• Mondo
  • Venerdì 1 luglio 2016

C’è tutto un mondo negli “stan”

Sono i paesi dell'Asia centrale, conosciuti per i loro regimi autoritari e leader bizzarri, e ultimamente anche per nuove importanti ragioni

Nomadi kazaki fotografati nella provincia cinese dello Xinjiang, nel 2012 (STR/AFP/Getty Images)
Nomadi kazaki fotografati nella provincia cinese dello Xinjiang, nel 2012 (STR/AFP/Getty Images)

L’Asia centrale è una regione del mondo che in pochi conoscono davvero, nonostante in passato sia stata un’importante via di passaggio tra Oriente e Occidente: per esempio la celebre Via della Seta – il reticolo di circa 8mila chilometri che si sviluppava tra l’impero cinese e quello romano – passava anche da lì, e una delle città sulle vie carovaniere era Samarcanda, il cui nome conosciamo anche in Italia per la famosa canzone di Roberto Vecchioni. I paesi che fanno parte dell’Asia centrale vengono spesso indicati con l’espressione “stan”, perché così finisce il loro nome: Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kirghizistan e Tagikistan (anche Afghanistan e Pakistan finiscono per stan, ma non sono considerati paesi dell’Asia centrale). Gli “stan” hanno diverse cose in comune: per esempio fino alla fine del 1991 facevano parte dell’Unione Sovietica, che è il motivo per cui ancora oggi l’influenza russa da quelle parti rimane molto forte. E poi sono governati da regimi autoritari e sono paesi a maggioranza islamica. Ma non significa che negli ultimi 25 anni gli stan siano riusciti a sviluppare una grande cooperazione reciproca. Un ex ministro del Kirghizistan ha detto: «C’è zero armonizzazione tra noi».

Nonostante la difficoltà iniziale a distinguere uno stan da un altro, l’Asia centrale è una delle regioni più curiose al mondo. Alle sue città spesso definite “capitali del trash” e alle imprevedibili stravaganze dei suoi dittatori, negli ultimi anni si sono aggiunti altri motivi di interesse, un po’ più seri: per esempio gli stan sono tornati a essere una zona contesa dalle grandi potenze straniere, come già era avvenuto in passato, e sono diventati il punto di partenza di molti estremisti islamici che sono andati in Siria a combattere con lo Stato Islamico (o ISIS). L’ultima notizia è di giovedì: il governo turco ha detto che dei tre attentatori che si sono fatti esplodere martedì all’aeroporto internazionale di Istanbul uno era kirghizo e un altro uzbeko.

Il nuovo “Grande Gioco”
Ormai da diversi anni si sente parlare del nuovo “Grande Gioco” in riferimento all’Asia centrale: è un’espressione che non indica nulla di ludico, ma si riferisce alla competizione di potenze esterne per imporre la propria influenza sugli stan. Si dice “nuovo” perché ce ne fu un altro, molto più intenso e risalente al Diciannovesimo secolo, quando gli imperi britannico e russo usarono le loro diplomazie e i loro servizi segreti per imporsi in questa zona di mondo. L’espressione “Grande Gioco” è oggi attribuita all’ufficiale dell’esercito britannico Arthur Conolly: si pensa che fu lui il primo a utilizzarla, nel 1829. Oggi il Grande Gioco coinvolge potenze diverse da quelle di allora, chiaramente: ci sono la Russia, l’Occidente (Europa e Stati Uniti) e la Cina.

La Russia è il paese che continua a esercitare l’influenza maggiore in tutti gli stan: per esempio il russo è rimasto la lingua franca dell’area e quattro degli attuali cinque dittatori centroasiatici hanno avuto un passato in qualche modo legato al Partito comunista sovietico. Di recente la Russia ha invitato gli stan a unirsi all’Unione economica eurasiatica, (UEE), un’unione economica che doveva essere la risposta russa all’Unione Europea (però si sono uniti alla UEE solo Kazakistan e Kirghizistan). Da parte sua, l’Occidente sta cercando di tirare dalla sua parte gli stan, ma con molte difficoltà vista l’ampia influenza russa. Il paese che più si è aperto è stato il Kazakistan, il cui presidente Nursultan Nazarbaev ha incoraggiato gli studenti a imparare l’inglese e ha permesso di gestire un nuovo hub finanziario secondo le leggi inglesi.

Nursultan Nazarbayev

Il presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, e il principe Filippo, duca di Edimburgo, a Buckingham Palace, Londra, 4 novembre 2015 (Stefan Wermuth – WPA Pool Getty Images)

Oltre alla Russia c’è la Cina, che usa soprattutto ingenti investimenti e progetti infrastrutturali per imporre la propria influenza nell’area (che è anche un tratto tipico della Cina altrove nel mondo). Negli ultimi anni il governo cinese ha cominciato a impegnare fondi ed energie nella costruzione di una “nuova Via della Seta”, che come dice il nome è una riproposizione in chiave contemporanea di quel reticolo lungo 8mila chilometri che collegava l’impero cinese a quello romano. La rivisitazione in chiave contemporanea significa questo: in aprile Cosco, una società navale cinese, ha ottenuto il 67 per cento delle azioni della società che gestiva il porto del Pireo, il secondo più grande della Grecia; dal porto altre società cinesi stanno costruendo una linea ferroviaria ad alta velocità che colleghi Atene all’Ungheria e magari anche alla Germania; e intanto quattro stan si sono uniti all’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione, un organismo intergovernativo promosso dalla Cina. In pratica il governo cinese sta cercando di riattivare alcuni punti della vecchia Via della Seta, per stimolare soprattutto i rapporti economici tra gli stati coinvolti.

Il problema dell’estremismo islamico
Negli ultimi anni i governi autoritari degli stan hanno cercato di limitare la diffusione dell’Islam, che considerano un fattore destabilizzante per le loro leadership. Un caso curioso di cui si era parlato a gennaio riguardava il Tagikistan: il governo aveva vietato tra le altre cose di portare la barba, erano state introdotte delle restrizioni alle importazioni del hijab (il velo usato dalle donne che copre solo la testa) e si era cercato di eliminare i nomi considerati “troppo arabi”. Aveva anche messo al bando l’unico partito politico islamista che era ancora ufficialmente riconosciuto e aveva detto di temere eventuali attentati terroristici, che per esempio si erano verificati nel vicino Xinjiang, la provincia occidentale della Cina a maggioranza musulmana.

Emomali Rakhmon

Il presidente russo Vladimir Putin (a destra) insieme al presidente tagiko Emomali Rakhmon vicino a Mosca, l’1 agosto 2013 (MAXIM SHEMETOV/AFP/Getty Images)

L’Economist ha scritto che negli ultimi anni un numero sempre maggiore di giovani è stato attratto dall’Islam, a volte anche nelle sue forme più estremiste. All’inizio di giugno ad Aktobe, una città nel nord-ovest del Kazakistan, sono state uccise 25 persone in un attacco islamista. Negli ultimi anni diversi combattenti – non si sa precisamente quanti, ma alcune stime parlano di 4mila persone – sono andati in Siria e in Iraq a combattere con lo Stato Islamico. Human Rights Watch ha detto che in Uzbekistan ci sono fino a 12mila prigionieri politici, molti dei quali sono diventati islamisti una volta in carcere. I kazaki e i kirghizi, con le loro origini nomadi, sembrano essere meno attratti dall’ideologia dello Stato Islamico, ma entrambi gli stati hanno perso centinaia di uomini in Iraq e in Siria. Sempre l’Economist ha scritto: «L’islamismo violento può avere un fascino limitato, ma più ferocemente è repressa la versione non violenta dell’Islam, più attraente sembra diventare il jihad degli estremisti».

Come va il resto (non bene)
Il Kazakistan, il paese più ricco tra i cinque, sta attraversando un momento molto difficile per il crollo del prezzo del petrolio, una risorsa fondamentale per l’economia nazionale. Il malcontento della popolazione è aumentato anche a causa della diffusissima corruzione: sono aumentate le manifestazioni contro il governo, il quale ha reagito riducendo ancora di più le libertà fondamentali di associazione e di espressione. Altrove le cose non vanno meglio. In Uzbekistan governa dal 1990 Islam Karimov, il più paranoico tra i cinque leader degli stan e uno dei più dittatoriali: per esempio alle “elezioni” del 2015 uno degli altri candidati a diventare presidente paragonò Karimov a Tamerlano, il grande conquistatore del Quindicesimo secolo che in Uzbekistan è visto come un eroe nazionale. Ed è andata bene, visto che alle “elezioni” del 2000 l’unico altro candidato disse di avere votato per Karimov.

Islam Karimov

Il presidente uzbeko Islam Karimov a Mosca, il 26 aprile 2016 (SERGEI KARPUKHIN/AFP/Getty Images)

In Tagikistan lo scorso mese è stata emendata la Costituzione: con il 97 per cento dei consensi, è stata abbassata l’età media per essere presidente a 30 anni, permettendo al figlio del presidente Emomali Rahmon – Rustam, 28 anni – di essere eletto tra due anni. Oggi Rustam è a capo della commissione anti-corruzione del Tagikistan (è tutto vero). Il Kirghizistan sembra essere il paese più libero, tra tutti, ma negli ultimi mesi il presidente Almazbek Atambayev ha preso decisioni sempre più autoritarie, come l’arresto di alcuni politici con l’accusa di volere organizzare dei colpi di stato contro di lui.