Più avanti, Verona fu un luogo fecondo per le organizzazioni giovanili dei ricostituiti partiti fascisti o ex fascisti (Fronte della Gioventù e Azione Giovani) e dei movimenti della destra radicale collegati con le frange più violente della curva sud, la curva della tifoseria dell’Hellas.

Quando nel 1994 leghisti ed ex missini entrarono nel primo governo Berlusconi, a Verona il terreno era pronto da tempo: «La Lega ha attecchito e si è rigogliosamente sviluppata sostenuta dalle associazioni integraliste cattoliche, con i loro nomi più o meno esotici, […] e da quella dei movimenti della destra radicale, dalla Fiamma a Forza Nuova che il Carroccio favorisce», scriveva Paola Bonatelli su un Manifesto vecchio più di dieci anni, e che lei stessa ripesca da una montagna di scatoloni. Quegli scatoloni, insieme ai dossier redatti nel tempo e con costanza dai movimenti antifascisti veronesi, sono un importante archivio, per la storia di cui stiamo parlando.

Volantino di Forza Nuova contro una manifestazione per i diritti a Verona, 2001

Stando a quello che raccontano Bonatelli e molti altri che conoscono la storia di quegli anni, a Verona la cosiddetta “svolta di Fiuggi” – cioè il passaggio con cui gli ex fascisti costituirono Alleanza Nazionale e una “destra democratica” – consistette solo in un passaggio da fuori a dentro: da fuori a dentro le istituzioni. Le destre, sia quelle istituzionali sia quelle che non lo erano, continuarono (e continuano) a mantenere confini molto labili e spesso sovrapponibili.

Gli anni Novanta a Verona furono quelli del manichino nero impiccato allo stadio per protestare contro l’acquisto di un giocatore nero e quelli della prima celebrazione delle Pasque Veronesi – riscoperte dalla politica prima che dalla storiografia – organizzata da integralisti cattolici e Lega con sponsorizzazione dell’assessorato alla Cultura. Furono gli anni delle mozioni omofobe mai abolite e mai sconfessate, della prima edizione delle “ronde padane”, dei riti di riconsacrazione all’interno delle sale pubbliche utilizzate una settimana prima dalla comunità musulmana per celebrare la fine del Ramadan, dei concerti finanziati dal comune delle band cosiddette “nazirock”, come i Gesta Bellica, e delle fiere della cosiddetta “editoria non conforme” (non conforme al riconoscimento dell’esistenza dei campi di sterminio, in sostanza).

Dal 1994 al 2002 a Verona c’era una sindaca – Michela Sironi Mariotti, di Forza Italia – a capo di una giunta in cui si fecero notare soprattutto tre assessori di Alleanza Nazionale, che favorirono e legittimarono il tracimare nella politica istituzionale delle pratiche e dei discorsi della destra militante di strada, di cui alcuni di loro avevano fatto parte: Luca Bajona, Massimo Mariotti e Fabio Gamba.

Bajona, il vicesindaco, era stato arrestato nel 1981 per aver partecipato a un’aggressione contro alcuni militanti della FGCI, l’organizzazione giovanile del PCI (oggi è sparito dal panorama politico locale). Fabio Gamba, assessore alla Sicurezza e attuale direttore generale del comune con il nuovo sindaco Federico Sboarina, divenne famoso per aver dotato la polizia municipale delle cosiddette “mazzette di segnalazione”, cioè dei manganelli, e per aver difeso il sequestro delle coperte di alcuni senzatetto che dormivano in Piazza Isolo facendo poi bagnare la pavimentazione con acqua gelata perché ghiacciasse e nessuno potesse sdraiarsi di nuovo. Massimo Mariotti, esponente della destra sociale che ha ricoperto negli anni vari incarichi politici e che è stato nominato alla presidenza di molte aziende municipalizzate, fece notizia quando utilizzò l’indirizzo email del comune per spedire inviti a feste e iniziative in cui era «gradita la camicia nera». Lo scorso febbraio Mariotti, eletto di nuovo alle amministrative del 2017, ha rinunciato al seggio per essere nominato dal nuovo sindaco alla presidenza di Ser.i.t, la società a cui il comune affida i servizi di igiene ambientale.

Qualche giorno prima dello scorso 25 aprile, Mariotti ha inviato un testo su WhatsApp a diversi conoscenti e amici, nel quale invitava «gli Amministratori» a evitare la partecipazione alle celebrazioni delle lotte per la Liberazione, «ke restano invece nella memoria del Camerati x quello che erano: una mattanza di Soldati ke avevano deposto le armi, oltre a stupri e sevizie nei confronti di civili ke avevano la sola colpa di credere in una Italia migliore. (? ??)».

Ho incontrato Mariotti in un bar dietro al Comune: mi ha parlato delle destra sociale a Verona, della sua lunghissima esperienza politica, di come l’area di cui fa parte abbia cambiato varie sigle ma non obiettivi e valori. E ha confermato di aver scritto quel messaggio, di cui avevo ricevuto uno screenshot: dice che il 25 aprile non l’ha mai festeggiato, per coerenza. «Quando in consiglio comunale ricevevo l’invito, declinavo con una lettera in cui spiegavo i miei motivi: gli italiani hanno dimenticato il significato di questa data che dopo tanti anni potrebbe diventare un momento di pacificazione nazionale, e che invece è diventata una celebrazione nostalgica, in questo caso, di situazioni drammatiche che si sono create. Il rispetto di chi è stato ucciso durante quegli eventi, soprattutto successivi alla fine della guerra, a mio avviso viene poco considerato».

Mariotti ha spiegato che gli “Amministratori” a cui era rivolto il suo messaggio sono consiglieri e assessori di destra, che “camerata” non è un’offesa ma una parola che nel gergo militare «si usa da secoli»; e quando gli chiedo dell’omicidio Tommasoli mi risponde che è stato un «momento drammatico» in cui la politica «non c’entra»: che alcuni dei picchiatori «fossero vicini o lontani» all’estrema destra è una loro «questione personale: problemi loro».

Flavio Tosi in posa sulla lapide dell’allora procuratore capo Guido Papalia, colpevole di averlo “perseguitato” e fatto condannare per propaganda razzista

Nel 1994, con Sironi sindaca, in consiglio comunale fu eletto anche Flavio Tosi, che tre anni dopo divenne segretario provinciale della Lega Nord-Liga Veneta. Con Tosi le iniziative di piazza presero definitivamente i toni degli ultrà da stadio (i comizi si concludevano al grido di “Chi non salta tunisino è”). Tosi fu tra i promotori dell’istituzione delle ronde padane contro «drogati, clandestini e puttane», presentò una mozione per creare sui mezzi pubblici entrate differenziate per veronesi e immigrati e – con la sorella e altri quattro militanti della Lega – venne condannato per la violazione della legge Mancino, in quanto responsabile di istigazione all’odio razziale.

La saldatura tra l’odio xenofobo neofascista, in particolare di Forza Nuova, e le fobie etniche di matrice leghista a cui Tosi lavorò con fecondità in quegli anni portò a grandi risultati. Nel 2007 Tosi si candidò contro il sindaco uscente di centrosinistra, Paolo Zanotto, assemblando una lista civica in suo sostegno in cui si ritrovavano i nomi delle destre cittadine più diverse: integralisti cattolici legati a Don Floriano Abrahamowicz (quello che celebrò una messa per Erich Priebke), negazionisti dell’Olocausto, sostenitori delle messe in latino, nostalgici di Salò, organizzatori delle Sentinelle in Piedi e delle messe riparatrici per il Gay Pride.

Tosi stravinse. Non appena eletto cominciò a fare quel che aveva promesso: tra le altre cose, come capogruppo della sua lista in consiglio comunale scelse Andrea Miglioranzi, esponente storico del Veneto Fronte Skinhead e del gruppo musicale Gesta Bellica (“Furti, droga, musi neri, tutto questo non mi va: Potere bianco, sola possibilità”). Miglioranzi fu tra i primi in Italia ad andare in carcere per istigazione all’odio razziale grazie alla legge Mancino («Fascista? Definirmi così in passato mi è costato il carcere. Non rinnego nulla, è un termine che mi è molto caro») e dal 2012 è presidente di AMIA (Azienda municipale di igiene ambientale). Miglioranzi fu nominato da Tosi persino ai vertici dell’Istituto veronese per la storia della Resistenza, ma si dimise dopo pochi giorni per le molte proteste e per non «offrire a un’opposizione incapace di affrontare i problemi della città, il pretesto per strumentalizzazioni e attacchi contro il sindaco e la giunta».

Nel 2003 un gruppo di esponenti di Forza Nuova entrò negli studi dell’emittente televisiva Telenuovo dove si stava svolgendo un dibattito in cui era presente Adel Smith, allora presidente dell’Unione Musulmani d’Italia. Alla fine gli indagati veronesi furono Yari Chiavenato, Stefano Armigliato e Luca Castellini

La nuova amministrazione
Dopo due mandati di Tosi, la sua uscita dalla Lega e la sua trasformazione in un «leghista doroteo», dopo la condanna del suo vicesindaco e le divisioni interne alle destre locali e il loro riposizionamento, nel 2017 è stato eletto sindaco Federico Sboarina. Ex assessore allo Sport con Alleanza Nazionale durante la prima amministrazione di Tosi, Sboarina è stato sostenuto dal movimento “Battiti per Verona”, dalla lista civica “Verona più sicura”, da “Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale”, e poi da Forza Italia, Lega Nord, partito dei Pensionati e movimento “Indipendenza Noi Veneto”: formazioni trasversalmente attraversate da vecchi nomi che un tempo avevano sostenuto Tosi e, di nuovo, dai movimenti cattolici e conservatori.

Il vescovo Giuseppe Zenti – che nel 2013 durante la messa di Natale aveva fatto parlare Tosi dal pulpito della chiesa e che nel 2015 in occasione delle elezioni regionali aveva inviato una lettera agli insegnanti di religione per sostenere una candidata della Lega – alle amministrative del 2017 intervenne nuovamente nella campagna elettorale dopo alcune dichiarazioni molto pesanti di Salvini per spiegare che lui li conosceva bene i leghisti del Veneto: dei moderati, attenti al sociale.

Il dibattito su TeleArena tra il vescovo Giuseppe Zenti e don Bruno Fasani che aveva criticato il sostegno esplicito di Zenti a una candidata della Lega alle regionali del 2015 – 28 maggio 2015

La notte della vittoria, Sboarina ha festeggiato indossando una maglietta che a Verona rappresenta un simbolo e un messaggio ben preciso: la vicinanza alla destra radicale che, ha scritto il Corriere di Verona, il nuovo sindaco «ha sempre evitato di far apparire ufficialmente tra le sue fila. Ma che in realtà non solo ha sostenuto la sua campagna, ma ne è stata parte integrante». È una maglietta blu con lo stemma delle arche scaligere in giallo, ha un nome (“Old School Verona”) e un marchio: The Firm, un negozio che si trova nella zona dello stadio e che è una Srls. «I soci sono Yari Chiavenato, ex responsabile di Forza Nuova con guai giudiziari per risse e aggressioni (indagato per il manichino impiccato allo stadio, ndr); Andrea Iacona, condannato per l’aggressione di piazza Viviani (un atto di violenza discriminatorio avvenuto nel 2009 da parte di un gruppo di ragazzi legati all’estrema destra e al tifo calcistico, ndr); Nicola Martello, problemi con la legalità per tifo violento, danneggiamento e lesioni; Omar Abd El Rahman, ex responsabile cittadino di Azione Universitaria, organizzazione studentesca di destra».

Federico Sboarina festeggia la vittoria alle amministrative del giugno 2017 con la maglietta “Old School Verona”

Ancora, sempre dal Corriere del Veneto:

«Il “feeling” del nuovo sindaco con la destra radicale non è solo una questione di “guardaroba”. A fargli da “cordone protettivo” nella passeggiata trionfale in centro sfilavano volti che la storia della “Verona nera” l’hanno scritta. A prevenire eccessive “effusioni” da parte degli elettori c’era Stefano Stupilli, indagato nella prima metà degli anni Novanta con Franco Freda per aver fatto parte del Fronte Nazionale, che per gli inquirenti altro non era se non un rigurgito del partito fascista. A dirigere i cori (…) Alberto Lomastro, uno dei capi storici delle disciolte Brigate, candidato in tempi andati anche alla Camera per il Msi-Fiamma Tricolore con qualche guaio giudiziario per le sue idee politiche. Perché quello al sindaco di “centrodestra” da parte della destra radicale che non rifulge in partiti, comitati o movimenti è stato un apporto non indifferente. Nella “pratica”, come domenica sera. Ma, soprattutto, nella dote di voti – non pochi – che gli ha portato».

Ho incontrato Federico Sboarina nel suo ufficio in comune che guarda Piazza Bra, dove c’è l’Arena. Sul muro accanto alla grande scrivania c’è il simbolo delle arche scaligere in ferro battuto; di fronte, accanto alla foto del presidente della Repubblica, ci sono le foto «di tutti e due i papi», mi fa notare: Bergoglio e Ratzinger.

Sboarina è quello che a Verona si potrebbe definire un “butel”: è di destra, va «tutte le domeniche in curva, anche in trasferta», è cattolico e crede fermamente nella divina provvidenza. Quando, durante l’intervista, gli ricordo che il prossimo 22 maggio saranno i 40 anni dalla legge 194 sull’interruzione di gravidanza, mi risponde che il 22 maggio per lui è più che altro il giorno in cui si festeggia Santa Rita da Cascia, monaca cristiana italiana dell’ordine agostiniano.

Della famosa maglietta, Sboarina dice che «è bellissima»: «La uso sempre, anche per girare per la città. Semplicemente riporta uno dei simboli storici di Verona, le arche scaligere». «C’è chi ha avuto l’intuizione geniale di riportare quel simbolo su una maglietta». Tutto qui. «Quando vado a comprare una Fred Perry vuol dire che sono fascista perché le vende Castorina?» (il riferimento è ad Alessandro Castorina, storico esponente del Veneto Fronte Skinheads, bassista dei Gesta Bellica, titolare di un negozio di abbigliamento a Verona che si chiama Camelot, ndr).

Qualcuno effettivamente la maglietta in quel negozio non la comprerebbe mai, sapendo quanto è storicamente legato all’estrema destra: nei dossier dei movimenti antifascisti si racconta che lì si potevano trovare «bandiere dell’Hellas con l’aquila nazista e la scritta “Gott mitt uns”, la stessa frase che accompagnava i delitti di Ludwig, o con il dente di lupo e i dischi della naziband Gesta Bellica».

Nel suo programma, Sboarina ha promesso di voler bandire i cosiddetti “libri gender” e di voler ostacolare le iniziative «in contrasto con i valori della vita e della famiglia naturale». La promessa è stata mantenuta almeno in parte: un’iniziativa che in città si svolgeva da anni, la “Biblioteca Vivente”, che racconta attraverso le persone storie di esclusione e di discriminazione, è stata annullata «perché non adatta al contesto».

Poco dopo un consigliere comunale di maggioranza, Andrea Bacciga, ha deciso di fare una donazione alla biblioteca civica: una serie di libri «identitari», come li definisce Bacciga, che fanno riferimento all’estrema destra e che sono finiti immediatamente nel catalogo nonostante la biblioteca avesse sospeso ufficialmente le donazioni. C’è quello di Léon Degrelle, una delle figure principali del nazionalsocialismo e militante nelle Waffen-SS, c’è quello del già citato Franco Freda e c’è anche un libro della fondamentalista cattolica Costanza Miriano. La giunta ha poi proposto una mozione contro lo ius soli (approvata, nei fatti inutile), una proposta «per istituire dei parcheggi gratuiti per le donne Veronesi in gravidanza» (maiuscolo loro), una mozione nella quale si chiede alla giunta di impegnarsi a non concedere patrocini e spazi a movimenti e associazioni di “sinistra” o “anarchiche”.

Lo scorso febbraio, poi, a Verona è stato accolto il “Bus per la Libertà”, cioè un pullman con la scritta “Non confondete l’identità sessuale dei bambini”; ed è stato organizzato il primo “Festival per la Vita” in Gran Guardia, uno degli edifici più prestigiosi della città, da un’organizzazione che si chiama Pro Vita e ha diversi legami con Forza Nuova. A entrambi gli eventi erano presenti sia Sboarina che il suo vicesindaco Lorenzo Fontana, ex europarlamentare, tifoso dell’Hellas «rigorosamente e da sempre in curva sud» e da poco eletto vicepresidente della Camera dei deputati con la Lega. Durante il convegno in Gran Guardia, Fontana ha spiegato che «quella per la vita è la battaglia finale», una battaglia che deve essere «culturale, per la nazione, per il popolo», dato che i «nostri popoli sono sotto attacco». Il suo auspicio è il ritorno «di un’Europa cristiana».

Gli integralisti cattolici
«A Verona già negli anni Cinquanta c’era l’humus culturale che ha permesso lo sviluppo delle organizzazioni tradizionaliste cattoliche. Nel 1954, ad esempio, venne fondata la rivista Carattere, redatta da alcuni missini che intendevano spostare l’asse culturale dell’MSI su posizioni filocattoliche. Nacque per volontà di un veronese e fu la palestra dell’intellighenzia filocattolica con tendenze nostalgiche. Quel progetto durò dieci anni, venne chiuso e riprese nel 1996», spiega Emanuele Del Medico, attivista e studioso dell’ex centro culturale di documentazione anarchica di Verona “La Pecora Nera”, che nel 2004 ha pubblicato il libro All’estrema destra del padre. Tradizionalismo cattolico e destra radicale, occupandosi del «paradigma veronese».

Verona, racconta Del Medico, «è stata la capitale del tradizionalismo cattolico per numero di associazioni che hanno sempre avuto stretti legami con le frange della destra più radicale e con i partiti espressione di quella destra. Spesso chi militava da una parte stava anche dall’altra. L’obiettivo comune a questi ambienti era ed è ancora oggi ripristinare un ordine del passato – sia esso monarchico, teocratico o fascista – andato perduto. Politicamente questo continuo rimando alla tradizione si è tradotto a livello locale in tentativi, spesso violenti nelle forme e nei modi, di costruire una forte identità comune, etnica, nazionale o culturale fondata sull’esclusione del diverso. Da un mondo all’altro, c’è stata una specie di travaso di ideologismi: il razzismo, l’intolleranza, l’omofobia e una certa forma di violenza si sono coniugati con la ben collaudata visione dio-patria-famiglia». Una lunga cronologia di eventi in città mostra come integralismo cattolico, estrema destra e amministrazioni locali si siano trovate fianco a fianco in diverse occasioni: dai convegni omo-bi-transfobici alle messe di riparazione fino alle mozioni contro il gender portate avanti da un ex consigliere comunale per la Lista Tosi, Alberto Zelger, che ora è in consiglio comunale con Sboarina.

L’entrata di questi mondi nelle istituzioni è avvenuta con la sindaca Sironi, «ma è stato Tosi durante il suo primo mandato» – prosegue Del Medico – «a diventare una perfetta cinghia di trasmissione tra i due ambienti. Nel suo secondo mandato, quando ha cominciato l’iter di smarcamento e ripulitura da molte pratiche e linguaggi del passato, queste organizzazioni hanno iniziato a non fargli più comodo dal punto di vista della visibilità e della rappresentanza. Questo portò a una ridefinizione di quelle stesse associazioni e al loro ricollocamento in un ambiente più accettabile che ha messo al centro la cosiddetta “famiglia naturale”. Le parole d’ordine, oggi, sono rimaste invariate, ma sono cambiati i toni e i modi. Mentre prima era manifesta la collusione di intenti tra gli ambienti filo-nazisti e il tradizionalismo cattolico, con il tempo questo legame è diventato meno evidente (con alcune eccezioni). La perdita di quella modalità di militanza, però, ha comportato un guadagno di influenza: ora Sboarina, che è un uomo di destra, che è un ex uomo di Tosi, che è molto vicino agli ultras e ai gruppi neofascisti, è il volto perbene di una presunta destra moderata, più tradizionale che tradizionalista».

Lo stadio e la destra fuori dalle istituzioni
Lo stadio a Verona è sempre stato un vivaio dell’estrema destra che ha sfruttato, secondo alcuni, «gioventù, ignoranza e testosterone». A poche settimane dalla sua elezione, Federico Sboarina si è trovato a dover gestire con equilibrismo una faccenda che riguardava proprio la curva sud e il rapporto, di nuovo, tra le destre che stanno dentro e le destre che stanno fuori. Durante la festa dell’Hellas, infatti, i tifosi hanno cantato: «Siamo una squadra fantastica, fatta a forma di svastica». Poco prima un uomo sul palco, un capo degli ultrà che è anche il coordinatore del Nord Italia di Forza Nuova, Luca Castellini, aveva urlato: «Chi ha permesso questa festa, chi ha pagato tutto, chi ha fatto da garante ha un nome: Adolf Hitler!».

Il sindaco ha commentato con un generico «È da condannare», spiegando però che si è trattato di un «caso singolo messo in moto a tarda notte probabilmente da qualche bicchiere di troppo». Ha aggiunto poi che «sono comunque atteggiamenti che non devono avvenire, perché ottengono solamente effetti negativi», e che «la ricaduta immediata è quella di dare alla città e alla tifoseria dell’Hellas Verona un’immagine che non le rappresenta. Verona e i tifosi dell’Hellas hanno un alto concetto dei valori, conoscono i fatti che appartengono alla Storia e non meritano giudizi negativi superficiali». Quando chiedo a Sboarina un commento più preciso mi dice che non ha niente da aggiungere a quello che ha detto allora. Quando, insistendo, gli chiedo se non voglia dire qualcosa di più (queste espressioni di generica condanna si potrebbero adattare a qualsiasi altro contesto, anche a un cestino rovesciato davanti allo stadio), risponde: «No. Va bene così».

Solo tre anni prima, nel 2014, alla festa dei tifosi della curva sud alcune auto vennero parcheggiate in modo da formare una svastica.

Foto inviata al sito Verona Sera e scattata nel giugno del 2014 alla festa della Curva sud dell’Hellas: Yari Chiavenato, esponente di Forza Nuova, aveva commentato dicendo: «Basta parcheggi a pagamento»

Lo stadio è il luogo dove le destre hanno trovato un terreno fertilissimo. In uno dei dossier compilati dai gruppi antifascisti veronesi si legge che lo stadio «ha funzionato come un collante: simbolicamente l’attaccamento alla maglia è diventato l’attaccamento alla città, in una retorica che utilizza gli elementi tradizionali locali in forma di propaganda»: lesso e pearà (un piatto della tradizione) con la croce celtica, proverbi in dialetto sulle magliette della squadra, il dente di lupo nelle sciarpe.


«La tifoseria veronese organizzata ha da sempre un’impostazione di destra, ma fino ai primi anni Novanta la componente politica era superficiale e ambigua. Alle tipiche canzoni e agli striscioni che si rifacevano alla matrice nazifascista si affiancava una forte componente che potremmo definire “nordista”: la tifoseria finì sulle cronache nazionali per i cori rivolti ai meridionali e per gli immancabili tafferugli che connotavano ogni fine partita. Dalla metà degli anni Novanta le cose cominciarono a cambiare: la componente politicamente schierata si fece sempre più forte coinvolgendo i tifosi più giovani, e cominciando ad ottenere il controllo dell’intera curva. Le prime avvisaglie di questo cambiamento sono state documentate dalla stampa nazionale, in particolare quando, nel 1996, venne impiccato in curva sud un pupazzo nero per contestare il possibile acquisto del giocatore olandese e nero Maickel Ferrier».

Lo striscione che accompagnava l’azione recitava: «Il negro ve lo hanno regalato, fategli pulire lo stadio».

Il manichino e uno degli striscioni esposti nell’aprile del 1996 dagli ultrà del Verona contro il possibile acquisto di Maickel Ferrier, che poi non andò a buon fine. La scritta, in dialetto, significa: «Il negro ve l’hanno regalato, fategli pulire lo stadio».

Quell’anno allo stadio Marassi di Genova i tifosi della curva sud veronese esposero lo striscione con scritto “Gott mit uns”. Due anni dopo, nel 1998, quando l’Hellas stava trattando l’acquisto del calciatore brasiliano Ze Maria, alcuni tifosi raggiunsero in città il figlio del presidente e lo minacciarono perché rinunciasse. Allo stadio erano legati molti dei militanti che negli anni sono stati coinvolti in aggressioni e azioni violente, compreso l’omicidio Tommasoli; e allo stadio sono cominciate – o dallo stadio sono state sostenute – molte rilevanti carriere politiche locali.

La strada e il sindaco
Uno dei movimenti più attivi oggi a Verona si chiama Fortezza Europa. È nato quando un gruppo di militanti della sezione veronese di Forza Nuova ha deciso di sostenere Sboarina alle amministrative del 2017, invece che accettare la scelta del partito di restare fuori dalle elezioni, almeno formalmente. Festung Europa, in tedesco, era il termine impiegato dalla propaganda del Terzo Reich durante la Seconda guerra mondiale per indicare l’Europa nazista: la parte di Europa continentale dominata dalla Germania in contrapposizione con gli Alleati anglosassoni.

Fortezza Europa si definisce “associazione culturale” e uno dei suoi personaggi più in vista è Yari Chiavenato: quello del manichino. Il loro simbolo è un cerchio con al centro quattro frecce, che ricorda le insegne dei movimenti filonazisti del passato e che rappresentano l’identità («che va difesa dal caos migratorio e dal pensiero globalista, che porterà al decesso il nostro continente»), la famiglia («intesa come gens, stirpe, clan»), l’autarchia («anche con l’autosufficienza energetica») e l’aristocrazia («col rifiuto radicale di ogni logica egualitaria: non siamo tutti eguali»).

Solo per ricordare gli eventi più recenti. Fortezza Europa ha ottenuto i crediti formativi dall’Ordine degli avvocati di Verona per un corso, molto contestato, sulla legittima difesa. Il giorno dopo il 25 aprile, il comune ha concesso il patrocinio e una sala a Fortezza Europa per un convegno su Sergio Ramelli (a cui ha partecipato anche Roberto Bussinello, uno dei difensori dei ragazzi coinvolti nell’aggressione di Tommasoli, ex dirigente di Forza Nuova, candidato a sindaco alle ultime elezioni sostenuto da Casa Pound, che quando morì Priebke scrisse su Facebook «Capitano ora sei per sempre con i tuoi guerrieri nei Campi Elisi»).

Fortezza Europa ha manifestato contro la presenza di un rapper italo egiziano in una scuola pubblica della città con uno striscione con scritto «Ius music nelle tue canzoni, il futuro dell’Europa nelle nostre azioni». La manifestazione, organizzata davanti all’istituto tecnico durante le ore scolastiche dedicate in teoria all’antirazzismo e alle discriminazioni, era autorizzata: e vi hanno partecipato diversi minorenni che evidentemente in quel momento non erano in classe. Il responsabile dell’ufficio stampa della Digos di Verona mi ha spiegato che è stato tutto tranquillo, «che stiamo parlando di un gruppo di estrema destra che non ha mai manifestato un certo rilievo di ordine e sicurezza pubblica» e che quindi, la loro, è stata «una semplice manifestazione del pensiero».

Fortezza Europa ha anche rivendicato l’organizzazione, lo scorso marzo, di un’assemblea di istituto in cui si sono ricordate le foibe e l’esodo Giuliano-Dalmata, altri temi storicamente cari all’estrema destra. Il preside mi ha inviato la circolare dell’assemblea e mi ha spiegato che Fortezza Europa non c’entrava niente, ma dopo avermi detto di aver telefonato al consigliere comunale Andrea Bacciga, relatore dell’evento e presenza frequentissima agli eventi di Fortezza Europa, il post pubblicato su Facebook qui sotto è stato cancellato.

Non è chiaro quanti siano i militanti di Fortezza Europa, ma è noto che ne facciano parte decine di ragazzini molto giovani che si dichiarano esplicitamente nazisti, che negano l’esistenza dell’Olocausto, che sostengono l’esistenza di razze inferiori, che citano il Mein Kampf, Julius Evola o Léon Degrelle. Si ritrovano in una sede nel quartiere di San Zeno, dove organizzano incontri e feste studentesche e a cui è collegato un negozio che vende magliette con frasi come “Supremacy”, “European Empire”, o in cui si ricorda la “gloriosa battaglia di Lepanto”.

Eravamo rimasti però alla scissione dentro Forza Nuova, da cui è nata Fortezza Europa.

Filippo Comencini, che fa parte dell’Assemblea 17 dicembre, movimento che raccoglie le energie dell’antifascismo veronese, ha spiegato su cosa si è invece concentrata Forza Nuova negli ultimi mesi: «La scelta di Forza Nuova è stata non partecipare alle elezioni per investire “nella lotta di strada”, come dicono loro, alimentando le iniziative popolari di una nuova associazione chiamata Verona ai Veronesi, protagonista di una serie di atti contro gli immigrati e i centri di accoglienza: le cronache degli ultimi mesi hanno raccontato i pedinamenti, gli atti vandalici nel cimitero contro il padre di un vice sindaco di provincia che aveva accettato il centro di accoglienza nel paese, i presidi con i fari delle auto accesi e puntati contro le finestre degli appartamenti che accoglievano i rifugiati, le minacce in un Cas di Pescantina».

Poi c’è Casa Pound. Nel dicembre del 2017 Casa Pound ha spostato la propria sede cittadina proprio accanto all’ANPI, nella zona universitaria e nel quartiere multietnico e più politicamente attivo e di sinistra della città: Veronetta. Per l’inaugurazione gran parte del quartiere è stata blindata: tra gli altri era presente anche Andrea Antonini, vicepresidente del partito riconosciuto colpevole e condannato a due anni di carcere, nel 2016, per aver favorito la latitanza di Mario Santafede, implicato in un traffico internazionale di droga e arrestato nel 2008.

Dal momento dell’apertura della nuova sede e in coincidenza con l’inizio della campagna elettorale, Casa Pound ha iniziato a muoversi in maniera differente rispetto ai mesi precedenti, durante i quali c’erano state almeno sei aggressioni contro ragazzi e ragazze considerati “diversi”. In linea con l’operazione di cosmetica nazionale, dice Comencini, i suoi membri «hanno cercato di apparire nella maniera più pulita possibile alla stampa e agli occhi delle persone; lavorando soprattutto attraverso la distribuzione di volantini, l’organizzazione di incontri elettorali e altre azioni “patriottiche” quali la distribuzione di regali per Natale e Santa Lucia ai bambini italiani». Una volta terminate le elezioni, però, la situazione sembra essere tornata quella di sempre: provocazioni, scritte sui muri accanto all’ANPI e un nuovo recente episodio di violenza, proprio il 25 aprile.

«In Veronetta ci sono delle situazioni di tensione da una parte e dall’altra», dice il sindaco Sboarina. «Non ho mai sentito di un novanta per cento di aggressori di destra contro un dieci per cento di aggressori di sinistra: ho sentito sempre, nel comitato per l’ordine e la sicurezza, di una situazione di tensione da monitorare costantemente per la presenza di due nuclei contrapposti».

Al sindaco Sboarina ho chiesto anche quali fossero i suoi rapporti con le “destre di strada” e che cosa è cambiato nella destra veronese rispetto agli anni di Tosi. Mi ha spiegato che a quel tempo «c’erano dei partiti molto strutturati e un sindaco che era l’espressione di un partito, la Lega Nord», mentre «nel 2017, a distanza di dieci anni, il sindaco (cioè lui, ndr) è espressione di una lista civica che prende la maggioranza relativa della coalizione di centrodestra. (…) Oltre ai numeri, io parlo per me, non è cambiato niente: sono sempre lo stesso, i miei valori sono sempre gli stessi e il mio modo di fare politica anche: non sono uno che urla, ma sui principi sono inamovibile».

Sboarina cita i valori legati alla sua formazione cattolica,« la difesa della vita fin dal concepimento» e la trasparenza. E precisa che cerca «di portarli avanti in una maniera molto serena e non aggressiva. Ho la possibilità di affermarli e di viverli dando il buon esempio». Con questi principi, dice, si è presentato alle elezioni ed è stato votato. Quando gli ricordo gli episodi del passato che hanno coinvolto alcuni membri della sua giunta o delle sue liste, o gli mostro l’sms di Mariotti sul 25 aprile, mi risponde che non lo sapeva, che «gli anni Ottanta non sono il 2018» e che «il contesto storico e sociale è diverso».

Sui suoi rapporti con la cosiddetta destra non istituzionale, diciamo, Sboarina risponde: «Sono tutte persone che conosco da tanti anni, vado in curva tutte le domeniche, anche in trasferta. Verona non è una città così grande, fai anche presto, conosco tantissime persone, come conosco tantissime persone anche di sinistra e di centro, e con quei tipi di mondi (della destra non istituzionale, diciamo, ndr) ho buoni rapporti».

Su Fortezza Europa, in particolare, dice: «Andrea Bacciga è un collega avvocato che è stato eletto nella lista di Battiti… con queste persone condividiamo tutta una serie di valori, di impostazioni, di tematiche di un certo tipo: la famiglia, l’opposizione al gender, ed è chiaro che ci sono dei percorsi…». Quando gli faccio notare i richiami espliciti al Terzo Reich di Fortezza Europa, e quando gli chiedo dei suoi rapporti con l’integralismo cattolico, la sua risposta è sempre la stessa. E colpisce la contraddizione tra la retorica muscolare dell’estrema destra e una difesa obliqua ai limiti del pavido: «Al di là dei rapporti personali e umani che liberamente ho, i rapporti politici li baso sempre sul mio programma. L’ho costruito un anno prima delle elezioni, con i miei amici e con i miei collaboratori: l’ho scritto io. I miei rapporti istituzionali e politici li baso su quello che c’è li dentro».

«Chi vive il territorio», ci racconta Filippo Comencini, «respira lo stesso clima di un tempo, lo stesso senso di impunità e le stesse parole d’ordine che dieci anni fa, in qualche modo, crearono il contesto in cui Nicola Tommasoli venne ucciso. Allora, come oggi, c’erano tutte le premesse che portarono a quell’aggressione. Il timore è che ancora una volta sentiremo dire “Non fa storia, capita una volta su un milione”». Giovanni Zardini del Circolo Pink, che a Verona lavora per il diritti GLBT, conferma: «Sembra di essere tornati ai tempi bui di quindici anni fa, quando Verona era il laboratorio dell’estrema destra. Le scritte sui muri si sono moltiplicate e sono diventate molto più sfacciate. Quando il braccio politico e il “braccio armato” sono così vicini, c’è poco da star sicuri. Nel momento in cui il comune approva una mozione o patrocina un evento che si rivolge contro una determinata parte della città o di cittadine e cittadini ne scaturisce sempre qualcosa di reale. Sempre qualcosa di violento».