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  • Giovedì 13 ottobre 2016

In Australia sono d’accordo sui matrimoni gay, ma litigano lo stesso

Il primo ministro conservatore è favorevole ma vuole un referendum, i laburisti chiedono di approvare una legge e basta

Due sostenitori del matrimonio omosessuale, Sydney, 25 giugno 2016 (SAEED KHAN/AFP/Getty Images)
Due sostenitori del matrimonio omosessuale, Sydney, 25 giugno 2016 (SAEED KHAN/AFP/Getty Images)

Lo scorso settembre il primo ministro australiano Malcolm Turnbull aveva annunciato che il suo governo di coalizione, di orientamento conservatore, avrebbe organizzato un referendum non vincolante – “plebiscito”, come si chiama questo istituto in Australia – nel febbraio del 2017 per modificare la legge in vigore e consentire il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Turnbull e parte dei conservatori sono favorevoli ai matrimoni gay. Il referendum è stato bloccato due giorni fa dall’opposizione dei laburisti, ma non perché siano contrari ai matrimoni gay: chiedono che la legge sia approvata direttamente dal Parlamento, senza passare dal referendum.

L’Australia avere rapporti sessuali omosessuali è legale solo dal 1994 e il matrimonio tra persone dello stesso sesso è proibito dal 2004, quando l’allora primo ministro conservatore John Howard fece modificare l’Australian marriage act del 1961 correggendo la sua formulazione generica e autorizzando solo le unioni tra coppie eterosessuali, o meglio: definendo il matrimonio come «l’unione di un uomo e una donna con l’esclusione di tutti gli altri». L’Australian marriage act in origine non menzionava invece il genere degli sposi.

L’Economist cita una serie di sondaggi e dice che quasi due terzi dei cittadini e delle cittadine dell’Australia sono favorevoli alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali, e che solo il 6 per cento della popolazione intervistata è indeciso. Un altro recente sondaggio mostra però che solo il 39 per cento degli australiani è favorevole a seguire la strada del referendum. I principali argomenti contro questo iter hanno a che fare con i costi e con i rischi di scatenare reazioni omofobe e pregiudizi durante la campagna elettorale. Secondo alcuni, poi, il “plebiscito” non sarebbe lo strumento migliore per arrivare all’approvazione della legge: finora l’Australia ne ha organizzati solo tre, nel 1916, nel 1917 e nel 1977. Due non sono andati a buon fine; è stato approvato solo quello sull’inno nazionale. Warren Entsch, un parlamentare liberale favorevole alla modifica della legge sul matrimonio, pensa che «il 90 per cento o più» dei parlamentari voterebbe a favore di una modifica della legge dopo una vittoria al referendum; altri ritengono che questa percentuale sia invece eccessiva e dicono che molti parlamentari ignorerebbero il risultato del voto popolare.

Il leader dei laburisti Bill Shorten ha detto: «Perché una coppia dovrebbe avere bisogno di bussare alla porta di 15 milioni di cittadini per chiedere il consenso al suo matrimonio?». Diversi osservatori credono che a questo punto, dopo la richiesta dei laburisti di passare subito dal parlamento, l’approvazione del matrimonio gay sia stata per il momento compromessa, anche perché Turnbull deve fare i conti con la minoranza del suo partito contraria ai matrimoni gay e anche al referendum. Molti pensano che a questo punto l’approvazione dei matrimoni gay potrebbe essere rimandata a dopo le elezioni legislative del novembre 2019, che dovrebbero a quel punto portare gli stessi laburisti al governo perché la proposta passi subito. L’Economist dice che «i rancori politici hanno frenato il cambiamento» e il Guardian scrive che ora il primo ministro australiano, favorevole al matrimonio omosessuale, si trova in una situazione di stallo, bloccato tra i favorevoli e i conservatori del suo stesso partito che, senza il pretesto o la spinta del voto popolare, potrebbero non far approvare una nuova legge.