(Da "Il diritto di contare")

Stasera cinema?

Il nuovo film di King Kong e quello sulle tre donne afroamericane che diedero una gran mano alla NASA, soprattutto

(Da "Il diritto di contare")

Questa settimana escono l’ultimo film del giro degli Oscar – Il diritto di contare: candidato a tre premi ma che non ne ha vinto nemmeno uno – e arriva già il primo di quei film d’azione e d’avventura che di solito arrivano con l’estete: è Kong: Skull Island, dove oltre al grande scimmione ci sono dei grandissimi Strisciateschi. Escono anche La luce sugli oceani – che dopo che certi esperti di previsioni hanno passato due anni a dire che avrebbe potuto vincere qualche Oscar è uscito, e invece no – e il film on the road Il padre d’Italia. Se vi piacciono i film sulla boxe, si parla abbastanza bene anche di Bleed – Più forte del destino. 

Il diritto di contare

Era uno dei nove film candidati al premio Oscar per il Miglior film, poi vinto da Moonlight. È diretto da Theodore Melfi (il regista di St. Vincent, una commedia con Bill Murray) e racconta la vera storia di tre donne che lavorarono alla NASA, dando una grande mano dal punto di vista matematico, ingegneristico e della programmazione dei primissimi e complicatissimi computer della IBM. Le tre donne sono Katherine Johnson, Mary Jackson e Dorothy Vaughan, interpretate rispettivamente da Taraji P. Henson, Janelle Monáe e Octavia Spencer. Nel cast del film ci sono anche Kevin Costner, Kirsten Dunst e Jim Parsons. ll film è basato – con diverse libertà – su un libro che nella versione italiana è edito da HarperCollins. Il diritto di contare è un film con tre protagoniste (anche se Johnson lo è un po’ più delle altre) ed è stato apprezzato per la recitazione di quasi ogni suo personaggio e per la semplicità con cui racconta la sua storia. Per alcuni invece Il diritto di contare è un po’ grossolano, perché accentua ed esagera troppe cose, eliminando le sfumature.

Il diritto di contare è un film che parla anche molto di cosa voleva dire essere nera e donna negli Stati Uniti degli anni Sessanta, e lo fa raccontando la storia di tre donne che lavorano per la Nasa. Nel film ci sono anche molte cose che potrebbero piacere agli appassionati di Spazio e astronavi, in particolare in quel periodo (qualche anno prima dell’allunaggio) in cui si faceva ancora quasi tutto con gessetti, lavagne, fogli e matite. Un periodo raccontato anche dal film Uomini veri del 1983; la scena in cui le donne nere camminano nei corridoi per spostarsi da un ufficio all’altro è una chiara citazione di una scena di quel film e di altri successivi film in cui quel tipo di camminata – decisa e rallentata – è in genere fatto da astronauti: pensate ad Armageddon.

Kong: Skull Island

È il nuovo film su King Kong, il gorilla gigante originario della fittizia Isola del Teschio (“Skull Island” in inglese). È diretto da Jordan Vogt-Roberts (regista di serie tv e del film del 2013 The Kings of Summer) e nel cast ci sono Brie Larson – che lo scorso anno ha vinto l’Oscar come miglior attrice per Room – Tom Hiddleston, Samuel L. Jackson e John Goodman. Il film è un reboot della saga di King Kong: ne riprende le premesse (“esiste un gorilla gigante”) ma le rielabora in modo diverso. Kong: Skull Island è ambientato negli anni Settanta, quando un gruppo di esploratori, soldati e giornalisti visita un’isola appena scoperta nell’oceano Pacifico: l’Isola del Teschio. Lì trovano Kong, ma non solo.

Secondo i critici Kong: Skull Island è un buon film d’azione e d’avventura – dinamico, con qualche buona trovata e qualche bella battuta – ma niente di paragonabile al King Kong originale, uscito nel 1933. La sintesi delle recensioni fatta da Rotten Tomatoes è: «Offre scene bellissime da vedere, una solida recitazione, una storia dinamica. Kong: Skull Island si guadagna il suo posto nell’epica dei film sul mostro, senza mai però arrivare al livello dell’originale». Todd McCarthy ha scritto sullo Hollywood Reporter che «tutti gli elementi sono serviti con le giuste proporzioni, e guardando il film il tempo passa in un attimo, una cosa che si può dire raramente per film di questo tipo». Peter Bradshaw del Guardian ha invece dato al film una stella su cinque, scrivendo che il film «mischia male elementi di Jurassic Park, Apocalypse Now e persino un po’ di elementi visivi esotici di Miss Saigon». Nel film c’è anche un pezzetto di Pokémon: il regista ha detto che per fare Kong si è ispirato, tra le altre cose, a Cubone, lui:

La luce sugli oceani

È un film di cui si parla da qualche anno ed è stato messo per due anni di fila nelle liste dei film che si pensava avrebbero potuto giocarsi gli Oscar. È diretto da Derek Cianfrance (il regista di Come un tuono e Blue Valentine) ed è tratto da un libro: La luce sugli oceani, uscito in Italia nel 2012. I protagonisti sono Michael Fassbender e Alicia Vikander, che sono una coppia anche nella vita vera e che nel film interpretano due persone che dopo la Prima guerra mondiale trova un bambino su una barca che si è arenata sulla spiaggia davanti a casa loro. Decidono di crescerlo, ma da lì ci saranno dei problemi. Si è già capito che non è per niente un film da Oscar, e i critici lo stanno recensendo senza nessun entusiasmo.

La miglior recensione di La luce sugli oceani – di molto più entusiasta rispetto alla maggior parte delle altre è quella di David Ehrlich di IndieWire: ha scritto che il film è una «una panoramica ode all’assoluzione, raccontata con una così costante sincerità che non si può far altro che perdonare i suoi difetti». Roberto Nepoti di Repubblica ha invece scritto: «il film è convenzionale e noiosetto, infarcito di simbolismi di seconda mano; e, soprattutto, non ha molto da raccontare. Ne patisce il carisma delle star Alicia Vikander e Michael Fassbender (con una deroga per Rachel Weisz: lei farebbe piangere anche un orco)». Ultimamente non dice un gran bene a Fassbender: neanche Assassin’s Creed (uscito pochi mesi fa) era andato bene. C’è da vedere cosa si dirà del suo prossimo film: Alien: Covenant

Bleed – Più forte del destino

È un film di Ben Younger (il regista di Prime), basato sulla storia vera del pugile Vinny Paz, soprannome di Vincenzo Edward Pazienza. La sua storia è interessante, ma oggettivamente poco nota. OK che non è recente, ma siccome potreste volerla vedere senza sapere come va a finire, eviteremo di dirvelo. Come si capisce anche dal trailer è soprattutto la storia di come riprendersi da un grave incidente, e di un pugile dalla vita decisamente vivace. Paz è interpretato da Miles Teller, che si è fatto notare in Whiplash e negli ultimi anni ha recitato anche in Project X – Una festa che spacca, Divergent e Trafficanti. Si dice anche che si parlò di lui (e di Emma Watson) per i ruoli di La La Land che poi sono andati a Ryan Gosling ed Emma Stone.

Se siete di quelli che i film decidono se vederli in base alle recensioni, questo è considerato – in generale – un film peggiore rispetto a Il diritto di contare, migliore di La luce sugli oceani e più o meno al livello di Kong: Skull Island. Una recensione molto positiva: «Teller è strepitoso, e il film è un grande ritorno per il regista-sceneggiatore Ben Younger» (Peter Debruge, Variety). Una più negativa: «Ogni goccia di originalità di Bleed si perde in un mare di cliché e convenzioni cinematografiche» (David Ehrlich, IndieWire: lo stesso a cui è piaciuto La luce sugli oceani». Poi, certo, è da vedere se vi piacciono i film sulla boxe, che sono tantissimi. Uno non particolarmente celebrato è Ali, con Will Smith. Per quel film Smith si allenò con Darrell Foster (o storico allenatore di molti pugili, tra cui Sugar Ray Leonard).

Il padre d’Italia

È un film drammatico italiano, con Luca Marinelli e Isabella Ragonese. Il regista è Fabio Mollo, che nel 2013 ha diretto Il sud è niente, con Vinicio Marchioni e Valentina Lodovini. Il padre d’Italia parla di un uomo di 30 anni che incontra un donna al sesto mese di gravidanza. I due si mettono a fare un viaggio verso casa di lei. È quindi un film on the road su due che non si conoscono, e si conoscono viaggiando per l’Italia.

Paolo D’Agostini ha scritto su Repubblica: «Nel film non troverete un’esposizione di temi. Troverete due personaggi. Un uomo e una donna coetanei, su per giù trentenni. Non una narrazione lineare, tantomeno pedantemente esplicativa, ma molti salti che evitano il superfluo e conservano l’essenziale». Sulla Stampa, Alessandra Levantesi Kezich ha scritto che «non tutto torna nella sceneggiatura» ma che «certe fragilità del film appaiono funzionali a esprimere il disagio interno dei personaggi, così come il paesaggio vasto e immoto ne fa emergere l’equilibrio precario». Ha anche scritto che il film le ha un po’ ricordato Qualcosa di travolgente, un film del 1996 con Jeff Daniels e Melanie Griffith.

Oppure

Questa settimana sono usciti anche Yu-Gi-Oh! The dark side of dimensions (uno di quei film che se non sapete cos’è e che se non avete figli che lo sanno, non andrete mai a vedere), Gomorride (una presa in giro di Gomorra) e Autopsy, un horror con pochissimi personaggio, girato in pochissimi ambienti, tutto durante un’autopsia.