Il prossimo congresso del PD

Dovrebbe tenersi nel 2017 ma qualcuno chiede di anticiparlo: e c'è anche già un candidato

Enrico Rossi (Fabio Cimaglia / LaPresse)
Enrico Rossi (Fabio Cimaglia / LaPresse)

Da qualche settimana diversi politici della corrente più di sinistra del Partito Democratico parlano dell’ipotesi di tenere in anticipo il prossimo congresso del partito. I congressi del PD si tengono ogni quattro anni quindi il prossimo dovrebbe tenersi nel 2017. Dopo il voto di fiducia al Senato sul maxi-emendamento che ieri ha riscritto il ddl Cirinnà sulle unioni civili, approvato anche grazie ai voti dei senatori che fanno riferimento a Denis Verdini, è tornato a parlarne Pier Luigi Bersani; qualche giorno fa invece Enrico Rossi, presidente della Toscana e importante dirigente del Partito Democratico, ha detto (di nuovo) di volersi candidare alla guida del partito.

La candidatura di Enrico Rossi
Il 22 febbraio Enrico Rossi ha annunciato la sua candidatura alla segreteria nazionale del PD e ha detto che «lavorerà per raccogliere le firme necessarie per farlo». La candidatura, ha detto, ha come obiettivo «uscire dagli schemi attuali dell’essere con Renzi o anti-Renzi e di avere come interlocutore la sinistra del partito pur riconoscendo la spinta innovativa del premier». Rossi ha lasciato intendere quindi di volersi candidare a segretario del partito ma non alla presidenza del Consiglio, e i giornali concordano nel dire che nessuno – nemmeno nella minoranza del PD – sostiene che il candidato del PD alla presidenza del Consiglio alle prossime elezioni politiche possa non essere Renzi.

Rossi ha detto poi: «Credo che in un partito ci si debba stare anche rispettandone la disciplina ed è per questo che dopo mesi di incontri e occasioni in cui ho espresso le mie idee ho sentito il dovere di candidarmi e di provare a superare certe divisioni mettendo in campo una proposta politica alternativa, ma che non è contro nessuno». Rossi ha precisato di non avere «nessuna squadra» a sostenerlo: «Sono un outsider, nel senso che non sono sostenuto da nessuna compagine dell’attuale classe dirigente» ha detto durante un’intervista su Radio Popolare. Ed effettivamente anche tra gli oppositori di Renzi – più o meno duri – ancora non ci sono state corpose dichiarazioni di sostegno alla sua candidatura (probabilmente arriverà come minimo quella dei cosiddetti “bersaniani”).

Non è la prima volta che Rossi dichiara le sue intenzioni: lo scorso 14 gennaio, intervistato da Giovanni Minoli su Radio 24, Rossi aveva confermato la sua intenzione a candidarsi nel 2017 alla segreteria del partito. E nel settembre del 2014 aveva detto che stava pensando di presentarsi.

Cosa pensa Enrico Rossi
Enrico Rossi è nato a Bientina, in provincia di Pisa, ha 58 anni e si è laureato in Filosofia all’Università di Pisa con una tesi sulla filosofa ungherese Agnes Heller. Nel 1985 ha lavorato nella redazione del Tirreno cominciando anche a fare politica con il PCI. Quello stesso anno divenne assessore e vicesindaco di Pontedera, di cui è stato sindaco dal 1990 – quando aveva 32 anni – al 1999. Di quegli anni si ricorda soprattutto la sua opposizione a trasferire la sede locale della Piaggio a Nusco. Dopo aver aderito ai DS e per altri dieci anni è stato assessore alla Sanità della Toscana, quando il presidente era Claudio Martini, e alle regionali del 2010 è stato eletto presidente della regione con quasi il 60 per cento dei voti. La coalizione che lo sosteneva era formata da PD, IdV e SeL. Rossi si è ricandidato nel 2015 senza passare dalle primarie ed è stato facilmente eletto per un secondo mandato, come accade dal dopoguerra ai candidati del PCI-PdS-DS-PD.

Il rapporto di Rossi con Renzi in questi ultimi anni è stato piuttosto ambivalente, tanto che alcuni parlano di Rossi come del «miglior perdente» per Renzi e altri lo hanno definito «democristiano». In passato Rossi si è dimostrato in più occasioni molto critico con Renzi e ha espresso giudizi a volte anche sprezzanti: all’ultimo congresso del PD aveva sostenuto Gianni Cuperlo. Da qualche anno però le posizioni di Rossi sono diverse e nel marzo del 2014 ha commentato positivamente per esempio le riforme economiche proposte dal presidente del Consiglio, dicendo che facevano parte di «un piano di sinistra come mai si era visto in questi decenni». Ha difeso il Jobs Act e le riforme istituzionali, e ha approvato tagli alla sanità per 250 milioni di euro assecondando quanto previsto dalla legge di stabilità. Durante i suoi mandati come assessore alla Sanità e come presidente, Rossi aveva fatto invece diversi investimenti in questo campo, dimostrando più in generale posizioni piuttosto avanzate rispetto al resto del paese: sul fronte della fecondazione assistita, la Toscana è stata la prima regione italiana a introdurla nei Lea, i Livelli Essenziali di Assistenza, ed è stato tra i primi ad appoggiare l’uso della Ru486 (la pillola abortiva) e ha portato avanti una battaglia per rendere gratuito un farmaco contro l’epatite C molto costoso.

Nei confronti di Renzi non si è comunque risparmiato alcune critiche: «Troppe promesse di detassazione indiscriminata», poco impegno nella lotta all’evasione fiscale e alla povertà. Sulle unioni civili Rossi ha parlato di «legge amputata» ma anche detto che Renzi «ha comunque dato un segnale importante». Ha detto che alle primarie di Milano avrebbe votato per Majorino (il candidato più a sinistra) e non per Sala, il candidato “renziano”; ha criticato l’abolizione della tassa sulla prima casa e nell’agosto del 2015, in un’intervista al Corriere della Sera, ha anche parlato del rapporto tra il PD e i deputati di Denis Verdini: «Credo che Renzi debba discutere con la sinistra del partito e che il PD tutto debba sostenere un processo di riforme che deve passare senza i voti del gruppo Verdini. Certe riforme vanno raggiunte con un consenso più ampio. Ma sarebbe a mio parere esiziale se noi pensassimo di fare la riforma del Senato con i voti di Verdini e non della sinistra». I critici fanno però notare che la Toscana, nel settembre del 2014 con Rossi presidente, aveva approvato una nuova legge elettorale, ribattezzata “Toscanellum”, nata da un accordo tra Partito Democratico e Forza Italia: una specie di “patto del Nazareno” locale, per come fu definita all’epoca.

Le critiche di Rossi a Renzi riguardano soprattutto il suo ruolo di segretario. Nella sua intervista di gennaio a Giovanni Minoli su Radio 24 ha detto che assegnerebbe un «sei e mezzo» a Renzi presidente del Consiglio «per le misure prese e qualcosa di più per la capacità di tenuta politica del Paese in una situazione difficile». Ma a Renzi segretario del PD darebbe «un cinque meno-meno. Insomma, anche un po’ meno. Perché mi pare che il partito non si sia riorganizzato e anche non vedo al momento delle prospettive di rinnovamento. Renzi ha da fare molto come premier».

Congresso anticipato?
Diversi giornali scrivono oggi che la cosiddetta minoranza di sinistra del PD vorrebbe anticipare il congresso, soprattutto dopo il sostegno al governo Renzi del gruppo Alleanza Liberalpopolare-Autonomie. Renzi non avrebbe intenzione di formalizzare davanti al presidente della Repubblica la nuova maggioranza perché i voti di ALA si sono “aggiunti” a quelli che c’erano già e che bastano a tenere in piedi il governo, ma il dissenso interno al PD negli ultimi tempi ha ripreso a farsi più forte (nonostante l’uscita di Giuseppe Civati, Stefano Fassina e Alfredo D’Attore, tre tra i più rumorosi critici di Renzi).

L’ultimo congresso del PD si è svolto nel 2013, dopo la sconfitta di Pier Luigi Bersani alle elezioni politiche e la mancata elezione di Franco Marini e Romano Prodi a presidente della Repubblica, nonostante fossero stati scelti come candidati ufficiali del partito: Rosy Bindi si dimise dalla carica di presidente del PD e Bersani si dimise da segretario. Nel maggio del 2013 Guglielmo Epifani venne eletto nuovo segretario dall’assemblea del partito e fissò la data del nuovo congresso in dicembre: si candidarono Matteo Renzi, al quel tempo sindaco di Firenze, Gianni Cuperlo, Giuseppe Civati e Gianni Pittella. Renzi vinse con il 67,55 per cento dei voti, il 15 dicembre venne proclamato ufficialmente segretario nazionale e il 13 febbraio del 2014 sfiduciò il premier Enrico Letta con una mozione presentata e approvata dalla direzione nazionale del Partito Democratico. Letta si dimise il giorno dopo e Renzi ricevette l’incarico dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a formare un nuovo governo, seppure con la stessa maggioranza del precedente.

In base allo statuto del PD, dunque, il prossimo congresso dovrebbe svolgersi nel 2017. Il mandato del segretario nazionale del partito dura infatti quattro anni. Per arrivare a un congresso anticipato dovrebbero verificarsi diverse ipotesi, spiegate nell’articolo 3 dello statuto:

Se il Segretario cessa dalla carica prima del termine del suo mandato, l’Assemblea può eleggere un nuovo Segretario per la parte restante del mandato ovvero determinare lo scioglimento anticipato dell’Assemblea stessa. Se il Segretario si dimette per un dissenso motivato verso deliberazioni approvate dall’Assemblea o dalla Direzione nazionale, l’Assemblea può eleggere un nuovo Segretario per la parte restante del mandato con la maggioranza dei due terzi dei componenti. A questo fine, il Presidente convoca l’Assemblea per una data non successiva a trenta giorni dalla presentazione delle dimissioni. Nel caso in cui nessuna candidatura ottenga l’approvazione della predetta maggioranza, si procede a nuove elezioni per il Segretario e per l’Assemblea.

Sempre in base al regolamento, l’assemblea nazionale può però presentare una mozione che se approvata con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti ha il potere di sfiduciare il segretario. E se l’assemblea sfiducia il segretario, si procede a nuove elezioni. Nei casi in cui lo scioglimento dell’assemblea sia anticipato le elezioni devono essere indette entro i quattro mesi successivi. Allo stato attuale, quindi, è impossibile che il congresso del PD si possa anticipare senza il consenso di Renzi.