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  • Lunedì 16 novembre 2015

Cos’è Molenbeek

Le cose da sapere sul quartiere di Bruxelles su cui si stanno concentrando le indagini per gli attentati di Parigi, che ha una lunga e impressionante storia di legami con il terrorismo

Un agente delle forze speciali belghe a Molenbeek, Bruxelles. (DIRK WAEM/AFP/Getty Images)
Un agente delle forze speciali belghe a Molenbeek, Bruxelles. (DIRK WAEM/AFP/Getty Images)

La mattina di lunedì 16 novembre i corpi speciali della polizia belga, con agenti dell’unità anti-esplosivi, hanno perquisito casa per casa alcune vie di Molenbeek, il quartiere di Bruxelles attorno al quale si stanno concentrando le indagini per gli attentati di Parigi. La polizia belga aveva già compiuto degli arresti in questa zona sabato sera, dopo aver trovato un biglietto di un parcheggio di Molenbeek a bordo di una delle auto usate dagli attentatori di Parigi. Non è la prima volta che Molenbeek viene collegato all’estremismo islamico: per esempio se n’era parlato per l’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles nel maggio 2014 e per l’attacco fallito sul treno francese dell’agosto del 2015. Le Monde ha scritto che «l’elenco delle persone che sono transitate per Molenbeek prima di essere coinvolte in attività terroristiche è impressionante».

Cos’è Molenbeek

Molenbeek è un quartiere che si trova a ovest del centro di Bruxelles: si estende per poco meno di sei chilometri quadrati, è abitato da circa 100mila persone e ha una grande concentrazione di immigrati provenienti dal Nord Africa e da altri paesi arabi. Come gli altri quartieri della capitale belga, ha una grande autonomia dall’amministrazione comunale di Bruxelles. Il ministro degli Interni belga ha provato a spiegare la particolarità dell’organizzazione amministrativa di Bruxelles comparandola a quella di New York: «Bruxelles è una città relativamente piccola, 1,2 milioni di abitanti. Eppure abbiamo sei dipartimenti di polizia e 19 diverse municipalità. New York è una città con 11 milioni di persone. Quanti dipartimenti di polizia ha? Uno solo».

Molenbeek, a differenza di quello che si potrebbe pensare, non è troppo lontano del centro città: per arrivarci dalla Grand Place – la piazza centrale di Bruxelles, considerata il centro del centro – ci vogliono solo sedici minuti a piedi. A Molenbeek ci sono 22 moschee, attorno alle quali si raccoglie la numerosa comunità musulmana locale. Il vice-sindaco di Molenbeek, Ahmed el Khannouss, ha detto al Guardian che i gruppi di salafiti più radicali e le reti per il reclutamento per i nuovi combattenti del jihad, la guerra santa, si sono sviluppati soprattutto in luoghi di incontri e di preghiera clandestini, spesso nei salotti di case e appartamenti. In un certo senso si può dire che ci siano tre Molenbeek: quella dei grandi viali, dove ci sono file di case basse abitate dalla media borghesia; quella delle case mono-familiari dove la qualità della vita è comunque abbastanza alta; e poi quella del quartiere arabo, che si trova attorno a Chaussée de Gand. Qui la maggior parte delle donne porta il velo e i clienti dei negozi locali di origine belga sono molto rari.

Molenbeek e il terrorismo

A Molenbeek sono legati l’attentato al Museo Ebraico di Bruxelles del maggio 2014, la cellula jihadista di Verviers che stava organizzando attentati in Europa smantellata nel gennaio del 2015 e l’attentato fallito sul treno francese dell’agosto 2015 (il New York Times ha spiegato chiaramente i dettagli dei legami tra Molenbeek e ciascuno di questi episodi). Da questo quartiere erano anche partiti i due terroristi che – fingendosi due giornalisti – due giorni prima dell’11 settembre 2001 uccisero il militare e politico afghano Ahmed Shah Massoud, principale oppositore del regime dei talebani; e qui avevano vissuto due dei protagonisti degli attentati di Madrid del 2004. A Molenbeek è collegato anche l’attacco al supermercato kosher di Parigi successivo all’attentato contro la redazione di Charlie Hebdo, all’inizio di gennaio: Amedy Coulibaly, l’uomo che uccise quattro ostaggi nel supermercato e che era un simpatizzante dell’ISIS, aveva comprato le armi usate nell’attacco a Molenbeek.

Gli investigatori hanno già trovato legami tra gli attacchi e Molenbeek. Due degli attentatori di Parigi – i due fratelli Abdeslam: Ibrahim morto durante gli attentati, Salah ancora in fuga – sono stati identificati come cittadini francesi che hanno vissuto per un periodo a Molenbeek. Entrambi in passato avevano avuto legami con Abdelhamid Abaaoud, cittadino belga di 27 o 28 anni di origini marocchine e già noto alle autorità per essere un estremista religioso. Abaaoud è stato ucciso mercoledì mattina durante un’operazione di polizia a Saint-Denis, un comune poco distante da Parigi, ed è considerato l’uomo che ha progettato gli attentati di Parigi. Aveva avuto contatti anche con un terzo attentatore, Ismaël Omar Mostefaï. In particolare Ibrahim e Abaaoud erano rimasti coinvolti in alcune indagini della polizia belga tra il 2010 e il 2011, quando entrambi vivevano a Molenbeek. Abaaoud si era diplomato in una delle più prestigiose scuole superiori belghe. Era stato accusato di essere il capo della cellula terroristica di Verviers: un tribunale di Bruxelles lo aveva condannato a luglio, in contumacia, a 20 anni di carcere per reati legati al terrorismo. Aveva passato diverse tempo in Siria con lo Stato Islamico, era comparso in un video dell’ISIS nel marzo del 2014 e una sua intervista era finita su Dabiq, la rivista dell’ISIS, nel febbraio del 2015.

Abdelhamid AbaaoudAbdelhamid Abaaoud. (Foto tratta da un video di YouTube)

Altre sette persone erano state arrestate sabato 14 novembre a Molenbeek con l’accusa di essere legate agli attentati di Parigi: cinque di loro sono state rilasciate lunedì. Tra i rilasciati c’è anche Mohammed Abdeslam, uno dei fratelli di Salah Abdeslam, l’uomo ricercato dalla polizia francese. Le autorità belghe e francesi stanno indagando su un presunto legame tra il vertice dell’ISIS in Siria – per capirci: quello che fa direttamente capo a Abu Bakr al Baghdadi, il capo dell’ISIS – e una cellula di militanti a Molenbeek. Il ministro degli Interni francese, Bernard Cazeneuve, ha detto che un gruppo localizzato in Siria ha incoraggiato un altro gruppo localizzato in Belgio a compiere attentati terroristici in territorio francese e in altre città europee (ma non ha dato altri dettagli). Il primo ministro belga Charles Michel ha detto in un’intervista alla radio che il suo governo prenderà in considerazione l’idea di «chiudere le moschee problematiche» nel quartiere di Molenbeek. Il Financial Times scrive anche che secondo alcuni ministri del governo belga lo stato ha «perso il controllo» di Molenbeek.

Il problema del Belgio con l’ISIS

Le autorità del Belgio hanno detto che circa 800 cittadini belgi stanno combattendo il jihad in Medio Oriente. Pieter Van Ostaeyen, uno dei maggiori esperti di jihadismo belga, ha fatto un punto sul suo blog sulla situazione attuale dei belgi che stanno combattendo in Iraq e Siria. Van Ostaeyen ha scritto che il Belgio è oggi il paese che in proporzione fornisce più combattenti al jihad tra tutti gli stati europei: circa 1 cittadino musulmano belga ogni 1.260 è stato coinvolto negli ultimi anni nel jihad in Siria e Iraq. A ottobre c’erano 190 belgi in Siria, di cui 101 provenienti da Bruxelles: «Da quando è terminato il primo processo per terrorismo in Belgio, all’inizio del 2015, è stato (parzialmente) provato che Sharia4Belgium [un’organizzazione terroristica accusata tra le altre cose di reclutare combattenti per combattere il jihad, ndr] ha per lo meno ispirato un certo numero di giovani belgi. I primi belgi che se ne sono andati si sono uniti a diversi gruppi spesso piccoli e indipendenti, al tempo affiliati con lo Stato Islamico».

È difficile rispondere alla domanda, “Perché proprio il Belgio?”. Tre giorni prima gli attentati di Parigi, Jan Jambon, il ministro per la Sicurezza belga, aveva affrontato la questione durante un evento organizzato da Politico Europe. Jambon aveva detto che parte del problema è la complicata struttura dello stato belga e la frammentazione che esiste tra la parte del paese che parla francese e quella che parla fiammingo. Secondo Jambon, le divisioni tra le due comunità rendono più difficile rispondere in maniera efficace alle minacce terroriste. La stessa regione di Bruxelles è molto frammentata: per esempio ha 19 sindaci che spesso non si passano le informazioni l’uno con l’altro. Un altro problema è che molti belgi che si uniscono a gruppi terroristici non sono immigrati, ma cittadini le cui famiglie vivono in Belgio da parecchie generazioni: diventa perciò più difficile per le autorità ritirare i passaporti o le carte d’identità a persone sospette, per evitare per esempio che viaggino in Siria.