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  • Venerdì 13 maggio 2016

La Russia ha imbrogliato a Sochi?

L’ex capo del laboratorio antidoping di Mosca ha fatto nuove e incredibili rivelazioni sull'uso di doping durante le Olimpiadi invernali del 2014

L'ingresso di un laboratorio anti doping alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014 (Adam Pretty/Getty Images)
L'ingresso di un laboratorio anti doping alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014 (Adam Pretty/Getty Images)

Appena sette mesi dopo la pubblicazione dell’indagine della WADA (l’agenzia mondiale antidoping) sull’uso sistematico di sostanze dopanti fra gli atleti russi della federazione di atletica leggera, che portò all’esclusione temporanea della Russia da tutte le gare ufficiali e alla chiusura dei laboratori antidoping russi, circolano da giorni altre gravi accuse nei confronti della Russia, e questa volta riguardano le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014. Se queste accuse dovessero essere confermate dall’inchiesta già annunciata dalla WADA, si tratterebbe di uno dei sistemi più elaborati mai creati per l’elusione di controlli antidoping e potrebbe sancire la definitiva esclusione della squadra russa dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Come per la prima inchiesta, partita nel dicembre del 2014 da un documentario trasmesso dal canale tedesco ADR, che raccontò – attraverso la storia di Vitaliy Stepanov e Yulia Stepanova, un ex dipendente dell’agenzia antidoping russa e un’ex atleta – il vasto e regolare uso di doping fra gli atleti russi e i sistemi usati per coprire le loro azioni, anche le ultime accuse sono partite dopo la messa in onda di due inchieste televisive. Lo scorso 8 maggio il programma “60 minutes” della CBS ha intervistato Vitaliy Stepanov e Yulia Stepanova, le stesse persone sentite dalla ADR nel 2014, che hanno detto di aver parlato con Grigory Rodchenkov, uno dei più importanti membri dell’agenzia antidoping russa, che gli ha spiegato nei dettagli i sistemi usati dagli impiegati dei laboratori antidoping durante le Olimpiadi di Sochi per sostituire tutti i campioni di urina degli atleti dopati. Rodchenkov non è stato intervistato durante la trasmissione, ma i giornalisti della CBS hanno potuto sentire la registrazione della conversazione tra Stepanov e Rodchenkov.

Un quadro più dettagliato dei sistemi usati dalla Russia per creare sostanze dopanti e per coprirne l’uso dei propri atleti è contenuto inoltre in un documentario realizzato dal regista e produttore americano Bryan Fogel, che uscirà a settembre con il titolo Icarus. Le rivelazioni più importanti contenute nel documentario circolano da giovedì.

Il ruolo di Rodchenkov

Grigory Rodchenkov era fino a pochi mesi fa il direttore del laboratorio antidoping di Mosca e una delle figure principali del sistema di coperture rivelate nel 2014. Si era dimesso subito dopo la pubblicazione della prima inchiesta della WADA, quando era stato accusato di aver distrutto 1.417 campioni di test antidoping per sottrarli alle indagini e di aver chiesto soldi agli atleti per garantire loro una copertura. Rodchenkov era ritenuto una delle figure fondamentali per l’antidoping russo, nonché ideatore del sistema usato dagli atleti per doparsi in condizioni di relativa sicurezza, e secondo dirette istruzioni del governo russo.

Durante le Olimpiadi invernali di Sochi, fortemente volute dalla Russia, Rodchenkov fu il direttore dei laboratori antidoping da cui passarono tutti i test degli atleti. Secondo quanto riportato in un lungo articolo del New York Times, Rodchenkov ha detto di aver sviluppato nel corso degli anni un “cocktail di sostanze dopanti” contenente tre diverse sostanze mescolate con del liquore, che avrebbe permesso agli atleti di non risultare positivi nei controlli. Dice che fu il ministero dello Sport a ordinargli di svilupparlo: ci mise diversi anni ad arrivare alla formula giusta, utilizzata a partire dalle Olimpiadi di Londra del 2012, anche se fino al 2014 gli atleti russi sono risultati spesso positivi a sostanze proibite. La Russia nel 2014 è stata il paese con più casi di doping al mondo.

Il cocktail inventato da Rodchenkov conteneva metenolone, trenbolone e oxandrolone, tre steroidi anabolizzanti (il trenbolone, in particolare, viene usato principalmente dai veterinari per aumentare il tono muscolare e l’appetito degli animali). Queste tre sostanze venivano poi mischiate con dei liquori per velocizzarne l’assorbimento: del whiskey Chivas per gli uomini e del vermouth Martini per le donne. La formula esatta prevedeva un milligrammo di miscela di steroidi per ogni millilitro di alcol. Agli atleti, poi, veniva detto di tenere il liquido in bocca per qualche secondo, per poterlo assorbire meglio.

A Sochi la Russia ha ottenuto la prima posizione nel medagliere, con 33 medaglie complessive, di cui 13 d’oro. Alle precedenti Olimpiadi invernali la squadra russa si era classificata undicesima con un totale di 15 medaglie. Rodchenkov dice che almeno un terzo di quelle 33 medaglie è stato ottenuto da atleti dopati. Anche molti di quelli che non hanno raggiunto il podio nelle proprie gare avrebbero fatto uso di doping: l’intera squadra di hockey femminile per esempio, classificatasi al sesto posto, avrebbe assunto sostanze proibite.

Lo scambio dei campioni di urina

Ma la rivelazione che potrebbe aggravare ancora di più la situazione della Russia è quella che riguarda i sistemi usati a Sochi per sostituire centinaia di campioni di urina prelevati dagli atleti. Secondo Rodchenkov l’elaborazione del piano per sostituire i campioni iniziò nell’autunno del 2013, quando un agente del FSB, il servizio di intelligence russo, cominciò a presentarsi frequentemente al laboratorio di Rodchenkov, facendo particolare attenzione alle boccette che avrebbero dovuto contenere l’urina degli atleti. L’articolo del New York Times riporta le parole di un impiegato del laboratorio, rimasto anonimo, che spiega che a un certo punto fu comunicato ai membri del laboratorio che quella persona, identificata poi da Rodchenkov come membro del FSB, era lì per “proteggere il laboratorio” e avrebbe posto alcune domande sulle boccette. A quel punto gli impiegati si resero subito conto del perché si trovasse lì: per studiare un modo per aprire e chiudere le boccette senza danneggiare l’anello che sigillava il tappo.

Per le più importanti manifestazioni di atletica, tutti gli atleti devono consegnare due campioni di urina: il campione “A” viene analizzato subito mentre il “B” viene conservato per 10 anni, per potervi accedere in presenza di dubbi sulla positività di un atleta a una o più sostanze dopanti. Secondo Rodchenkov, prima dell’inizio delle Olimpiadi di Sochi l’FSB riuscì a trovare un sistema per chiudere le boccette anche dopo averle riaperte. Rodchenkov non ha saputo spiegare come ci riuscirono ma ha detto che l’agente del FSB un giorno si presentò davanti a lui con una boccetta chiusa perfettamente dopo essere stata riaperta, e con il sigillo intatto.

Lo scambio dei campioni avveniva di notte attraverso un buco nella parte bassa del muro del laboratorio antidoping di Sochi, nascosto durante il giorno da un mobile di legno. Il foro circolare sul muro rendeva possibile lo scambio delle provette contraffatte da un “laboratorio ombra” alla stanza in cui erano conservati tutti i campioni originali. Ogni notte Rodchenkov avrebbe ricevuto una lista degli atleti a cui si sarebbero dovuti scambiare i campioni direttamente da alcuni funzionari del ministero dello Sport. Per individuare i campioni corretti, che non riportano il nome degli atleti ma solo un numero a sette cifre, gli atleti avrebbero fotografato la loro boccetta prima di consegnarla ai laboratori, e inviato l’immagine ad alcuni funzionari del ministero dello Sport.

Rodchenkov ritiene che a Sochi siano stati sostituiti un centinaio di campioni. Nessun atleta russo è poi risultato positivo e nessuna medaglia è stata revocata.

La fuga di Rodchenkov e la morte di due colleghi

Dopo la pubblicazione della prima inchiesta, Rodchenkov sostiene di essere stato costretto dalle autorità russe a dimettersi, cosa che effettivamente avvenne in breve tempo. Temendo per la sua incolumità si trasferì a Los Angeles grazie all’aiuto di Fogel.

Lo scorso febbraio sono morti due colleghi dell’antidoping a cui Rodchenkov era molto vicino: Nikita Kamayev è morto il 15 febbraio a causa di un attacco di cuore, anche se un suo collega disse che Kamayev non aveva mai detto di soffrire di quel tipo di problemi. Dodici giorni prima, il 3 febbraio, era morto Vyacheslav Sinev, uno dei fondatori dell’agenzia antidoping russa, nota con la sigla RUSADA. La morte di Sinev è stata comunicata direttamente dalla RUSADA, che però non ne ha specificato le cause.

Le reazioni della Russia e della WADA

Il New York Times ha inviato delle domande riguardo alle ultime accuse al ministero dello Sport russo e ad altre sei federazioni sportive, ma non ha ricevuto risposta. Le federazioni hanno negato tutto e il ministro dello Sport Vitaly Mutko ha convocato una conferenza stampa a cui hanno partecipato solo i giornalisti della TASS, l’agenzia di stampa statale russa, in cui ha definito le recenti inchieste come parte dei numerosi tentativi atti a screditare lo sport russo prima dell’inizio delle Olimpiadi di Rio de Janeiro – la cui partecipazione, se la WADA dovesse confermare quanto riportato negli ultimi giorni, potrebbe essere ancora più a rischio di quanto lo sia ora: il 17 giugno la IAAF deciderà se la Russia potrà partecipare o meno alle prossime Olimpiadi di Rio de Janeiro. Lo scorso 10 maggio inoltre l’Agenzia mondiale anti doping aveva comunicato l’inizio delle sue indagini sulle nuove gravi accuse alla Russia.