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  • Lunedì 18 luglio 2016

Chi è un terrorista? E chi no?

Dopo la strage di Nizza, il New York Times prova a riflettere sul tentativo di distinguere tra terroristi e singoli individui che "si ispirano" a loro

Poliziotti e agenti della polizia scientifica intorno al camion usato per la strage di Nizza, Francia (ANNE-CHRISTINE POUJOULAT/AFP/Getty Images)
Poliziotti e agenti della polizia scientifica intorno al camion usato per la strage di Nizza, Francia (ANNE-CHRISTINE POUJOULAT/AFP/Getty Images)

Sabato 16 luglio, lo Stato Islamico (ISIS) ha rivendicato l’attentato di Nizza, dove il 14 luglio un uomo ha investito con un camion la folla che festeggiava il giorno della presa della Bastiglia, uccidendo 84 persone e ferendone almeno 200. La rivendicazione è stata diffusa da Amaq Agency, una sorta di agenzia di notizie non ufficiale dell’ISIS, ma per ora non sono stati trovati particolari indizi sull’eventuale organizzazione diretta dell’attentato da parte del gruppo terroristico, né che Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, il franco-tunisino di 31 anni autore dell’attacco ucciso durante uno scontro con la polizia, fosse in contatto diretto con qualcuno dello Stato Islamico. In molti si chiedono quindi se Bouhlel fosse un terrorista nel senso con cui siamo abituati a usare quel termine o un folle, che si è semplicemente ispirato ai sistemi e alla propaganda del gruppo islamico di cui si parla di più da un paio di anni.

Facendo riferimento anche al recente caso della strage di Orlando, in Florida, un articolo del New York Times prova a riflettere sul tentativo di distinguere tra terrorismo e azioni di singole persone con problemi di altro tipo e ispirate indirettamente da organizzazioni e gruppi terroristici. Daniel Benjamin, ex funzionario del dipartimento di Stato americano, ha spiegato al giornale che: “Lo Stato Islamico e lo jihadismo sono diventati una specie di rifugio per alcune persone mentalmente instabili che, raggiunto il limite, decidono di riscattare le loro vite” morendo nel nome di una causa. I media e gli stessi governi tendono quindi a trattare attacchi di massa come quello di Nizza in modo diverso rispetto a una sparatoria condotta da non musulmani: “Se c’è un’uccisione di massa e ci sono musulmani coinvolti, si parla da subito di terrorismo”.

L’influenza indiretta su singoli individui, che decidono di condurre un attacco, sta portando di fatto ad allargare la definizione di terrorismo, rendendola più sfumata e non sempre legata a una precisa agenda politica. I casi più recenti di attacchi realizzati da persone ispirate dallo Stato Islamico lo confermano: San Bernardino in California, lo scorso dicembre; Orlando in Florida il mese scorso; l’uccisione degli ostaggi nel ristorante di Dacca in Bangladesh a inizio mese e infine il caso di Nizza dello scorso 14 luglio. Iniziative a quanto pare finora condotte da singole persone e in modo piuttosto autonomo, a differenza degli attacchi coordinati del novembre scorso a Parigi e di quelli di Bruxelles di marzo.

Nel settembre del 2014, del resto, uno dei portavoce dello Stato Islamico aveva invitato tutti i suoi militanti ad attaccare l’Occidente in qualsiasi modo possibile, e di farlo autonomamente senza attendere istruzioni o piani precisi da parte dell’ISIS: “Spaccategli la testa con un sasso, sgozzateli con un coltello, investiteli con la vostra automobile, buttateli da un posto in alto, soffocateli o avvelenateli”. Non è chiaro quanto quel discorso molto aggressivo pronunciato quasi due anni fa abbia influito sulle strategie del gruppo terroristico, ma è comunque evidente che ci sono persone disposte a seguire “la causa” autonomamente, senza ordini diretti.

Per i governi, spiega sempre il New York Times, ricondurre l’origine degli attacchi che coinvolgono persone musulmane all’ISIS è comunque importante: “È un modo per dare la sensazione di ordine nel caos, per rassicurare i cittadini preoccupati e confermare che c’è una strategia per mettere fine a queste violenze. Per esempio, nei giorni dopo l’attacco a Nizza, le autorità francesi si sono impegnate ad aumentare le risorse che il paese destina ai bombardamenti contro lo Stato Islamico in Siria e in Iraq”. Il problema è che finora le attività militari contro l’ISIS, condotte da una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, e su altri fronti da iniziative della Russia, non hanno portato a particolari risultati nel contrastare il terrorismo.

Secondo il governo degli Stati Uniti, grazie ai recenti bombardamenti l’ISIS ha perso il 47 per cento del territorio che controllava in Iraq e il 20 per cento di quello che controllava in Siria. Aree importanti e strategiche, sia per l’estrazione del petrolio sia per l’ottenimento di altro denaro, tramite la tassazione della popolazione, per finanziare le attività del gruppo. Le minori risorse non hanno però portato, al momento, a differenze significative sul piano del terrorismo internazionale: per quanto possa essere efficace una campagna in Siria e Iraq, ci sono evidenti limiti sulla sua capacità di ridurre le violenze ispirate dall’ISIS fuori dai due paesi.

La settimana scorsa il direttore del Centro nazionale dell’antiterrorismo degli Stati Uniti, Nicholas J. Rasmussen, ha confermato al Congresso che finora gli attacchi contro l’ISIS in Siria e in Iraq “non hanno ridotto significativamente” la capacità del gruppo di condurre attacchi all’estero: “Sia singoli individui o piccoli gruppi continuano a sfruttare strategie molto semplici, che non richiedono capacità avanzate o esercitazioni”. L’episodio di Nizza sembra confermare questa circostanza: Bouhlel ha affittato un camion e lo ha guidato a grande velocità sulla folla, uccidendo in pochi minuti decine di persone; con sé aveva solo una pistola e a quanto è emerso finora dalle indagini non aveva ricevuto nessuna preparazione particolare.

Anche se non sono organizzati secondo i classici canoni del terrorismo, attacchi di questo tipo contribuiscono a diffondere timori e paure tra la popolazione, seguendo uno schema tipico promosso dalle organizzazioni terroristiche. Ogni attacco finisce rapidamente sui social network, con foto e video di grande impatto e non filtrati dalle agenzie di stampa (nel caso di Nizza sono circolate immagini durissime e impressionanti), che si diffondono rapidamente e contribuiscono ad aumentare le preoccupazioni tra la popolazione. Davanti alla portata e alle devastazioni causate dagli attacchi, poco importa per le popolazioni che li subiscono o che li vedono sui loro schermi se questi sono stati organizzati direttamente dall’ISIS o da singoli individui, che ne emulano le strategie.

Non è ancora chiaro agli analisti e ai governi quale possa essere il modo più efficace per tranquillizzare la popolazione, quando si verificano attacchi come quelli di Nizza, Dacca, Orlando, Bruxelles o Parigi. Davanti ai comprensibili timori che ci possano essere nuovi attacchi, i governi hanno pochi strumenti per rassicurare i loro cittadini: provano ad apparire duri e determinati, intensificano i controlli e annunciano rappresaglie, ma non hanno per ora gli strumenti per dare una risposta efficace. Questo senso di impotenza è percepito dalla popolazione e va spesso a vantaggio dei partiti di opposizione più estremisti e populisti, che sfruttano la situazione per accrescere il loro consenso, aggiungendo ulteriori incertezze.