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  • Venerdì 27 maggio 2016

Volete leggere un articolo sull’Azerbaijan?

È un paese interessante di cui si parla poco: è governato da una specie di dittatore in buoni rapporti con l'Occidente, perché ci è utile

Il presidente azero Ilham Aliyev (ARIF HUDAVERDI YAMAN/AFP/Getty Images)
Il presidente azero Ilham Aliyev (ARIF HUDAVERDI YAMAN/AFP/Getty Images)

Il terzo weekend di giugno i piloti di Formula 1 correranno per la prima volta sul circuito cittadino di Baku, la capitale dell’Azerbaijan. Il circuito è stato disegnato da Hermann Tilke, architetto tedesco famoso per avere progettato diversi circuiti automobilistici. La corsa attraverserà la città: passerà vicino alla costa che dà sul Mar Caspio, una zona ricca di petrolio e sfruttata da tempo dal governo azero; e affiancherà alcuni degli alberghi a cinque stelle e negozi di lusso del centro. Il circuito di Baku, ha scritto l’Economist, è un «progetto che soddisfa perfettamente la vanità dell’Azerbaijan»: non si parla solo di un investimento economico importante, ma anche di un tentativo del governo di migliorare la sua reputazione. Perché l’Azerbaijan è oggi un paese con «un’economia traballante, un sistema politico oppressivo e un conflitto a bassa intensità ancora aperto con l’Armenia»: il suo governo, controllato da più di vent’anni dalla stessa famiglia, è accusato sempre più spesso di limitare la libertà di stampa e reprimere le opposizioni. Ma nonostante lo scarso rispetto dei principi democratici, l’Azerbaijan continua a essere un importante alleato dell’Occidente: c’entrano motivi economici, ma anche il terrorismo e la Russia.

I guai dell’economia azera e la famiglia Aliyav
L’Azerbaijan è uno di quei paesi che negli ultimi 10-15 anni si sono arricchiti sfruttando ed esportando le risorse energetiche, gas e petrolio; ma è anche uno di quelli in cui la democrazia non ha avuto grande presa. Dal 1993 è governato dalla stessa famiglia, gli Aliyev – prima il padre Heydar e poi il figlio Ilham – e da allora è cambiato moltissimo: si è trasformato da ex repubblica sovietica quasi fallita a «un’economia petrolifera ricca e corrotta» (parole dell’Economist).

Negli ultimi anni Baku ha ospitato altri due grandi eventi internazionali, che hanno attirato parecchie attenzioni mediatiche. Nel 2012 ha organizzato l’Eurovision Song Contest, o Eurofestival, un famoso festival musicale molto kitsch che è visto da più di 100 milioni di persone in tutta Europa. Quell’edizione – che fu vinta dalla cantante svedese Loreen con la canzone “Euphoria” – fu descritta come una delle più “politiche” mai organizzate: nelle settimane precedenti c’erano state molte manifestazioni contro il governo di Ilham Aliyev, che tre anni prima aveva annullato il limite dei due mandati presidenziali per essere rieletto la terza volta (le elezioni furono definite “elezioni farsa” da molti attivisti). Nel 2014 Baku ospitò invece i Giochi Europei, una specie di Olimpiadi a cui partecipano solo i paesi europei.

Dal 2014 le cose sono cominciate ad andare meno bene: con il crollo del prezzo del petrolio le entrate dello Stato sono diminuite; lo scorso anno la moneta è stata svalutata due volte e la crescita dell’inflazione ha raggiunto la doppia cifra. Alla crisi ha contribuito anche la complicata situazione dell’economia russa, paese che confina con l’Azerbaijan. Infine alcuni degli investimenti precedenti tanto celebrati, come quello del circuito automobilistico di Baku, hanno cominciato a essere messi in discussione.

La repressione contro avversari politici e giornalisti
I guai dell’Azerbaijan non sono legati solo all’economia. Negli ultimi anni il presidente Ilham Aliyev ha rafforzato il suo potere e ha cominciato ad arrestare i suoi avversari politici e i giornalisti critici col suo governo. A settembre il Parlamento dell’Unione Europea ha approvato una risoluzione che accusa l’Azerbaijan di violare i diritti umani e lo stato di diritto: per esempio dice che «ai manifestanti pacifici è stato vietato di protestare nel centro di Baku dal 2006» e che i giornalisti sono oggetto «di continue intimidazioni e attacchi». Una delle storie più note di giornalisti presi di mira dal governo azero è quella di Emin Huseynov, attivista ed ex presidente dell’Institute for Reporters’ Freedom and Safety, un’organizzazione non governativa che si occupa di libertà di stampa. Huseynov ha raccontato un pezzo della sua storia in un articolo su Foreign Policy pubblicato nel marzo 2016:

«Conosco personalmente la brutalità del regime di Aliyev. Come giornalista e attivista dei diritti umani in Azerbaijan, e come direttore dell’Institute for Repoters’ Freedom and Safety – l’organizzazione più importante del paese che si occupa dei diritti dei giornalisti – sono stato preso di mira ripetutamente; sono stato picchiato in maniera così violenta dalla polizia che ho perso in modo permanente parte dell’udito e ho altri problemi fisici. Nel 2014 sono stato costretto a nascondermi quando le autorità hanno arrestato i miei colleghi e hanno perquisito illegalmente e chiuso l’ufficio dell’istituto. L’Ambasciata svizzera mi ha dato rifugio per quelli che sono stati i dieci mesi più lunghi della mia vita, fino a che non mi è stato permesso di lasciare il paese, scortato dal ministro degli Esteri svizzero, nel giugno 2015»

A Baku il governo ha fatto chiudere gli uffici di diverse organizzazioni finanziate dagli Stati Uniti che promuovono la democrazia. L’amministrazione di Barack Obama, comunque, è stata meno dura dell’Europa nei confronti dell’autoritarismo di Aliyev e finora i rapporti tra i due paesi non hanno subìto particolari colpi. Obama aveva ereditato le buone relazioni con il governo azero dall’amministrazione Repubblicana di George W. Bush, che dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 aveva bisogno di collaborare con i paesi della zona per poter operare nel non lontano Afghanistan, sede di al Qaida.

Aliyev KerryIl segretario di stato americano John Kerry (destra) con il presidente azero Ilham Aliyev a Vienna, il 16 maggio 2016 (LEONHARD FOEGER/AFP/Getty Images)

Perché l’Occidente tollera l’autoritarismo del presidente azero?
Ci sono tre ragioni per le quali l’amministrazione di Obama non ha raffreddato più di tanto i rapporti con l’Azerbaijan, nonostante le violazioni dei diritti umani e tutto il resto. La prima riguarda il petrolio. Diverse aziende americane hanno investito nello sfruttamento dell’energia del Mar Caspio, ma l’interesse statunitense non è solo economico: rotte commerciali stabili contribuiscono a diminuire la dipendenza dell’Europa dal gas russo, una questione di cui si era parlato parecchio anche durante l’aggressione della Russia in Ucraina orientale.

La seconda ragione riguarda più direttamente i rapporti tra Azerbaijan e Russia. Per la maggior parte della sua storia post-sovietica, l’Azerbaijan è stato amico un po’ della Russia e un po’ dell’Occidente. Da quando Vladimir Putin è stato eletto presidente (cioè nel 1999, la prima volta), gli scambi commerciali tra Azerbaijan e Russia sono aumentati e il governo azero ha parlato spesso della necessità di non discriminare la comunità russa che abita ancora in Azerbaijan. In realtà, a parte gli annunci e le normali relazioni commerciali, i rapporti tra i due paesi sono tesi da tempo, soprattutto per il sostegno russo all’Armenia nel conflitto tra armeni e azeri per il controllo del Nagorno Karabakh (la questione è spiegata qui). La cosa che sembra preoccupare di più l’Azerbaijan è l’aggressività russa fuori dai suoi confini nazionali: per esempio nel 2008 la Russia fece una guerra contro la Georgia – paese che confina a nord-ovest con l’Azerbaijan – per il controllo dell’Ossezia del sud, una regione autonoma della Georgia che da allora è di fatto annessa al territorio russo. Più di recente la Russia ha annesso la Crimea, regione dell’Ucraina che dà sul mar Nero.

Entrambi gli episodi fanno temere al governo azero che la Russia pensi di poter fare quello che vuole nei territori che facevano parte dell’Unione Sovietica e che hanno raggiunto l’indipendenza all’inizio degli anni Novanta. Da questo punto di vista, l’Occidente ha interesse che l’Azerbaijan non finisca sotto il controllo della Russia, come per esempio è successo all’Armenia: per farlo il governo americano è disposto a chiudere un occhio sulle continue violazioni dei principi democratici da parte del regime di Aliyev.

Aliyev PutinIl presidente russo Vladimir Putin (destra) e il presidente azero Ilham Aliyev a Baku, Azerbaijan, il 13 agosto 2013 (MIKHAIL KLIMENTYEV/AFP/Getty Images)

La terza ragione riguarda invece la lotta al terrorismo. Dagli attentati dell’11 settembre 2001, l’Azerbaijan ha cooperato con gli Stati Uniti nelle operazioni antiterrorismo contro al Qaida. Nel 2003 i soldati americani andarono in Iraq e destituirono nel giro di pochi giorni l’ex presidente Saddam Hussein. Molti alleati degli americani – sia in Europa che in Medio Oriente – si opposero all’operazione, ma non l’Azerbaijan: dal territorio azero passò più di un terzo di carburante, cibo e vestiti usati dai militari americani in Afghanistan. La collaborazione anti-terrorismo sta continuando anche oggi: l’Azerbaijan è l’unico governo del Caucaso impegnato insieme all’Occidente per limitare l’influenza dello Stato Islamico (o ISIS).

Nonostante l’alleanza tra regime azero e Occidente per il momento regga, in futuro le cose potrebbero anche cambiare. L’Unione Europea è diventata sempre più critica verso le violazioni dei diritti umani e la repressione di giornalisti e oppositori azeri, anche se non si sono ancora verificate rotture o prese di posizione significative; mentre gli Stati Uniti stanno pagando anni di disimpegno militare. Già durante la guerra tra Russia e Georgia, in molti nel Caucaso si aspettavano un intervento degli Stati Uniti in difesa dell’integrità territoriale georgiana, ma così non successe. Le preoccupazioni sono aumentate con la crisi in Ucraina orientale: la Russia ha annesso prima la Crimea, e poi ha sostenuto i ribelli separatisti nelle regioni orientali senza che l’Occidente reagisse. L’Azerbaijan, come altri paesi del Caucaso e del Medio Oriente, comincia a fidarsi sempre meno degli americani e potrebbe cercare soluzioni da altre parti.